Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1379 Demanialità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Con sentenza del 3 aprile 2001, il tribunale di Venezia rigettava le domande proposte due anni prima dalla Residence gestioni turistiche S.r.l., la quale aveva chiesto, in via principale, che fosse accertata la natura privata del sedime in cui, nel 1990, aveva realizzato un invaso, al quale accedeva l’acqua dolce del fiume (OMISSIS), con impianti di terra per ormeggio natanti, destinando il tutto a darsena turistica; in via subordinata che le fosse riconosciuto un indennizzo pari al valore dei beni eventualmente trasferiti allo Stato.

La Residence srl proponeva appello, rilevando che beni del demanio marittimo erano solo quelli di origine naturale; che non erano applicabili i principi sul demanio idrico, nè l’art. 934 c.c..

Deduceva inoltre che erano state scorrettamente valutate le risultanze istruttorie relative alle caratteristiche materiali e funzionali della darsena.

Il Ministero delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti resistevano vittoriosamente al gravame, deciso dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza del 14 luglio 2005, notificata il 12 gennaio 2006. 1.1) Rifacendosi a Cass. n. 11211 del 1998, la Corte territoriale affermava che nell’ipotesi di realizzazione di una darsena sulla sponda di un fiume doveva ritenersi che, il terreno fosse divenuto anch’esso demaniale.

La società attrice ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 21 febbraio 2 006, resistito da controricorso dei Ministeri delle Finanze e delle Infrastrutture e dei trasporti, che hanno proposto anche ricorso incidentale condizionato.

La regione Veneto è rimasta intimata.

Il 3 ottobre 2011 è stato depositato atto di intervento, con mandato difensivo a margine, della Società Investimenti Nautici srl, qualificatasi acquirente dei beni su cui era stata realizzata la darsena.

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

2) Preliminarmente va dichiarato inammissibile l’intervento della Società investimenti nautici srl, costituitasi con mandato a margine dell’atto "di intervento ex art. 111 c.p.c.", in quanto nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45, (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2 (Cass. 7241/10).

Va peraltro ricordato che secondo la giurisprudenza maggioritaria il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. 11375/10; 7986/11).

3) Con il primo motivo parte ricorrente lamenta: a) violazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione degli artt. 28,29, 33, 35 c.n., nonchè degli artt. 934 e 943 c.c.; vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene che facendo pedissequa applicazione della citata sentenza del Supremo Collegio, la Corte territoriale ha eluso il tema dell’appello, costituito dalla necessaria origine naturale dei beni demaniali e dall’applicazione dei principi sul demanio idrico e sull’inseparabilità tra acqua e alveo in assenza dei presupposti.

Sostiene inoltre che è contraddittorio affermare un ampliamento del demanio marittimo avvenuto in forza delle norme relative a diverso regime, cioè a quello concernente il demanio idrico lacuale.

Evidenzia che la sentenza da un lato ha esteso il principio di cui a Cass. 11211/98 anche alla realizzazione della darsena su suolo sito sulla sponda di un fiume, dall’altro ha riconosciuto il collegamento della struttura al demanio marittimo, illogicamente facendo riferimento alla salinità parziale delle acque e alla possibilità dell’uso pubblico del bene.

3.1) Conviene in primo luogo esaminare il profilo relativo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia; detta censura non sussiste, giacchè la Corte d’appello, pur se con motivazione che ha accumulato confusamente gli argomenti in favore della tesi della demanialità, ha inteso dare risposta alle doglianze svolte avverso la sentenza di primo grado, che trovavano, secondo la Corte territoriale, assorbente soluzione.

La Corte veneziana ha infatti affermato che la darsena era in diretta comunicazione con il fiume (OMISSIS) quasi alla confluenza con il mare ed in zona di demanio marittimo.

