T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 11-10-2011, n. 7896 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società A. srl riferisce di aver presentato, in data 15.5.2003, al Comune di Tivoli istanza per ottenere il rilascio del permesso di costruire per eseguire lavori di costruzione di un fabbricato residenziale alla via Archigene, n.10, su terreno censito in Catasto al Foglio 60 mapp.504379158/p. Con istanza in data 4.3.2004 la società ha chiesto al Comune, al fine di realizzare l’intervento edilizio, la demolizione totale dei manufatti insistenti nelle particelle 157 e 158/p e la demolizione parziale del manufatto individuato alla particella 79, limitatamente al primo piano, al fine di realizzare l’accesso carrabile al piano garage e pedonale alla scala B.

Con autorizzazione n. 4 in data 12.3.2004, il Comune, richiamando il parere favorevole della C.E. in data 23.9.2003,ha assentito la demolizione dei manufatti richiesta e in seguito ha rilasciato il permesso di costruire n. 42 in data 18.5.2004 per la realizzazione del fabbricato in questione.

Il sig. A.A., proprietario di immobile sito alla via Archigene, n.4/6 part.lla 158, costituente porzione di un unico fabbricato la cui restante parte (158/p) è stata acquistata dalla società ricorrente, ha impugnato il predetto permesso di costruire n. 42/2004 nonché l’ordinanza di demolizione (RG n. 2747/05). Nel frattempo il Comune con ordinanza dirigenziale n. 80 dd. 7.3.2005 ha disposto la sospensione dei lavori assentiti con il permesso di costruire n. 42/2004, per adeguamento dell’erigendo fabbricato relativamente ai distacchi previsti dall’art.6 delle NTA di PRG.

Con ordinanza collegiale n. 556 del 14.4.2005, il Tar ha accolto la domanda cautelare limitatamente alla demolizione disponendo una verificazione in contraddittorio tra le parti.

In conformità alla predetta ordinanza il Comune ha adottato l’ordinanza dirigenziale n. 219 dd. 16 maggio 2005 disponendo l’immediata sospensione del provvedimento n. 4 del 2004.

A seguito della verificazione con successiva ordinanza n. 3453 del 23.6.2005 è stata accolta la domanda cautelare e sospesi i provvedimenti impugnati, con particolare riferimento al permesso di costruire n. 42/04 e all’ordinanza di demolizione n. 4/2004.

In data 28.9.2005 la società ha presentato domanda per ottenere il permesso di costruire in variante al permesso di costruire n. 42 del 2004, per adeguare la costruzione alle norme di cui all’art.6 delle NTA e all’art. 9 DM n.1444 del 1968. E così il Comune ha rilasciato il permesso di costruire n. 14 dell’11.4.2007.

Il Tar con ordinanza n. 4264 in data 5.9.2007 ha sospeso il permesso di costruire n. 42/2004 e l’autorizzazione di demolizione n. 4/2004 e il Comune con ordinanza n. 676 d.d. 19.9.2007 – ritenuto che la predetta ordinanza del Tar n. 4264/07 sospendendo il permesso di costruire n. 42/2004, con implicita sospensione anche dell’efficacia del permesso n. 14/2007 – ha disposto ogni ulteriore attività edilizia.

All’esito del giudizio il Tar con sentenza n. 4113 del 2008 ha accolto parzialmente il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati per vizio di forma e limitatamente alla demolizione del fabbricato (part.lla 158/p) rispetto alla particolare situazione del fabbricato del sig. A. (part.lla 158). Detta sentenza è stata appellata al Consiglio di Stato che con ordinanza 5069 del 2008 ha accolto l’istanza cautelare sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.

A seguito di ciò la società ha ripreso i lavori assentiti con permesso di costruire n. 42/2004 e autorizzazione n. 4/2004 e dal permesso di costruire in variante n. 14/2007.

