Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1380 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23 maggio 1996 O.F. nella qualità di titolare della omonima ditta proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di La Spezia, avverso il decreto ingiuntivo n. 49/96 emesso dal Presidente del medesimo ufficio, con il quale gli veniva intimato il pagamento della somma di L. 50.180.451 in favore della CHIAPPINI s.r.l. per "fornitura servizi e materiali vari", esponendo di avere avuto dal 1991 contatti con la società opposta per varie forniture che risultavano regolarizzare periodicamente e che, in occasione di una verifica, veniva riscontrata la richiesta di pagamento di fatture per forniture relative a rapporti con la società Vic Italiana, fino alla concorrenza di L. 26.205.224, i cui materiali erano stati solo depositati presso il deposito della opponente e di cui si era impegnata al pagamento del solo trasporto, per cui metteva a disposizione la somma di L. 13.700.000 che risultava di spettanza.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della società opposta che contestava gli assunti della controparte, il Tribunale adito, espletata istruttoria, comprensiva di c.t.u. contabili, accoglieva parzialmente l’opposizione e condannava l’opponente ai pagamento della somma di Euro 20.382,26, oltre rivalutazione ed interessi legali.

In virtù di rituale appello interposto dall’ O., con il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse erroneamente valutato i fatti e le risultanze delle prove orali e delle c.t.u., la Corte di appello di Genova, nella resistenza dell’appellata, accoglieva il gravame e in riforma della decisione di primo grado, accertava in complessivi Euro 3.324,94 il credito vantato dalla CHIAPPINI s.r.l..

A sostegno dell’adottata sentenza la corte distrettuale evidenziava che sebbene dalle risultanze istruttorie emergesse univocamente che l’accordo CHIAPPINI – O. per le merci fornite all’ O. dalla VIC ITALIANA legittimava la società CHIAPPINI ad ottenere dall’ O. esclusivamente il pagamento delle accessorie prestazioni di deposito e trasporto delle merci dai magazzini della CHIAPPINI ai cantieri dell’ O., la società CHIAPPINI, in ordine a dette merci – regolarmente pagate dall’ O. alla fornitrice VIC ITALIANA – aveva invece emesso nei confronti dell’ O. e pretendeva il pagamento di vere e proprie fatture di vendita esponenti importi del tutto incomprensibili con le prestazioni accessorie compiute.

Concludeva nel senso che alla somma accertata dal giudice di prime cure pari a L. 31.043.216, doveva, pertanto, essere detratta l’ulteriore cifra di L. 24.605.224, non dovuta, perchè relativa alle sei fatture emesse dalla CHIAPPINI nei confronti dell’ O. per merci direttamente acquistate e pagate dall’ O. alla fornitrice VIC ITALIANA, per cui il debito effettivo della O. ammontava a L. 6.437.992, pari ad Euro 3.324.94.

Pure non dovuta era la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, ma i soli interessi legali.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione la CHIAPPINI s.r.l., che risulta articolato su un unico motivo seppure prospettando quattro errori in cui sarebbe incorso il giudice del gravame, al quale ha resistito l’ O. con controricorso.

Ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. il controricorrente.

Motivi della decisione

Con un unico motivo la società ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere il giudice di appello commesso quattro errori nella interpretazione delle prove e nell’applicazione degli elementi emersi dall’istruttoria del primo giudizio. In particolare la corte distrettuale avrebbe ritenuto il decreto ingiuntivo emesso anche per le n. 6 fatture relative ai rapporto con la società Vic Italiana, mentre erano riferite solo a mercè effettivamente acquistata dall’ O., come evidente dalla consulenza della Dott.ssa A. in cui viene chiarito che quelle indicate nel d.i. non sarebbero quelle relative al rapporto controverso con la Vic Italiana.

In secondo luogo la corte di merito avrebbe ritenuto corrisposta la somma di L. 24.605.224, senza tenere conto che dalle risultanze della consulenza basate sulla contabilità delle tre società coinvolte, l’ O. avrebbe pagato due volte l’importo, mentre – come sostenuto dalla CHIAPPINI – si trattava di fatture fittizie, emesse per facilitare i rapporti fra le parti.

Quest’ultima considerazione evidenzierebbe – ad avviso della ricorrente – l’erroneità della decisione laddove ha concluso per la non attendibilità dei testi circa la corrispondenza delle sei fatture con il rapporto con la Vic Italiana.

Infine rileva che pur ammettendo la detrazione degli importi di L. 13.700.000 e L. 24.605.224, per complessive L. 38.305.224, il credito a favore della CHIAPPINI ammonterebbe a L. 11.875.227 e non a quello minore riconosciuto dalla corte di merito.