Ha ritenuto inoltre irrilevante l’argomentazione secondo la quale l’invaso conteneva solo acqua dolce, con minimo cuneo salino, perchè "il contenuto salino dell’acqua è identico a quello del tratto di demanio marittimo con cui la darsena è in comunicazione".

Quanto all’uso privato della darsena da parte soltanto di chi aveva stipulato un contratto di ormeggio, ha osservato che ai fini della natura demaniale è sufficiente che un bene sia idoneo a essere utilizzato dalla generalità dei soggetti, restando sempre possibile la modifica della convenzione che temporaneamente ne regola l’uso in favore di alcuni privati.

Le argomentazioni testè riferite – e quella principale, fondata sul richiamo al demanio lacuale – prestano il fianco alle critiche di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ma hanno risolto il tema del decidere, costituito dalla natura del bene di cui si chiedeva il riconoscimento della proprietà. 3.2) Per censurare la decisione, il ricorso, richiamando la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato n.1601/03), illustra le proprie tesi sulla natura tassativamente naturale dei porti, menzionati nell’art. 822 c.c., e art. 28 c.n., e deduce che la destinazione di un molo ad approdo di imbarcazioni non ne determina la demanialità, se non dopo che lo Stato lo abbia acquistato, tanto che la necessità delle concessioni demaniali sorge solo se vi è demanialità. Invoca in proposito Cass. 968/79 e richiama l’art. 35 c.n., a mente del quale le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo.

4) Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 28, 29 e 33 c.n., nonchè falsa applicazione degli artt. 934 e 943 c.c..

Omessa e insufficiente motivazione.

Proseguendo nell’analisi di cui al primo motivo, il ricorso richiama Cass. n. 1552/02 ed evidenzia le contraddittorietà della sentenza in ordine alla ubicazione della darsena e alle conseguenze che ne ha tratto. Aggiunge che la Corte d’appello avrebbe errato nell’interpretare l’art. 943 c.c., perchè se fosse applicabile questa norma (relativa a laghi e stagni) rientrerebbero nell’alveo solo le sponde e le rive interne dei fiumi non quelle esterne: la sentenza avrebbe però omesso di dire perchè ha ritenuto che la darsena sia stata realizzata nell’alveo del fiume o nelle sponde interne dello stesso.

5) Le censure colgono nel segno.

La Corte d’appello di Venezia ha ritenuto di applicare il seguente principio, tratto da Cass. SU 11211/98: "Nell’ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull’alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l’acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell’acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato, salvo il diritto della P.A. alla derivazione. Al contrario, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch’esso demaniale".

Ha esteso questa ipotesi alla realizzazione di darsena su suolo sito sulla sponda di un fiume e, trattandosi di comprensorio sito "in zona di demanio marittimo" ha ritenuto che vi sia inseparabilità rispetto al mare, concludendo per il carattere demaniale della darsena.

5.1) Orbene, sussistono in siffatto argomentare evidenti vizi di motivazione relativi all’accertamento di fatto, che, secondo ordine logico, devono essere esaminati con precedenza, giacchè non si può affermare che vi sia stata violazione di legge o falsa applicazione di una norma se è incerta o confusa, rispetto alle possibili fattispecie, la determinazione dei fatti di causa e, in particolare, della conformazione e ubicazione della darsena di cui si discute.

Il vizio denunciato sussiste in quanto la condizione dei luoghi è stata ricondotta dalla sentenza impugnata a plurime ipotesi normative, ancorchè tra loro contrastanti.

Mette conto in primo luogo sottolineare che l’insegnamento di Cass. SU 11211/98 è stato completato da SU 1552/01, a mente della quale "E’ esclusa la demanialità della darsena costruita su suolo privato circondato da proprietà privata con accesso al lago mediante un lungo canale che regola il flusso e il deflusso delle acque, in assenza di una modificazione strutturale del lago, quale situazione di fatto, mediante espansione dell’alveo fino alla darsena, valevole come modo di acquisto per tale bene artificiale della qualità di bene pubblico".