Di seguito il sig. A. nell’ottobre 2008 ha proposto al Trib. Ordinario di Tivoli ricorso per denuncia di nuova opera e manutenzione del possesso nei confronti della società. Espletata la CTU il G.O ha adottato l’ordinanza n. 703/2009, con cui ha ordinato alla società A. srl la sospensione dei lavori di realizzazione del piano terra del fabbricato confinante con l’abitazione del sig. A. respingendo la richiesta di ripristino della situazione quo ante. In realtà, sostiene la società che la ripresa di lavori era volta alla manutenzione del cantiere e per la tutela della proprietà del sig. A., tanto da rinunciare con la Dia presentata in data 11.12.2009 e il progetto in variante alla demolizione dell’edificio preesistente e alla realizzazione della rampa di accesso ai garage al confine con i due edifici.

Infine il Comune con ordinanza n. 868 del 2009 ha ordinato nuovamente alla società ricorrente l’immediata sospensione dei lavori, ferma restando l’ordinanza del Trib. di Tivoli n. 703/2009, rilevando il mancato rispetto delle distanze legali tra gli edifici.

La società dopo aver sospeso i lavori ha presentato entro dieci giorni un ulteriore progetto in variante al permesso di costruire n. 14/2007 e il Comune con nota P3368 del 20.1.2010 ha comunicato che le opere proposte in variante non sono ammissibili ai fini dell’adempimento dell’ordinanza n.868 del 2009 motivata dalla violazione del distacco tra fabbricati che risulta essere inferiore a quello stabilito dalla legge (m.10).

2. Avverso i provvedimenti, meglio indicati in epigrafe, la società ricorrente ha proposto ricorso deducendo i seguenti motivi: 1) Incompetenza. Violazione art. 23, comma 1 e 6 del DPR n. 380 del 2001: la nota n. 3368/2010 impugnata sarebbe stata adottata dal funzionario del servizio anziché dal dirigente competente e inoltre non comunicata alla società nel termine previsto dalla norma rubricata (ben oltre i 30 giorni dopo la presentazione della Dia)

2) Violazione e falsa applicazione dell’art.9 DM n. 1444 del 1968 e art.6 NTA del PRG del Comune di Tivoli: il Comune con l’ord. n.868/2009 ha contestato alla società il mancato rispetto delle distanze del corpo scala dell’edificio in costruzione fronteggiante la facciata dell’edificio di proprietà del sig. A., senza considerare che con il PdC in variante n. 14/2007 il Comune aveva assentito proprio il nuovo progetto (modifica della parete del corpo scala con una parete non finestrata, eliminazione nei piani superiori delle finestre e trasformazione in luci, fisse e non apribili). Inoltre, le due pareti fronteggianti (vano scale del fabbricato in costruzione e parete del piano terra dell’edificio del signor A.) risulterebbero in base alla ulteriore variante proposta dalla società come due pareti non finestrate e, quindi, non assoggettate al distacco minimo dei 10 metri, anche secondo quanto previsto dall’art.6, lett. c) delle NTA, che ammette la riduzione del limite di distanza.

3) Eccesso di potere per carenza di motivazione; difetto di istruttoria; travisamento dei fatti e dei presupposti; irragionevolezza; violazione dell’art.23, comma 6 del DPR n. 380 del 2001: la nota impugnata sarebbe stata assunta sulla base di una mera affermazione di una pretesa violazione del distacco tra fabbricati, inferiore a 10 metri, senza motivazione adeguata e idonea istruttoria riguardo l’inammissibilità delle opere, né il richiamo per relationem della nota n.3368/2010 sarebbe idoneo, atteso che proprio la proposta variante al P.d.C n. 14/2007 sarebbe volta a superare i vincoli posti dai distacchi tra pareti finestrate.

4) Violazione di legge, art.10 bis Legge n. 241 del 1990 e succ. mod.; violazione del principio del contraddittorio, il Comune avrebbe omesso di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza impedendo alla società di poter interloquire anche sulle ragioni poste a sostegno della richiesta variante.

