T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 11-10-2011, n. 7892 Professori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto del Rettore del 342008, l’Università degli studi di Roma Tre ha indetto una procedura di valutazione comparativa per cinque posti di professore universitario di prima fascia, tra cui un posto per il settore scientifico disciplinare ICAR 14 della Facoltà di Architettura, Composizione architettonica e urbana. Il bando, per tale settore scientifico disciplinare, prevedeva la produzione di un numero massimo di pubblicazioni pari a sette.

Partecipava alla procedura anche l’odierno ricorrente, già professore associato nel medesimo settore scientifico disciplinare Icar 14, presso l’Università La Sapienza.

A seguito della valutazione delle pubblicazioni e della prova didattica dei candidati non già professori associati (Franciosini, Furnari, Marone), sono risultati vincitori i candidati F.C. e L.F.. Con decreto rettorale del 2992010 sono stati approvati gli atti della procedura di valutazione comparativa.

Avverso tale provvedimento e avverso tutti gli atti e i verbali di tale procedura, nonché avverso il bando di concorso, nella parte in cui limitava a sette il numero di pubblicazioni da esaminare, ha proposto ricorso il prof. R.L. formulando i seguenti motivi di ricorso:

violazione degli artt. 2 e 4 del d.p.r. n° 117 del 2000;

eccesso di potere per difetto di motivazione;

violazione dell’art 8 del bando e dei criteri di valutazione delle pubblicazioni;

violazione dell’obbligo di astensione;

manifesto difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;

violazione del principio di continuità delle operazioni concorsuali.

Si sono costituiti l’Università Roma Tre e i controinteressati, contestando la fondatezza del ricorso.

All’udienza pubblica del 172011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Nell’ordine logico delle questioni proposte dal ricorrente devono essere esaminate per prime quelle relative alla impugnazione del bando e alla mancata astensione dei componenti della Commissione.

Sostiene, infatti, la difesa ricorrente la illegittimità del bando di gara, in quanto avrebbe previsto, senza alcuna motivazione al riguardo, la limitazione a sette delle pubblicazioni oggetto di valutazione.

L’Università ha eccepito la tardività di tale censura, in quanto avrebbe dovuto essere rivolta avverso il bando di concorso nei sessanta giorni dalla pubblicazione.

Tale eccezione non è suscettibile di accoglimento.

Come è noto, la giurisprudenza ritiene che la necessità della immediata impugnazione dei bandi di gara e di concorso sussista solo quando contengano prescrizioni che impediscano chiaramente la partecipazione o rendano impossibile formulare la domanda di partecipazione, quando siano quindi immediatamente lesive della posizione del candidati.

Nel caso di specie, la limitazione a sette delle pubblicazioni poteva rivelarsi lesiva della posizione del ricorrente solo a seguito dell’esito della procedura di valutazione comparativa.

La censura è, peraltro, infondata.

Infatti, ai sensi dell’art 2 comma 6 del d.p.r. n° 117 del 2000, ora abrogato dalla legge n° 183 del 4112010, il bando poteva prevedere limitazioni al numero di pubblicazioni scientifiche da presentare, a scelta del candidato, per la partecipazione a ciascuna procedura. L’inosservanza del limite comporta l’esclusione del candidato dalla procedura. La limitazione non deve comunque impedire l’adeguata valutazione dei candidati.

In primo luogo, tale limitazione non doveva essere oggetto di espressa motivazione nel bando, trattandosi di atto generale, per il quale, ai sensi dell’art 13 della legge n° 241 del 1990, non sussiste l’obbligo di motivazione.

L’unico requisito fondamentale posto dalla norma riguarda l’adeguata valutazione dei candidati.

Il numero delle pubblicazioni non deve essere così esiguo da rendere impossibile la valutazione dell’attività scientifica dei candidati.

La limitazione delle pubblicazioni da presentare non deve essere, quindi, tale da rendere inutile la valutazione dell’attività scientifica dei candidati.