Questa importante distinzione evidenzia, sempre con riferimento all’ipotesi lacustre presa come riferimento dalla Corte d’appello, la configurabilità di una darsena privata, se scavata in suolo privato e senza modificare quindi la conformazione strutturale (alveo) del bacino d’acqua demaniale di alimentazione. A fronte di questa ipotesi, che sembra più simile al caso di specie di quella intuibile da Cass. 11211/98, il giudice di merito era chiamato ad una puntuale ricognizione circa le vicende costruttive della darsena e le caratteristiche del rapporto tra essa e il corso d’acqua (fiume (OMISSIS)), che ne è principale fonte di alimentazione.

Si è limitato invece a richiamare, senza puntuale descrizione, la documentazione fotografica disponibile.

5.2) Un altro profilo di contraddizione e inadeguatezza concerne l’affermazione secondo cui si verterebbe nell’ambito del demanio marittimo, a causa della inseparabilità del contatto "rispetto al mare o, il che è lo stesso, al fiume (OMISSIS)".

Sono però diverse le norme che identificano da un lato il demanio marittimo e i porti naturali, che ne fanno parte, e dall’altro il demanio lacuale, sicchè non è comprensibile l’assimilazione delle due prospettazioni.

Diverso è anche il regime del demanio idrico, con riferimento al quale il ricorso ha opportunamente ricordato che, secondo Cass. 12701/98, "Fanno parte del demanio idrico, perchè rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie (mentre le sponde e le rive esterne, che possono essere invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi), ed altresì gli immobili che assumano natura di pertinenza del medesimo demanio per l’opera dell’uomo, in quanto destinati al servizio del bene principale per assicurare allo stesso un più alto grado di protezione.

5.3) Alla sentenza impugnata, che ha valorizzato la inseparabilità di darsena e fiume e la collocazione in zona marittima, è sfuggita un’altra differenza che doveva orientarne l’accertamento in fatto e conseguentemente la qualificazione giuridica della fattispecie.

Ai sensi dell’art. 28 c.n., fanno parte del demanio marittimo (c. 822): a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; e) canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

Differente è il regime delle pertinenze del demanio marittimo di cui all’art.29, che stabilisce che sono considerate tali, entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, ma non quelle dei privati.

Da questa distinzione doveva insorgere la necessità di stabilire in forza di quale fatto giuridico e di quale disposizione, non trattandosi qui di demanio lacuale, un’opera artificiale fosse stata sussunta nel demanio marittimo.

La disposizione di cui all’art. 28 e taluni ragionamenti svolti in sentenza sembrerebbero far credere infatti che la darsena sia stata considerata demaniale non in forza del dichiarato inquadramento di cui a Cass. 11211/98, ma ravvisando in essa un bacino salmastro, il che comporta accertamenti in fatto ben più precisi e stringenti, posto che si discute di una darsena alimentata dall’acqua del fiume (OMISSIS).

Occorreva pertanto stabilire se si trattasse di bacino di acqua salsa o salmastra comunicante "liberamente" con il mare, restando incomprensibile, in questa ottica, come sia stata negata rilevanza alla modestia della presenza di un imprecisato cuneo salino, che secondo la ricorrente ha minima consistenza.

E, sempre restando nell’ambito della disciplina di cui all’art. 28 cit., va ricordato che: "agli effetti dell’art. 28 c.n., lett. B), l’indispensabile elemento fisico-morfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interramento delle acque, non costituisce di per sè solo il fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essere accertato e valutato in senso finalistico – funzionale, in quanto, cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rivelando l’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, del bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ai pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico (Cass. 1863/84; 1300/99).

Ai fini dell’inserimento nel demanio marittimo necessario, oltre a più approfondita valutazione morfologica, era quindi necessaria la identificazione dell’elemento funzionale, che è considerato il vero "punto essenziale" di ogni indagine che voglia determinare questo regime di appartenenza (così Cass. n. 15846/11).

