Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-07-2011) 23-09-2011, n. 34556 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di Z.H. e W.Y. indagati unitamente ad altri soggetti di nazionalità cinese per i reati di ricettazione ( art. 648 c.p.); introduzione e commercio di beni con marchi contraffati ( art. 474 c.p.);

11 GIP presso il Tribunale di Roma, in data 04.10.2010 emetteva il decreto di sequestro preventivo di denaro ed oggetti preziosi rinvenuti in possesso dei predetti;

gli indagati proponevano impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Roma respingeva il ricorso con ordinanza del 18.11.2010;

ricorrono per cassazione gli indagati Z. e W. a mezzo del Difensore di fiducia:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

1)- Con il primo motivo, i ricorrenti censurano l’ordinanza per avere illogicamente ritenuto il denaro ed i preziosi in sequestro quale illecito profitto dell’attività criminosa contestata e dunque assoggettabili a confisca obbligatoria D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, senza considerare che tali beni erano di modesta entità e perciò riconducili ai proventi lavorativi legittimamente percepiti dagli indagati;

– il denaro e gli oggetti non erano occultati ma semplicemente ben riposti e si era ben lontani dai contesti criminosi per i quali si era introdotta la confisca per equivalente D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies;

– era errata, infine, la deduzione del Tribunale sulla possibilità di applicare la misura della confisca per equivalente anche all’ipotesi criminosa ex art. 474 c.p., essendo possibile tale misura solo per il reato ex art. 648 c.p., il che restringeva notevolmente la possibilità di ipotizzare una qualche relazione tra il denaro rinvenuto ed una condotta illecita;

CHIEDONO l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono palesemente infondati.

Quanto ai motivi relativi al merito del sequestro preventivo va subito evidenziato che lo stesso appare emesso nell’ambito dei criteri dettati dall’art. 321 c.p.p., atteso che il GIP ha motivato in ordine al "fumus" del reato di cui agli artt. 474 e 648 c.p., richiamando: – le indagini di PG, – il sequestro di un consistente quantitativo di merce con il marchio contraffatto (n. 546 oggetti, quali telefonini ed altro), – la mancanza di idonee giustificazioni riguardo alla provenienza del denaro e dei preziosi in sequestro.

Del tutto correttamente il Tribunale per il riesame ha ritenuto incensurabile tale provvedimento perchè fondato su adeguata motivazione in ordine al "fumus" del delitto contestato, ricavabile dalle circostanze sopra evidenziate.

Parimenti infondato è il motivo sulla mancanza di un nesso di pertinenzialità tra i beni sequestrati ed i reati contestati, atteso che nella specie è stato applicato il D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies con espresso riferimento all’ipotesi delittuosa dell’art. 648 c.p. per la quale, come è noto, si prescinde dall’indagine sul vincolo di pertinenzialità (Cass. Pen. Sez. 3, 09.07.2008 n. 38429).

Invero, nell’ambito della confisca per equivalente la Giurisprudenza di legittimità ha osservato che tale istituto è finalizzato a superare gli ostacoli per l’individuazione dei beni in cui si "incorpora" il profitto iniziale (Cass. Pen. SS UU 25.06.2009 n. 38691).

L’ordinanza impugnata ha chiarito con percorso logico motivazionale non censurabile che i beni e denaro in sequestro, per entità, numero e valore, erano di tutto sproporzionati ai modesti redditi denunciati dalle indagate, sicchè doveva ritenersi il nesso con i reati contestati.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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