Il numero di sette, per quanto particolarmente basso, tenuto conto che si tratta di un concorso a professore di prima fascia, non si può ritenere impedisca una adeguata valutazione, considerato anche che la scelta delle pubblicazioni da produrre appartiene ai singoli candidati.

Neppure si può ritenere tale numero assolutamente irragionevole, in relazione alla circostanza che per tale settore scientifico disciplinare anche altre Università hanno fissato un numero massimo di pubblicazioni piuttosto basso, tra le cinque e le otto.

Con ulteriore motivo di ricorso, si lamenta la mancata astensione dei componenti della Commissione prof. Cellini e prof Rossi Prodi considerati dalla difesa ricorrente commensali abituali rispettivamente del candidato Franciosini e del candidato Capanni.

E’ stata eccepita la tardività di tale censura, in quanto avrebbe dovuto essere proposta entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione del decreto di nomina, come previsto dal regolamento di ateneo e dall’art 3 comma 16 del d.p.r. n° 117 del 2000.

Tale eccezione di tardività non può essere accolta.

Come affermato già dalla sezione (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 gennaio 2009, n. 277) i vizi di nomina della Commissione di concorso possono essere fatti valere nel momento dell’impugnazione dei risultati della procedura concorsuale; il provvedimento di nomina dei componenti di una Commissione giudicatrice può essere impugnato dal partecipante alla selezione che si ritenga leso nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni concorsuali, si esaurisca il relativo procedimento amministrativo e divenga compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell’interessato (Consiglio Stato, sez. V, 28 ottobre 2008, n. 5378; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 14 aprile 2008, n. 3122). Infatti, il termine per l’impugnazione degli atti di concorso, diversi dall’esclusione dalla partecipazione o dai giudizi negativi formulati dalla Commissione sulle prove, decorre dalla data di conoscenza del relativo esito, coincidente con il provvedimento di approvazione della graduatoria, in quanto solo da tale atto può scaturire la lesione attuale della posizione degli interessati (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 dicembre 2010, n. 35389; Consiglio Stato, sez. V, 09 dicembre 2009, n. 7683).

La censura proposta dalla difesa del ricorrente relativa alla mancata astensione è infondata.

Si sostiene, infatti, la sussistenza di una causa di astensione ex art 51 cpc, in relazione alle circostanze di aver scritto opere in collaborazione e di prestare servizio nella medesima Università.

Tale censura non è suscettibile di accoglimento.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere non comporti l’obbligo di astensione del commissario, considerato che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica, che risponde alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca; non costituisce, quindi, ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale; l’obbligo di astensione sussiste solo quando l’attività di collaborazione si esplichi in una comunanza d’interessi economici (cfr Consiglio Stato, sez. V, 16 agosto 2011, n. 4782).

È irrilevante, ai fini dell’obbligo di astensione nei pubblici concorsi, la circostanza che il commissario e uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere, tenuto conto che la circostanza stessa deve ormai ritenersi, nella comunità scientifica, consueta e, addirittura, fisiologica, rispondendo alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non addirittura impossibile, la formazione di Commissioni esaminatrici in cui tali collaborazioni non siano presenti. La sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, cui siano estranei interessi patrimoniali, non appare elemento tale da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità, tenuto conto della composizione collegiale della Commissione e delle equipollenti esperienze e competenze dei membri, che introducono un controllo intrinseco, idoneo a pervenire alla scelta dei più meritevoli (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 01 aprile 2011, n. 2881; Consiglio Stato, sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5885).

Quanto ai rapporti di colleganza all’interno della medesima universitaria, questi di per sé non possono dare luogo alla abituale commensalità che, ex art 51 c.p.c., comporterebbe l’obbligo di astensione, né è stata fornita la specifica prova di alcun ulteriore rapporto che possa rientrare nella fattispecie dell’art 51 c.p.c..