5) Violazione del principio del legittimo affidamento e domanda di risarcimento danni, il comportamento dell’Amministrazione sarebbe illegittimo e avrebbe provocato gravi danni alla ricorrente a seguito dei provvedimenti impugnati nella lunga vicenda procedimentale, né varrebbe qualificare il comportamento del Comune come espressione del potere di autotutela esercitato a distanza di tre anni dal PdC n. 14 del 2007, con richiesta di risarcimento dei danni nei confronti dell’Ente stesso.

Si è costituito in giudizio il Comune di Tivoli per resistere al ricorso e con chiamata in causa di terzo ossia della Compagnia assicurativa, al fine della manleva integrale del Comune dalla pretesa risarcitoria avanzata da parte ricorrente.

Il sig. A.A. si è costituito in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso in esame e ha controdedotto argomentate considerazioni sulla infondatezza delle censure.

3. In data 20 aprile 2010 parte ricorrente ha proposto atto contenente motivi aggiunti avverso l’ordinanza dirigenziale del Comune di Tivoli n. 126, prot. 12658 d.d. 2.3.2010, di ingiunzione della demolizione delle opere abusive e del ripristino dello stato dei luoghi, secondo quanto autorizzato con permesso di costruire n. 14/07; in proposito, ha denunciato oltre i vizi della predetta ordinanza per illegittimità derivata anche vizi propri, quali l’eccesso di potere sotto svariati profili, il difetto di istruttoria, la contraddittorietà e l’ingiustizia manifesta nonché la violazione del principio del legittimo affidamento, in quanto il Comune persisterebbe nella erronea considerazione di quanto dallo stesso assentito proprio con il PdC in variante n. 14/2007, che ha previsto l’arretramento della parete del fabbricato in costruzione che fronteggia la parete finestrata dell’edificio del sig. A. nei limiti dei 10 metri previsti. Inoltre, se l’arretramento del vano scala in sede di progetto in variante non avrebbe comportato conseguenze rilevanti, con la demolizione intimata della parete in contestazione si avrebbero conseguenze sulla struttura stessa del fabbricato già costruito per le specifiche caratteristiche strutturali (così come indicato nella relazione tecnica di parte). Inoltre, le contestazioni dell’Amministrazione seguirebbero solo al dedotto sopralluogo del 2.10.2009, a fronte di numerosi sopralluoghi effettuati dagli uffici comunali, da cui non sarebbe emersa la rilevata difformità in ordine alle distanze.

Il Comune di Tivoli ha prodotto documentata memoria difensiva, deducendo la inammissibilità per tardività e difetto di interesse, argomentando comunque la correttezza del comportamento dell’Amministrazione con riferimento anche alla tassativa e inderogabile normativa in materia di distacchi.

4. In seguito, il sig. A.A. ha proposto ricorso incidentale avverso gli atti impugnati con il gravame dalla società nella parte in cui in essi l’Amministrazione avrebbe erroneamente assunto che la violazione della norma inderogabile sulle distanze sussista solo per il fronteggiamento delle pareti finestrate omettendo, invece di contestare la violazione della norma sui distacchi tra fabbricati nella parte di manufatto posta a ml 4,89 rispetto a quella dell’attuale ricorrente incidentale e nello spigolo antistante l’erigendo fabbricato che dista ml. 7,20 dalla costruzione del sig. A., deducendo la violazione delle norme in materia edilizia nonché le disposizioni di cui agli strumenti urbanistici vigenti.

Si è costituito in giudizio il Comune di Tivoli per resistere al ricorso incidentale contestando profili anche di ammissibilità dello stesso in mancanza di uno specifico interesse all’impugnazione, posto che anche in caso di annullamento degli atti impugnati non verrebbe meno il potere dell’Amministrazione di adottare ulteriori provvedimenti repressivi, in disparte la genericità delle contestazioni avanzate, e ha concluso comunque per la reiezione dello stesso.

