Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1383

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 26329 del 2008, pubblicata il 31 ottobre 2008, questa Corte accoglieva il ricorso principale (iscritto al N.R.G. 22588 del 2003) proposto da V.A. avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di L’Aquila il 25 giugno 2002 e dichiarava inammissibile il ricorso incidentale formulato nell’interesse di V.P. per invalida notificazione dell’integrazione del contraddittorio disposto con ordinanza del 21 giugno 2007.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., il V.P., basato su un unico motivo, al quale ha resistito, con controricorso, il solo V. A., mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Predisposta la relazione ex art. 380 bis c.p.c., ed avviato il ricorso al procedimento in camera di consiglio, il collegio designato, con ordinanza interlocutoria n. 12022 del 2011 (depositata il 13 giugno 2011), rimetteva la trattazione del ricorso in pubblica udienza, non ricorrendo l’evidenza decisoria della inammissibilità dell’istanza di revocazione.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo dedotto il ricorrente ha denunciato che l’impugnata sentenza della Corte di cassazione sarebbe affetta ed inficiata da un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consistente – secondo la sua prospettazione – nell’avere la Corte, nella indicata sentenza n. 26329 del 2008, omesso di tener conto che, alla propria ordinanza del 21 giugno 2007 (con la quale era stata disposta l’integrazione del contraddittorio del ricorso incidentale ad altre parti), era seguita l’ordinanza in data 11 gennaio 2008, con la quale ne era stata ordinata la rinnovazione nel termine di sessanta giorni dalla sua comunicazione, ritualmente eseguita nei riguardi di V.I.. A corredo di tale doglianza il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: "essendo stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale sul presupposto che, nonostante fosse ormai trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata ed il destinatario dell’atto si fosse già costituito nel giudizio di legittimità, la notificazione dell’atto d’integrazione del contraddittorio era avvenuta nel domicilio che il destinatario stesso aveva eletto per il solo precedente grado, per cui doveva ritenersi avvenuta in violazione dell’art. 330 c.p.c.: ebbene, simile pronuncia d’inammissibilità è o non affetta da un decisivo errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, considerando, invece, che dell’atto così notificato era stata ordinata la rinnovazione, che il suo destinatario non si era costituito nei confronti del notificante nè gli aveva in alcun modo resa nota l’avvenuta sua costituzione, ed, in ogni caso, che la notificazione di cui era stata disposta la rinnovazione era stata eseguita, oltre che a quel medesimo domicilio elettivo "ad abundantiam", anche a mani proprie?". 1.1. Il motivo di ricorso per revocazione, così come prospettato e ricondotto all’ipotesi enucleata nell’art. 395 c.p.c., n. 4), (come richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., in ordine alla sentenze della Corte di cassazione), è inammissibile.

In primo luogo il collegio rileva che, applicandosi nella fattispecie la disciplina dell’art. 366 bis c.p.c. (poichè la sentenza impugnata risulta pubblicata il 31 ottobre 2008), il ricorrente non si è attenuto alla rigorosa osservanza di tale norma nell’individuazione del necessario quesito di diritto (cfr. Cass., S.U., n. 26022 del 2008, ord.) poichè la formulazione di quest’ultimo – non propriamente specifica e del tutto chiara nel suo svolgimento complessivo – non permette, in modo preciso, univoco ed immediatamente intellegibile, di evincere l’indicazione del fatto che si assume aver costituito oggetto dell’errore con l’esposizione delle ragioni per cui l’errore presentava i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c., n. 4 (concludendosi con la proposizione dell’interrogativo rivolto a questa Corte di verificare la eventuale sussistenza di detto errore senza, però, precisarne, ancorchè sinteticamente, i presupposti giuridici che avrebbero dovuto indurre a ravvisarne la configurabilità).

Ad ogni modo il collegio ritiene che, nel caso di specie, non si verte nell’ipotesi di un errore di fatto revocatorio tale da legittimare la proposizione del ricorso ex art. 391 bis c.p.c., con riferimento al successivo art. 395, n. 4.

Sul piano generale si osserva che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 5075 del 2008, ord.; Cass., S.U., n. 26022 del 2008, ord., cit.; Cass. n. 16136 del 2009 e, da ultimo, Cass. n. 22171 del 2010), l’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, e che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato; pertanto, l’errore in questione presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio.

E’ stato, poi, in particolare, affermato (cfr. Cass. n. 16447 del 2009, ord.) che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonchè posto a fondamento dell’argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità.