A prescindere dalla valutazione dell’interesse del ricorrente alle censure relative alla erroneità della propria valutazione in confronto a quella dei candidati vincitori, avendo lo stesso riportato un giudizio complessivo identico a quello degli altri candidati, suscettibile di accoglimento e idoneo ad assorbire tutte le altre censure è il motivo di ricorso relativo alla genericità del giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice e alla carenza di motivazione.

Ad avviso della difesa ricorrente i giudizi dati ai candidati, sia singoli che collegiali, sono "così vaghi da risultare inutili ad assolvere la funzione comparativa".

Tale censura è fondata.

L’orientamento costante della sezione afferma, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che i giudizi espressi dalle Commissioni, in particolare nelle procedure di valutazione comparativa, sono espressione di discrezionalità tecnica e sindacabili solo nei limiti del travisamento dei presupposti di fatto, illogicità e irragionevolezza.

I giudizi delle commissioni di concorso sono, infatti, giudizi tecnico discrezionali sindacabili dal giudice amministrativo nei limiti della illogicità e irragionevolezza o del travisamento dei fatti, ovvero della non congruenza delle valutazioni operate dalla Commissione con le risultanze di fatto.

In particolare, nei concorsi per professore universitario la valutazione dei candidati comporta una ampia area di insindacabilità del giudizio da parte del giudice amministrativo. Il giudizio della Commissione è inteso a verificare e a misurare il livello di maturità scientifica raggiunto dai singoli candidati. Pertanto, costituisce espressione di una ampia discrezionalità tecnica riservata dalla legge al suddetto organo collegiale le cui valutazioni, riflettendo specifiche competenze solo da esso possedute, non possono essere sindacate nel merito dal giudice della legittimità, ma solo sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 gennaio 2009, n. 277; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 06 maggio 2008, n. 3706, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 01 aprile 2011, n. 2914)

Nel caso di specie, peraltro, come affermato dalla difesa ricorrente, i giudizi della Commissione appaiono talmente vaghi e generici, tali da non avere alcun carattere valutativo.

Risulta, infatti, dai verbali della procedura che i giudizi complessivi finali espressi dalla Commissione (allegato D) sono esattamente identici per i candidati C., C., C., F., F., L.: "confrontati e comparati i giudizi collegiali, la Commissione concorda nel valutare di ottimo livello il curriculum, l’attività e la produzione scientifica,didattica e progettuale presentata dal candidato e di ritenerli pienamente adeguati alle richieste del bando e ai criteri di massima allegati al verbale 1)".

Mancando, dunque, altri riferimenti di carattere valutativo, la prevalenza dei candidati vincitori, deriva solo dalla votazione dei Commissari, a cui fa riferimento il verbale n° 5.

Neppure, infatti, si può ritenere integrato il giudizio complessivo dai giudizi espressi dai singoli commissari. Tali giudizi analizzano l’attività scientifica dei candidati, rispetto ai cinque che hanno ottenuto una ottima valutazione complessiva, in termini molto positivi, ma in relazione all’attività di ognuno candidati senza mai esprimersi in termini che possano avere rilevanza omogenea ai fini di una successiva attività di carattere valutativo.

In particolare, la valutazione dei candidati è avvenuta senza far alcun riferimento ai criteri di cui all’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000, fatti propri dal bando di concorso, e ribaditi dalla Commissione nella prima seduta.

Dai verbali della Commissione non risulta, infatti, che siano stati osservati tali criteri né i criteri di massima che la Commissione si era posta in base all’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000.

La norma dell’art 4 prevede, infatti, che per valutare le pubblicazioni scientifiche e il curriculum complessivo del candidato la commissione tenga in considerazione i seguenti criteri:

a) originalità e innovatività della produzione scientifica e rigore metodologico;

b) apporto individuale del candidato, analiticamente determinato nei lavori in collaborazione;

c) congruenza dell’attività del candidato con le discipline ricomprese nel settore scientificodisciplinare per il quale è bandita la procedura ovvero con tematiche interdisciplinari che le comprendano;

d) rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni e loro diffusione all’interno della comunità scientifica;

e) continuità temporale della produzione scientifica, anche in relazione alla evoluzione delle conoscenze nello specifico settore scientificodisciplinare.