5.4) Conviene sottolineare che non è leggibile come accertamento della riconducibilità del bacino ai "pubblici usi del mare", la valutazione resa in sentenza concernente l’utilizzabilità della darsena da parte della generalità dei terzi quale porto.

Quest’ultimo è infatti un bene avente caratteristiche diverse, inquadrato nel demanio naturale dall’art. 822 c.c., come ha sostenuto la giurisprudenza amministrativa menzionata in ricorso (cfr. la complessa motivazione di C. Stato n. 1601/03) e come perorato in dottrina da approfondimenti, anche recenti, in materia di proprietà dei porti turistici, in assonanza, che non può sfuggire, con SU 1552/01.

Ora, la sentenza impugnata, nell’attribuire demanialità alla darsena in relazione al suo uso proprio, quale porto turistico, non si è però interrogata sulla natura artificiale del bene in esame; ha quindi trasferito al bacino salmastro la caratteristica funzionale propria di un bene diverso, rispetto al quale doveva porsi altri interrogativi.

Questa commistione di piani, colta in ricorso, non solo è inaccettabile dal punto di vista logico, ma evidenzia l’intrinseca mancanza di un accertamento consapevole della natura del bene. Con riguardo alla necessaria demanialità dei porti turistici, i giudici di appello avrebbero dovuto infatti spiegare per qual motivo vi fosse riserva di demanialità in riferimento allo specifico bene.

La dottrina ha chiarito che il regime della riserva attiene al momento dell’appropriazione e si riferisce quindi a beni che non sono di proprietà del privato al momento in cui opera la riserva.

Se il bene è già oggetto di proprietà privata, può aversi un’espropriazione, che appunto colpisce la titolarità di diritti in capo ai consociati; se si tratta di beni artificiali, la demanialità è l’effetto, è stato scritto, di un atto della P.A. volto a destinare il bene ad un servizio o ad una funzione, pur se la scelta è dettata dalla possibilità di annoverare l’opera artificiale in una determinata categoria.

Nessuna delle considerazioni suesposte, distinzione tra demanio naturale e artificiale, tra bacino salmastro e porto, tra porto naturale e porto turistico ha orientato la verifica di fatto e la qualificazione data in sentenza.

Essa ha ritenuto il bene darsena sottratto alla proprietà privata senza una riflessione sul procedimento acquisitivo, adoperando impropriamente la normativa prevista per altre, sopra esaminate, configurazioni di beni demaniali.

Ha sostanzialmente attribuito contemporaneamente al bene più criteri di imputazione demaniale, tra loro incompatibili perchè riconducibili a consistenza diversa dell’oggetto de quo e a molteplici vicende realizzative, come il ricorso ha illustrato, richiamando anche il disposto dell’art. 33 c.n., a proposito del demanio marittimo e delle zone di proprietà privata, nonchè le norme del codice civile.

6) Discende da quanto sopra l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso per quanto in motivazione.

Resta assorbito il terzo motivo, che attiene all’illegittimo uso del fatto notorio per affermare la rilevanza del cuneo salino. E’ infatti da ripercorrere interamente l’accertamento fattuale necessario per l’inquadramento richiesto.

Resta assorbito anche il ricorso incidentale, che mira a far affermare la demanialità della darsena in forza del decreto ragionale che aveva approvato il progetto dei lavori in attuazione di un decreto ministeriale (del 15. 01. 1976) che aveva delimitato demanio marittimo e idrico.

Tutte queste argomentazioni troveranno sfogo nel giudizio di rinvio.

Un’altra sezione della Corte di appello di Venezia, oltre a conoscere dell’appello emendando i riscontrati vizi di motivazione, provvederà sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile l’intervento spiegato da Società Investimenti Nautici srl.

Accoglie per quanto in motivazione il primo e secondo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti il terzo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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