Occorre preliminarmente rilevare che trattandosi di controversia disciplinata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, va ritenuto che la formulazione del quesito di diritto – richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. – è compatibile con la linea interpretativa che si è affermata in questi anni in Corte. Il quesito – al pari del motivo – è stato sviluppato in quattro punti, il che appare ammissibile allorquando due o più proposizioni risultino intimamente connesse, per la loro funzione unitaria, sotto il profilo logico e giuridico, in relazione al motivo svolto, servendo a consentire, senza equivoci, una risposta tale da definire la causa nel senso voluto dalla ricorrente. Del resto le enunciazioni dedotte dalla parte valgono a circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto di esse (v. Cass. 6 novembre 2008 n. 26737; Cass. SS.UU. 26 marzo 2007 n. 7258), senza alcuna differenza rispetto alla formulazione che assuma la veste interrogativa, restando comunque assolta la funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, in una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche, idonee ad evidenziarla, come richiesto dalla condivisibile giurisprudenza già formatasi (cfr.

Cass. 18 luglio 2007 n. 16002), trattandosi peraltro nella specie di vizio denunziato ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per cui è sufficiente che l’illustrazione contenga la chiara indicazione del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume che sia omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza la renda inidonea a giustificare la decisione (v. Cass. 18 gennaio 2008 n. 976).

Quanto al merito del ricorso, il collegio reputa che esso sia infondato.

Con i primi tre errori – da valutare unitariamente perchè connessi, avendo ad oggetto l’interpretazione delle risultanze probatorie – vengono dedotte censure sia in ordine all’importo indicato in decreto ingiuntiva che sarebbe da riferire esclusivamente alla merce acquistata dall’ O. sia sull’accertamento concernente le forniture effettuate alla Vic Italiana, nonchè la questione della attendibilità dei testi escussi.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per Cassazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, non potendo detti vizi consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte. Infatti, spetta solo al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (ex plurimis, Cass. 28 luglio 2005 n. 15805; Cass. 7 agosto 2003 n. 11936; Cass. 7 agosto 2003, n. 11918). Diversamente, il motivo si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, al quale, quindi, neppure può imputarsi d’avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione la circostanza che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (v. Cass. 16 luglio 2005 n. 15096; Cass. 23 gennaio 2003 n. 996; Cass. 30 marzo 2000 n. 3904).

Pertanto, la denuncia del vizio di motivazione va effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senèo comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati dall’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento svolto dai giudice del merito, quale risulta dalla sentenza. In altri termini, il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze o a incongruenze così gravi da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione adottata (v. Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134), restando escluso che con il vizio in esame la parte possa essere fatto valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice del merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi rispetto alle proprie aspettative e deduzioni, Nel quadro di detti principi, la deduzione che la sentenza impugnata avrebbe inesattamente ricostruito il rapporto, erroneamente affermando l’insussistenza dell’obbligazione di pagamento delle forniture richieste in monitorio è palesemente infondata sia perchè la interpretazione data dal Collegio distrettuale degli accordi intervenuti fra le parti, in particolare quanto ai materiali riguardanti la Vic Italina, di cui si assume la violazione, è congruamente argomentata, essendo fondata sull’assunto che trattoavasi di mercè venduta direttamente dalla CHIAPPINI alla Vic Italiana, e da questa pagata, ricostruzione della vicenda confortata sia dalle prove testimoniali assunte sia dalla consulenza tecnica di ufficio espletata, elementi di giudizio che raffrontati ai medesimi documenti fiscali evidenziavano l’esposizione in essi di importi relativi non solo alle operazioni di trasporto o recupero i.v.a., come concordato, bensì all’intero valore dei materiali per edilizia ivi indicati. Nè è contestato dalla ricorrente che vi fossero accordi trilateri (CHIAPPINI – VIC ITALIANA – O.), ma appunta le sue osservazioni solo alla non riconducibilità delle somme pretese in monitorio a detta convenzione.

Da ciò si deve dedurre che la censura di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa attiene alla valutazione del giudice di merito ed si risolve, perciò, in un inammissibile diverso apprezzamento di fatto delle risultanze processuali, dedotto senza indicare specificamente le illogicità, incongruità e manchevolezze che dovrebbero inficiare la pronuncia in esame.

Anche l’ultima censura, relativa all’errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la corte distrettuale nel determinare l’importo dovuto, è da respingere sia perchè generica, non contenendo critiche, oltre a quelle sopra esposte (non incidenti sui calcoli), ai rilievi presi in esame nella sentenza per giungere alle conclusioni sopra riferite, sia perchè si tratta di mera affermazione non circostanziata, a fronte di un argomentato percorso motivazionale del giudice di merito nell’esporre le voci da detrarre al credito preteso.

Il ricorso va, dunque, respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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