Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1381 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione dell’8/2/1994 N.J. conveniva in giudizio T.P., proprietario di una villetta confinante con la villetta dell’attore e chiedeva il riconoscimento della proprietà esclusiva sul muro di confine e il diritto di uso esclusivo delle canne fumarie nonchè la condanna del convenuto alla chiusura di un bocchettone che si trovava su una canna fumaria e al quale era allacciato un aeratore per lo scarico delle esalazioni della cucina del T.; chiedeva inoltre dichiararsi l’inesistenza di un diritto di veduta del T., il rispetto delle distanze legali e la demolizione di opere abusivamente eseguite. Il T. si costituiva e chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’attore al ripristino della canna fumaria da lui rimossa e il risarcimento dei danni provocati dai lavori edilizi dallo stesso attore eseguiti e che, a dire del T., avevano provocato crepe e infiltrazioni di acqua e lo avevano costretto a subire la privazione dell’uso del locale cucina per mancanza di sfogo dei fumi nocivi e pericolosi.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 16/12/2004 rigettava tutte le domande del N. e, in accoglimento delle domande riconvenzionali, lo condannava a ripristinare, con spese a suo esclusivo carico, la canna fumaria rimossa e a risarcire i danni subiti dal T., liquidati in Euro 150.000; dichiarava consolidata qualsiasi irregolarità dell’immobile del convenuto per il decorso del tempo, in virtù del quale il convenuto aveva acquisito per usucapione il diritto a non vedersi limitata la veduta dal proprio terrazzo. Il N. proponeva appello al quale resisteva il T..

La Corte di Appello di Milano con sentenza del 19/11/2007 rigettava l’appello e, modificando il terzo capoverso del dispositivo della sentenza appellata (laddove si dichiarava consolidata ogni irregolarià e si riconosceva l’acquisto del diritto del T. a non vedersi limitata la veduta dal proprio terrazzo), accertava la regolarità del manufatto, definito gabbiotto, realizzato sul terrazzo di proprietà del T..

La Corte territoriale rilevava:

– quanto alla censura di extrapetizione in ordine alla comproprietà del muro di confine, che la sentenza appellata non conteneva alcuna pronuncia in merito alla proprietà del muro di confine, ma si limitava ad accertarne la comproprietà al solo fine di rigettare le domande attoree e che il convenuto aveva espressamente richiesto la declaratoria di comproprietà, ma non aveva proposto appello incidentale per la mancata pronuncia;

– quanto alla domanda di riduzione in pristino per le opere diverse e ulteriori rispetto alle canne fumarie, che la domanda, proposta in corso di causa, non era tardiva tenuto conto del rito all’epoca applicabile che la consentiva e perchè si trattava di domanda relativa a opere realizzate dall’attore in corso di causa e rispetto alle quali, in corso di causa, il convenuto aveva proposto ricorso per danno temuto;

nel merito che il muro divisorio posto tra le due costruzioni era un muro comune;

– che la maggiore altezza della costruzione dell’attore fino al 1949 (anno in cui la costruzione del convenuto fu portata alla stessa altezza di quella dell’attore) non comportava l’acquisto a favore dell’attore di quanto costruito dal T. sulla proiezione verso il basso della falda del tetto dell’attore perchè, al contrario, la proprietà del T. si estendeva verso l’alto fino ad arrivare alla falda del tetto: lo spiovente del tetto non trasformava in proprietà del proprietario del tetto tutto ciò che si trovava al di sotto dello spiovente;

– che il cosiddetto gabbiotto realizzato dal T. sulla propria terrazza sin dal 1949 e sicuramente in epoca largamente anteriore alla sopraelevazione realizzata dal N. non era posto a distanza irregolare dalla costruzione del vicino e in tal senso doveva essere corretta la motivazione della sentenza nella parte in cui presupponeva una irregolarità sanata per il decorso del tempo;

– che invece violava le norme sulle distanze la successiva sopraelevazione del N. perchè il gabbiotto era stato costruito alla distanza di metri 1,50 dal confine tra le due proprietà e il N., sopraelevando, avrebbe dovuto rispettare la stessa distanza e costruire alla distanza di tre metri da 1 preesistente gabbiotto; la Corte di appello, sul punto, dava atto che il CTU aveva ritenuto regolare la sopraelevazione, ma criticava questa conclusione perchè in violazione del disposto dell’art. 873 c.c.;

– che avrebbe dovuto pertanto essere accolta, in ordine alla sopraelevazione, la domanda del T. di riduzione in pristino; il N. non aveva quindi interesse a lamentarsi della condanna per equivalente pronunciata ai sensi dell’art. 2058 c.c.;