A tali fini la commissione fa anche ricorso, ove possibile, a parametri riconosciuti in àmbito scientifico internazionale.

Costituiscono, in ogni caso, titoli da valutare specificamente nelle valutazioni comparative:

a) attività didattica svolta anche all’estero;

b) i servizi prestati negli atenei e negli enti di ricerca, italiani e stranieri;

c) l’attività di ricerca, comunque svolta, presso soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri;

d) i titoli di dottore di ricerca e la fruizione di borse di studio finalizzate ad attività di ricerca;

e) il servizio prestato nei periodi di distacco presso i soggetti di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297;

f) l’attività in campo clinico e, con riferimento alle scienze motorie, in campo teoricoaddestrativo, relativamente ai settori scientificodisciplinari in cui siano richieste tali specifiche competenze;

g) l’organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca;

h) il coordinamento di iniziative in campo didattico e scientifico svolte in àmbito nazionale ed internazionale.

Nel caso di specie, i giudizi, individuali e collegiali, relativi ai singoli candidati appaiono meramente descrittivi delle caratteristiche specifiche di ogni singolo candidato dello svolgimento della propria attività scientifica e professionale, ma non fanno alcun riferimento a criteri uniformi, quali quelli indicati dal d.p.r. n° 117 del 2000.

E’ sufficiente far riferimento al giudizio collegiale sulle pubblicazioni di Franciosini: " architetto dotato di una matura riconoscibile e culturalmente fondata identità progettuale e poetica. Si dimostra capace di riversare queste qualità in una ampia ed intensa attività didattica particolarmente orientata e proficua", e al giudizio collegiale sulle pubblicazioni di L.: " candidato con proficua ed interessante attività di ricerca storicocritica, presenta una attività progettuale ampia e diversificata e un analogamente ampio ed intenso impegno didattico".

Nei giudizi collegiali come nei giudizi individuali sull’attività didattica e scientifica dei candidati sono dunque apprezzate le peculiarità specifiche di ogni singolo candidato, invece di ricondurre ad un criterio unitario di valutazione le attività di ognuno, proprio al fine di operare la valutazione comparativa.

A riprova della genericità della valutazioni operate dalla Commissione, anche il giudizio collegiale circa la prova didattica dei tre candidati che l’hanno svolta si è concluso con un giudizio identico per tutti: "la commissione valuta il candidato idoneo a sostenere la valutazione comparativa".

Il bando, invece, espressamente prevede che la prova didattica concorra alla valutazione complessiva, secondo quanto stabilito dal comma 9 dell’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000.

Risulta espressamente, poi, nel verbale che a seguito della espressione dei giudizi complessivi da parte della Commissione si sia proceduto ad esprimere "un giudizio di idoneità individuale": in particolare nei seguenti termini: "ciascun commissario dà un voto positivo al candidato che ritiene idoneo (a tale scopo ciascun commissario ha a disposizione due voti positivi); sono dichiarati idonei i candidati che hanno ottenuto un maggior numero di voti di idoneità".

In tal modo, però, la procedura di valutazione comparativa per sua natura destinata a far prevalere il candidato che abbia maggiori meriti didattici e scientifici, si trasforma in un procedimento elettorale con elettorato passivo di alcuni candidati (i cinque ritenuti migliori tra tutti) e elettorato attivo dei Commissari.

Tale procedimento non è in alcun modo previsto dall’ordinamento.

Sia il d.p.r. n° 117 del 2000 sia il bando prevedono la deliberazione a maggioranza dei membri della Commissione, ma sulla base di quanto risulta dalla valutazione.

Il voto serve quindi solo ad esplicitare quanto è emerso dai giudizi già espressi dai Commissari.