Con memoria in data 19.5.2010 parte ricorrente ha replicato alle contestazioni anche con riferimento ai profili di rito riguardo le eccezioni di inammissibilità dell’azione, sostenendo la tempestività dell’impugnazione e la legittimità dell’estensione del contraddittorio ad altri soggetti.

Il Comune di Tivoli con memoria in data 5 marzo 2011, dopo aver ricostruito i fatti processuali, ha ulteriormente insistito sulle proprie posizioni con argomentate considerazioni.

E’ seguita la replica della società ricorrente con memorie pervenute in data 7 e 16 marzo 2011, sia sui profili di rito che di merito delle questioni controverse, con richiesta di accoglimento del ricorso introduttivo e dell’atto contenente motivi aggiunti, attesa la fondatezza delle ragioni.

In prossimità dell’udienza pubblica il Comune e il Sig. A. hanno depositato memorie conclusionali insistendo sulle rispettive posizioni.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

5. Preliminarmente vanno esaminati i profili di rito relativi all’ammissibilità del ricorso introduttivo, così come eccepiti dal Comune, per la tardività dell’impugnazione dell’ordinanza dirigenziale n. 868/2009, con la quale è stata disposta la sospensione dei lavori in relazione alla porzione di fabbricato oggetto del permesso di costruire n. 14 del 2007, costituente il corpo scala fronteggiante la facciata dell’edificio del sig. A.A..

Al riguardo va rilevato che con tale ordinanza dirigenziale impugnata, notificata in data 1° dicembre 2009, il Comune ha disposto la sospensione dei lavori edilizi al corpo scala fronteggiante la facciata dell’edificio del sig. A.A. che "risulta posizionato a una distanza di m.9,70 contro i m. 10,00 prescritti dalla norma vigente e previsti dal permesso di costruire", ossia il permesso di costruire n. 14 del 2007, e contestualmente ha comunicato che detta ordinanza "costituisce avviso di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 e 8 della L.241/90", con facoltà per la società di intervenire con osservazioni e documentazione nel procedimento entro 10 giorni dalla notifica, avvisando, altresì, che ai sensi dell’art.14, comma 3 della L.R. n. 15/08 entro 45 giorni dalla notificazione si provvederà alla ingiunzione della demolizione dell’opera abusiva.

Orbene, detta ordinanza di sospensione dei lavori costituisce un provvedimento a carattere provvisorio che conserva l’efficacia ai sensi dell’art. 27 del DPR n. 380 del 2001, per 45 giorni dalla sua adozione, decorsi i quali perde il carattere lesivo nei confronti degli interessi della parte ricorrente, in considerazione della necessaria adozione di provvedimenti successivi da parte dell’Amministrazione, all’esito della fase procedimentale attivata con eventuale intervento partecipativo della società.

Infatti, alla luce della comune giurisprudenza, in linea generale, non vi è interesse all’impugnazione giurisdizionale di un’ordinanza di sospensione dei lavori abusivi divenuta inefficace per decorso del termine di 45 giorni previsto dall’art. 27 del DPR n. 380 del 2001 (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. VII, 27 maggio 2009, n. 2948; Tar Lazio, Roma, sez. II, 11 settembre 2009, n. 8644; idem, sez. I, 9 febbraio 2010, n. 1782; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 7 aprile 2011, n. 620).

Tuttavia, nel caso di specie, risulta che dopo la scadenza dei 45 giorni di efficacia dell’ordinanza di sospensione il Comune non ha adottato il provvedimento di ingiunzione, così come disposto anche dallo stesso, ma si è pronunciato con ulteriore provvedimento n. 3368 in data 20.1.2010, che ha dichiarato inammissibile l’istanza proposta dalla ricorrente e ha confermato la validità dell’ordinanza n. 868 del 2009 di sospensione dei lavori, che, quindi, "deve intendersi efficace per il prosieguo degli atti consequenziali" repressivi sul manufatto abusivo.