Orbene, nella fattispecie, il ricorrente si duole che, nella sentenza n. 26329 del 2008, questa Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dello stesso V.P. sul presupposto che l’integrazione del contraddittorio (disposta con ordinanza del 21 giugno 2007 nei confronti di V.I., della s.a.s. Publi Auto e della s.a.s. Beta Tre) era stata effettuata in violazione dell’art. 330 c.p.c. (ovvero non eseguendola alla parte personalmente nel termine perentorio assegnato, bensì nei domicilio eletto per il giudizio di secondo grado), senza tener conto che, con successiva ordinanza adottata l’11 gennaio 2008, era stata ordinata la rinnovazione della stessa notificazione, che era stata eseguita personalmente a mani del destinatario V.I..

Occorre, tuttavia, rilevare che, con l’impugnata sentenza, questa Corte non è, in effetti, incorsa in un errore di fatto avendo provveduto ad una corretta applicazione del principio scaturente dal combinato disposto degli artt. 330 e 331 c.p.c., considerando, conseguentemente, inammissibile l’integrazione del contraddittorio sulla scorta della prima invalida notificazione, con la specificazione che il V.P. aveva rivolto il suo ricorso solo nei confronti di V.A., senza che potesse attribuirsi alcuna efficacia sanante alla costituzione nel giudizio di legittimità dello stesso V.I., che era intervenuta prima della suddetta notificazione e che era stata riferita esclusivamente all’impugnazione proposta con il ricorso principale da V.A.. Provvedendo in tal senso, sul piano della mera interpretazione di una questione giuridica risolta nei riportati termini, questa Corte, mediante l’impugnata sentenza, ha inteso ravvisare l’inammissibilità del ricorso incidentale sulla scorta dell’assorbente motivo evidenziato, sul presupposto implicito dell’irrilevanza della notificazione successivamente eseguita dalla difesa del V.P. (ancorchè a seguito della richiamata ordinanza di rinnovazione) perchè comunque superata dalla violazione del termine perentorio riguardante la prima notifica. A tal proposito, con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte ha inteso uniformarsi – nel porre riferimento, quale adempimento da valutare in via esclusiva, all’invalidità della prima notificazione e alla improrogabilità del relativo termine assegnato (così intendendo rilevare "a posteriori" l’insussistenza dei presupposti per far luogo all’emissione della successiva ordinanza di rinnovazione della notificazione, da considerarsi, quindi, implicitamente revocata e, comunque, tale da non incidere decisivamente sul vizio rilevato con riguardo alla prima notificazione, dovendosi ritenerlo insanabile) – al principio della stessa giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4861 del 2006;

Cass. n. 7528 del 2007; Cass. n. 749 del 1009) alla stregua del quale il termine assegnato ex art. 331 c.p.c., per l’integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione è perentorio e il mancato rispetto di esso, da rilevarsi d’ufficio indipendentemente dalle eccezioni o difese della controparte e non sanabile neppure dalla tardiva costituzione di quest’ultima, non può essere prorogato, neppure sull’accordo delle parti, per l’espresso divieto fattone dall’art. 153 c.p.c., sicchè l’eventuale proroga concessa dal giudice è da considerarsi affetta da nullità, anch’essa rilevabile d’ufficio (come deve ritenersi che la Corte abbia inteso, sulla scorta di un passaggio argomentativo logicamente presupposto, sostenere nel caso di specie). Anche recentemente, al riguardo, è stato statuito (cfr. Cass. n. 17416 del 2010) che, nei giudizi di impugnazione, la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, essendo nulla la notificazione al procuratore predetto, precisandosi, peraltro, che il termine assegnato per l’integrazione del contraddittorio ha natura perentoria e non può, quindi, essere prorogato o rinnovato, e la sua inosservanza deve essere rilevata d’ufficio, salvo che la parte onerata alleghi l’impossibilità di osservare il primo termine per causa ad essa non imputabile e chieda, nella sussistenza di questa sola eventualità, nuovo termine per provvedere alla notifica (eventualità, questa, pacificamente non dedotta nella fattispecie e della quale, comunque, non ricorrevano le condizioni).

2. In definitiva, alla luce delle esposte ragioni, non può ritenersi che questa Corte, con l’impugnata sentenza, sia incorsa in un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4), tale da legittimarne la revocazione, avendo risolto, in applicazione di appositi principi e di un’adeguata interpretazione normativa, una determinata questione giuridica implicata dall’inosservanza di un necessario adempimento processuale sottoposto al rispetto di una specifica modalità notificatoria e di un termine perentorio ed improrogabile.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 14 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2012
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