Infatti, il momento fondamentale della fase di valutazione deve ritenersi quello in cui viene espresso un giudizio di valore sulla personalità scientifica del candidato, la cui definitiva formulazione è riservata all’esame collegiale, nel quale confluiscono, contemperandosi in un apprezzamento unitario, i giudizi singolarmente espressi dai vari membri della Commissione.

Secondo la giurisprudenza resta, infatti, riservata alla successiva fase della votazione la sola funzione, necessitata dalla contingenza della limitatezza dei posti messi a concorso, della effettuazione di una scelta comparativa dei vincitori, scaturente dal raffronto tra i giudizi formulati collegialmente dalla Commissione; conseguentemente, una volta valutata collegialmente l’astratta idoneità dei vari candidati, la Commissione esprime la propria preferenza ai fini dell’individuazione dei tre idonei attraverso il voto, non essendo richiesta alcuna motivazione ulteriore rispetto a quella contenuta nei giudizi collegiali formulati nei confronti di ciascun concorrente (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 13 gennaio 2003, n. 60; T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 24 maggio 2004, n. 1490.

Il voto deve dunque corrispondere a quanto emerge dai giudizi complessivi, altrimenti sarebbe inutile l’attività di verbalizzazione dei giudizi e delle valutazioni da parte della Commissione che potrebbe limitarsi ad esprimere il voto. La votazione deve essere, quindi, consequenziale a quanto emerge dalla valutazione, conducendo ad una scelta, che non può perdere il carattere comparativo.

Ai sensi dell’art. 4 del d.p.r. n. 117 del 2000, in sede di giudizi collegiali, l’ammissione alla procedura valutativa può avvenire a maggioranza o all’unanimità, così come a maggioranza possono essere individuati gli idonei; l’applicazione del voto a maggioranza non determina certo che la votazione possa assorbire ogni profilo di legittimità, in quanto il giudizio finale deve essere coerente con gli elementi istruttori della procedura e con i giudizi individuali e collegiali espressi dai commissari. Il giudizio finale, reso a maggioranza, deve rispecchiare gli elementi istruttori acquisiti nel corso della procedura e soprattutto sia la conseguenza di una valutazione, sorretta da adeguata motivazione circa la preferenza data ad un determinato candidato rispetto ad un altro (Consiglio Stato, sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6536).

Se è vero che la valutazione comparativa non implica una comparazione analitica di ciascun candidato con tutti gli altri, potendo invece essere formulati giudizi assoluti su ciascun singolo candidato, il giudizio conclusivo di prevalenza di uno o più candidati rispetto agli altri costituisce l’essenza della procedura comparativa; deve, dunque, comunque discendere dal confronto dei giudizi assoluti.

Il giudizio della commissione, inoltre, deve dare contezza delle ragioni che convincono sulla idoneità di un determinato candidato rispetto ad un altro e la motivazione dovrà essere tanto più puntuale quanto minori siano le differenze emergenti dai giudizi espressi su ciascuno; cosicché, ove i giudizi individuali, raffrontati secondo parametri omogenei, facciano emergere immediatamente una scala di valori, sarà adeguatamente sorretta la scelta corrispondente a tale scala (mentre sarebbe evidentemente illogica e censurabile quella che non la rispecchiasse); mentre, ove i valori appaiano non significativamente differenziati, la scelta finale dovrà, evidentemente, dare esauriente conto della avvenuta comparazione e degli esiti di questa (Consiglio di stato, sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4708).

Nel caso di specie, di fronte all’assoluta parità dei giudizi espressi nei confronti di ben cinque candidati, è quindi mancato il momento valutativo proprio della procedura comparativa e assolutamente carente appare la motivazione dell’iter valutativo seguito dalla Commissione.

Sotto tale profilo il ricorso è fondato e deve esser accolto con annullamento della procedura di valutazione comparativa impugnata.

L’accoglimento per tale motivo di ricorso è idoneo ad assorbire tutte le altre censure.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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