Pertanto, il provvedimento di sospensione dei lavori divenuto inefficace dopo i 45 giorni dalla sua adozione è diventato lesivo dell’interesse della ricorrente per effetto della sopraggiunta reviviscenza dell’efficacia dello stesso, riconosciuta dalla successiva nota n. 3368/2010, tempestivamente impugnata nel termine decadenziale.

Ne deriva, infatti, che detto successivo diniego opposto dal Comune alle opere proposte dalla società ricorrente da realizzare sull’immobile è stato adottato a seguito dell’ulteriore fase istruttoria procedimentale, attraverso l’esame degli elementi forniti dalla società con una rivalutazione degli interessi e, quindi, con ulteriori argomenti a carattere rinnovatorio; pertanto, la dichiarata reviviscenza dell’efficacia dell’ordinanza di sospensione dei lavori, ormai decaduta, ha determinato la possibilità della riapertura dei termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte della società per la contestazione della legittimità anche del primo provvedimento di sospensione dei lavori divenuto valido ed efficace e, quindi, lesivo degli interessi. Alla luce di ciò non è fondata l’eccezione di inammissibilità del gravame, potendosi ritenere riaperti i termini per la proposizione dell’impugnativa avverso l’ordinanza n. 868/2009, attesa l’attuale e concreta efficacia lesiva della stessa nei confronti della società ricorrente.

6. In via pregiudiziale, il Comune ha eccepito anche la inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per avere con esso esteso il contraddittorio rispetto alle parti del giudizio originario.

Nella specie, parte ricorrente ha notificato l’atto contenente motivi aggiunti anche alla Regione Lazio, non precedentemente intimata con il ricorso introduttivo.

Al riguardo, l’eccezione non è meritevole di accoglimento alla luce anche dell’orientamento giurisprudenziale più recente, secondo cui quando con i motivi aggiunti vengono gravati atti ulteriori adottati dall’Amministrazione nell’ambito del medesimo procedimento oggetto di ricorso principale, il riferimento alla "identità delle parti" quale condizione per proporre motivi aggiunti, va inteso non nel senso formalistico della necessità di assoluta identità delle parti, ma in quello dell’identità del rapporto amministrativo controverso con la conseguenza che i motivi aggiunti restano ammissibili anche allorché, ferma restando l’identità delle parti originarie, esse comportino l’estensione della controversia ad altre Amministrazioni o controinteressati in precedenza non presenti nel procedimento (cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 4 settembre 2008, n. 2058), in disparte il rilievo che adesso l’art. 43 del c.p.a non prevede più rispetto al previgente art. 21 della Legge Tar, il riferimento alla identità delle parti quale condizione per la proposizione dei motivi aggiunti.

7. Passando all’esame del merito il ricorso introduttivo e l’atto contenente motivi aggiunti presenta profili di fondatezza, non risultando suscettibili di positiva valutazione anche le censure avanzate con il ricorso incidentale proposto dal sig. A.A., per le ragioni di seguito riportate

7.1. La materia del contendere è incentrata sui dedotti vizi di illegittimità e di eccesso di potere sotto svariati profili, come meglio esposti in fatto, con riferimento agli impugnati provvedimenti adottati dal Comune e in particolare: – all’atto in data 20.01.2010 con il quale sono stati ritenuti inammissibili i lavori di cui alla predetta Dia presentata dalla società ricorrente in variante ai precedenti titoli edilizi e dall’altra a sanare ex post interventi edilizi realizzati; – all’ordinanza dirigenziale n. 868 /2009 di sospensione dei lavori, confermata con nota del Comune in data 20.1.2010, – nonché all’ ordinanza Dirigenziale del Comune n. 126 in data 2.3.2010, di ingiunzione della demolizione delle opere abusive e del ripristino dello stato dei luoghi, secondo quanto autorizzato con permesso di costruire n. 14/07.