– che la declaratoria dell’usucapione della servitù di veduta era pienamente legittima perchè il diritto era esercitato fin dal 1949;

– che la circostanza che una delle due canne fumarie (oggetto della domanda di ripristino) fosse al servizio del T. era provata dagli elementi oggettivi rilevati dal CTU che trovavano conferma nella narrativa dell’atto di citazione oltre che nelle dichiarazioni dello stesso N.;

– che la somma liquidata a titolo di risarcimento comprendeva sia il danno per i lavori di rimozione di una scala e di sistemazione della copertura, sia il risarcimento per equivalente per la realizzazione della sopraelevazione, sia i danni per la limitazione dell’areazione, della veduta e della mancata utilizzazione della canna fumaria; la somma liquidata non era eccessiva tenuto conto del costo delle riparazioni, della stima equitativa del danno per le limitazioni subite e del valore economico della sopraelevazione la cui mancata demolizione deve essere surrogata con un equivalente economico.

N.J. propone ricorso affidato a cinque motivi.

T.P. resiste con controricorso ulteriormente illustrato con memoria; il contro ricorrente in via preliminare eccepisce l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6 e art. 366 bis c.p.c. in relazione alla genericità della formulazione dei quesiti e inoltre per mancata specificazione degli atti e documenti sui quali si fonda il ricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 31.8.3 del regolamento edilizio del Comune di Milano di cui alla Delib. 18 maggio 1983, n. 28.492 nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente sostiene che il CTU aveva rilevato che la sopraelevazione del N. rispettava il regolamento edilizio vigente all’epoca della sua realizzazione, mentre il gabbiotto del T., all’epoca della sua realizzazione avrebbe dovuto rispettare la distanza di tre metri di cui all’art. 873 c.c..

Quanto alla violazione delle distanze di cui all’art. 873 c.c., che disciplina la distanza tra le costruzioni, la censura è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza:

il giudice ha ritenuto l’insussistenza della violazione, in motivato e condivisibile dissenso rispetto alle conclusioni del CTU perchè quando il gabbiotto fu costruito (non risultando che fosse stato costruito nella vigenza delle più restrittive norme regolamentari edilizie) non esisteva alcuna costruzione frontistante e il gabbiotto fu costruito ad oltre metri 1,50 dal confine, rispettando quindi, l’analoga facoltà di costruire del vicino; mentre quando e stata realizzata la sopraelevazione, esisteva la costruzione antistante e doveva essere rispettata la distanza di 3 metri da tale costruzione.

Pertanto non sussiste neppure la dedotta violazione del regolamento edilizio del Comune di Milano che consente la costruzione in fregio al confine, in aderenza a muri di fabbrica esistenti, non risultando l’esistenza di un muro di fabbrica cui aderire; non sussiste contraddizione nella motivazione perchè per le due costruzioni vigevano regole diverse in relazione all’anno di rispettiva costruzione e alla situazione delle edificazioni dei fondi confinanti al momento della loro costruzione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione in relazione alla quantificazione del danno tenuto conto che per la riattivazione ella canna fumaria il CTU aveva stimato un costo di Euro 2.480 e tenuto conto che non poteva essere invocato un diritto di veduta dal tetto di casa, non essendo equiparabile ad un terrazzo anche per la presenza di un parapetto di appena 80 c.m..

3. Il motivo è infondato e deve essere rigettato perchè la Corte distrettuale ha dato conto delle voci di danno oggetto di liquidazione, riferendosi al danno per i lavori di rimozione di una scala e di sistemazione della copertura, al risarcimento per equivalente per la realizzazione della sopraelevazione, ai danni per la limitazione dell’aerazione, della veduta (l’idoneità del terrazzo, in quanto munito di parapetto, di consentire la veduta, che si contesta nel motivo di ricorso, non risulta avere formato oggetto di contestazioni nella fase di merito) e della mancata utilizzazione della canna fumaria.

La Corte di Appello ha, poi, valutato non eccessiva la liquidazione del giudice di prime cure con riferimento non solo al costo delle riparazioni e alla valutazione equitativa del danno per le limitazioni subite, ma anche al valore economico della sopraelevazione la cui mancata demolizione deve essere surrogata con un equivalente economico e ha infine rilevato, con motivazione neppure censurata dal ricorrente, che il valore economico della sopraelevazione da assumersi come riferimento per la liquidazione per equivalente, dovrebbe, da solo giustificare la liquidazione di un ammontare addirittura superiore a quello liquidato dal primo giudice, tenuto conto degli attuali valori immobiliari.