Il Comune ha ritenuto inammissibili i lavori di cui alla predetta Dia e ha disposto la sospensione e la demolizione del manufatto del corpo scala sul preteso mancato rispetto da parte della società del limite del distacco minimo di 10 metri per la parte del corpo scala dell’erigendo fabbricato in violazione della normativa vigente e di quanto previsto nel permesso di costruire.

La società ricorrente nel censurare la violazione degli art.9 del DM n. 1444/1968 e dell’art.6 delle NTA del PRG (secondo mezzo) sostiene che per il controverso "corpo scala", il quale si sviluppa per una lunghezza di m. 3,70, la Dia presentata in data 11.12.2009 ha adeguato il progetto rendendo detta parte di fabbricato in costruzione come parete non finestrata e come tale non rientrare nell’applicazione della distanza minima di 10 metri (con eliminazione del portone e finestra al primo piano nonché delle finestre dei piani superiori, trasformate in luci), con conseguente inapplicabilità della normativa sui distacchi.

7. 2.. Osserva il Collegio che, in linea generale non ha motivo di discostarsi dall’orientamento della giurisprudenza riguardo la materia delle distanze nelle costruzioni e nel richiamare la disciplina legale dei "rapporti di vicinato" rileva che l’obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche con riferimento alle luci; ne deriva che la dizione " pareti finestrate ", che si ispiri all’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 riguardo la distanza minima nelle sopraelevazioni di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, va riferita esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere" (cfr.Cass. civile, sez. II, 4 febbraio 1999, n. 982).

In relazione a ciò le argomentate considerazioni del controinteressato non appaiono convincenti, in quanto gli atti impugnati sono stati adottati non sulla base dell’accertamento di una nuova e diversa situazione rispetto a quella descritta dalla società, tenuto conto che gli interventi sul fabbricato sono stati realizzati e assentiti con il permesso di costruire n. 14 del 2007.

Inoltre, occorre evidenziare che con detto permesso di costruire la società aveva proposto quelle varianti per adeguare il fabbricato in costruzione alla normativa edilizia, anche in materia di distacchi tra fabbricati.

Risulta che l’arretramento del fabbricato alla distanza di 10 m. dalla parete finestrata del fabbricato del sig. A. è stato realizzato proprio a seguito del permesso di costruire n.14 del 2007, con conferma della distanza del vano scala in costruzione, adesso in contestazione.

Appare quindi che la situazione dell’esito dell’accertamento operato dal Comune con il sopralluogo, richiamato nell’ordinanza di demolizione impugnata, non è diversa da quella proposta dalla società e realizzata in aderenza ai progetti assentiti dal Comune con il permesso di costruire n. 14/2007.

In definitiva, va rilevato che la sequenza procedimentale degli atti impugnati risente della censurata illegittimità in considerazione anche della violazione da parte del Comune del termine perentorio per l’esercizio del potere inibitorio dell’attività edilizia in relazione alla Dia, ai sensi dell’art.23 del DPR n. 380 del 2001 (primo mezzo), sussistendo un obbligo di soccorso procedimentale e tempestivo del Comune per garantire la certezza dei rapporti giuridici.

Infatti, ai sensi della normativa edilizia (art. 23 del DPR n. 380/2001) in mancanza del tempestivo atto di inibizione da parte dell’Amministrazione a seguito della presentazione della Dia, l’Amministrazione può provvedere soltanto con l’esercizio del potere di autotutela con il ritiro del titolo autorizzatorio e non mediante il potere repressivo.

Nella specie, la società ha presentato la Dia in data 11.12.2009 e l’Amministrazione oltre il termine perentorio ha esercitato il potere inibitorio comunicando il provvedimento di diniego e procedendo successivamente con l’adozione del provvedimento definitivo di ingiunzione alla demolizione senza provvedere con lo strumento del potere di autotutela riguardo i provvedimenti già assentiti.

Da ciò deriva la fondatezza dei predetti motivi di impugnazione esaminati.

8. Il Collegio passa all’esame del ricorso incidentale e rileva che non può condividersi la tesi patrocinata dal sig. A. avverso gli atti impugnati in via principale dalla società, laddove li contesta perché violano la norma sui distacchi tra fabbricati con riferimento alla parte di manufatto posta a ml 4,89 rispetto a quella dell’attuale ricorrente incidentale e nello spigolo antistante l’erigendo fabbricato che dista ml. 7,20 dalla costruzione del medesimo sig. A..

Al riguardo, deve osservarsi che la controversia in esame riguarda la legittimità degli atti adottati dal Comune ed impugnati dalla società A. Srl per il mancato rispetto dei distacchi minimi ex art.9 del DM n. 1444/1968 soltanto del vano scale, specificamente indicato negli atti gravati, e conseguentemente l’oggetto va circoscritto a detta parte dell’edificio, risultando inconferente l’ulteriore violazione delle distanze lamentata con il ricorso incidentale in relazione ad altra porzione del fabbricato.

Del resto, va anche evidenziato che in tema di limitazioni legali della proprietà, l’art. 873 cod.civ., per evitare intercapedini dannose, prevede che le norme sulle distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Questo modo di misurazione comporta anche che, in ragione della ratio che governa la specifica disciplina in esame, le norme sulle distanze legali si applicano soltanto agli edifici che si fronteggiano, mentre non hanno rilievo le distanze calcolate fra gli spigoli delle costruzioni prese in esame (cfr.Cass. civile, sez. II, 7 aprile 2005, n. 7285; Corte Appello Salerno, 29 gennaio 2007, n. 66).

In definitiva, le contestate illegittimità degli atti impugnati con ricorso incidentate non sono fondate e vanno respinte.

9. Quanto infine alla avanzata richiesta di risarcimento del danno da ritardo derivante dal comportamento dell’Amministrazione comunale per la sospensione dei lavori edilizi da parte della società ricorrente dal 1° dicembre 2009, il Collegio rileva che la stessa è infondata e non può essere accolta, in quanto il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall’obbligo di offrire al giudice gli elementi fattuali circa la sussistenza e l’entità del danno, esaurendosi il suo apprezzamento equitativo nella necessità di colmare lacune nella determinazione del preciso ammontare dello stesso (cfr.Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2010, n. 3799). Infatti, per fornire la prova del danno subito per effetto di un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione e della sua entità, non può comunque prescindersi dalla necessità di allegare circostanze di fatto precise a dimostrazione della pretesa, non potendo il criterio equitativo ex art. 1226 c.c. essere idoneo a dimostrare l’esistenza stessa di un danno risarcibile, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, elementi che spetta alla parte ricorrente comprovare (cfr.T.A.R. Basilicata, sez. I, 16 aprile 2010, n. 205).

10. Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni con assorbimento di ogni altro motivo e profilo di gravame non espressamente esaminato in quanto ritenuto ininfluente e irrilevante ai fini della decisione, il ricorso introduttivo e l’atto contenente motivi aggiunti – in quanto fondati – devono essere accolti; conseguentemente, vanno annullati gli atti impugnati e il ricorso incidentale proposto dal sig. A.A. va respinto, in quanto infondato. È respinta la domanda di risarcimento del danno

Il Collegio ravvisa che le spese di causa vanno poste a carico del Comune di Tivoli che risulta prevalentemente soccombente, nella misura stabilita in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sull’atto contenente motivi aggiunti, come in epigrafe proposti,, così dispone:

– li accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;

– respinge il ricorso incidentale proposto dal sig. A.A.;

– respinge la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla Società A. Srl.

Condanna il Comune di Tivoli al pagamento in favore della società A. Srl delle spese di giudizio da liquidare complessivamente in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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