In conclusione deve affermarsi che nella valutazione equitativa del danno il giudice del merito, che esercita un potere ampiamente discrezionale, ha adempiuto l’obbligo il cui adempimento è suscettibile di sindacato da parte di questa Corte di legittimità, ossia l’obbligo dar conto di quali elementi della fattispecie ha tenuto conto nel decidere equitativamente (cfr. Cass. 25/9/1998 n. 9588; Cass. 29/7/2005 n. 16094).

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 167 e 112 c.p.c. in quanto il giudice di primo grado e il giudice di appello investito dello specifico gravame non avrebbero accolto la sua eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale di riduzione in pristino con riferimento alle opere ulteriori e diverse dalla canna fumaria in quanto domanda proposta solo con la precisazione delle conclusioni e sulla quale non aveva accettato il contraddittorio.

5. La censura è inammissibile perchè non attinge la ratio decidendi della sentenza quanto alla proponibilità della riconvenzionale in corso di causa; la Corte di Appello, infatti, non ha trascurato di considerare l’eccezione di tardività della domanda riconvenzionale (v. pag. 12 e 13 della sentenza di appello), ma ha ritenuto che la decadenza di cui all’art. 167 c.p.c. non poteva applicarsi con riferimento alle domande che non potevano essere proposte con la comparsa di costituzione perchè, come nella specie, fondate su fatti successivi all’instaurazione del giudizio, ossia le nuove opere realizzate dall’attore in corso di causa, alle quali era estesa l’originaria domanda di riduzione in pristino.

In sostanza la Corte distrettuale ha fondato la decisione per la ritenuta esistenza di fatti nuovi e successivi, costituenti sviluppo di quelli già oggetto di controversia, che giustificavano la domanda riconvenzionale; la Corte ha inoltre richiamato la motivazione del primo giudice circa l’applicabilità, nel caso concreto, dell’art. 184 c.p.c. nella vecchia formulazione (ossia prima della riforma entrata in vigore il 30/4/1995, trattandosi di controversia instaurata nel 1994) che consentiva la modifica delle domande ed ha ritenuto che la domanda proposta fosse implicita nell’oggetto della causa (v. pag. 9 della sentenza di appello nel richiamo alla sentenza di primo grado che viene espressamente condivisa a pag. 12). Pertanto non è pertinente la censura di violazione dell’art. 167 c.p.c. così come non è congruo il quesito posto in merito alla pretesa violazione dell’art. 167 c.p.c. (ciò costituendo ulteriore motivo di inammissibilità del motivo per mancata formulazione di congruo quesito): l’art. 167 c.p.c. è stato ritenuto inapplicabile dai giudici del merito in quanto è stata ritenuta applicabile la disciplina del previgente art. 184 c.p.c. con la conseguente ammissibilità della domanda perchè integrazione della domanda precedentemente proposta, imposta da nuovi e ulteriori violazioni poste in essere dalla controparte. Come detto, questa ratio decidendi non è stata minimamente contestata e il motivo è inammissibile.

6. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 880 c.c. e il vizio di motivazione. Egli assume che a partire dal 1995 il muro è di sua proprietà e che lo ha sopraelevato, a partire dalla quota in cui, in precedenza, il muro era comune.

7. Il motivo è infondato con riferimento al muro divisorio costituente sopraelevazione, in quanto i giudici del merito ne hanno riconosciuto la proprietà attorea e hanno invece correttamente ritenuto comune il muro divisorio fino al solaio di copertura, ossia fino al punto in cui uno degli edifici (quello del N.) iniziava ad essere più alto.

8. Con il quinto motivo si deduce il vizio di omessa motivazione della decisione con la quale si è ritenuto che una delle due canne fumarie fosse di proprietà del T..

9. Il motivo è infondato: la sentenza impugnata, con riferimento alla proprietà della canna fumaria, è motivata sulla base gli elementi oggettivi rilevati dal CTU che trovavano conferma nella narrativa dell’atto di citazione oltre che nelle dichiarazioni dello stesso N.; il ricorrente mostra di non condividere il ragionamento deduttivo del CTU, ma, con ciò chiede inammissibilmente a questa Corte una nuova valutazione di merito, mentre il vizio di motivazione per le dette ragion, non sussiste.

10. Restano assorbite le ulteriori eccezioni formulate dal controricorrente e il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna N.J. a pagare a T.P. le spese di questo giudizio di Cassazione che si liquidano in complessivi Euro 4.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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