Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1365 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa sono così ricostruiti nella sentenza impugnata.

P.R. e D.T. proposero opposizione avverso il decreto con il quale, a istanza di V., C., T., I. e S.D., eredi di S.A., era stato ad essi ingiunto il pagamento della somma di Euro 157.380,00, quale credito nascente da un mutuo concesso dal loro dante causa, mutuo in relazione al quale erano stati emessi assegni in garanzia per l’importo di L. 230 milioni, poi sostituiti nel 2002 con due titoli, l’uno di Euro 68.000,000, l’altro di Euro 52.000,00, posti all’incasso e protestati.

Gli opponenti sostennero che la somma che avevano ricevuto in prestito da S.A. era stata restituita nel corso degli anni con prestazioni lavorative, con anticipazioni ed acconti, di talchè la rinegoziazione era stata effettuata a solo scopo di garanzia.

Gli opposti, costituitisi in giudizio, contestarono siffatta versione dei fatti.

Con sentenza dell’8 marzo 2007 il Tribunale rigettò l’ opposizione.

Proposto dai soccombenti gravame, la Corte d’appello lo ha respinto in data 27 maggio 2009.

Così ha motivato il giudicante il suo convincimento.

Il rilascio di due assegni di importo corrispondente alla somma a suo tempo mutuata da S.A., non poteva non valere come riconoscimento di debito. Trattavasi peraltro di emissione chiaramente giustificata dalla necessità di sostituire i vecchi titoli in lire, con nuovi titoli in Euro. Gli assunti difensivi della controparte, volti a sostenere che gli assegni erano stati rilasciati solo a scopo di garanzia, erano smentiti sia dalla circostanza che il mutuante disponeva già della copertura costituita da una procura rilasciatagli dal P. – procura in forza della quale egli, in caso di inadempienza dell’obbligato, poteva acquisire un fondo di proprietà dello stesso – sia dalla deposizione del teste W., il quale aveva attestato che, ricalcolato il debito residuo, dopo la detrazione dell’importo di Euro 13.000,00, spettante al P. a chiusura di un rapporto associativo intrattenuto con la controparte, aveva egli medesimo compilato personalmente gli assegni. Ha anche esplicitato il decidente che correttamente la prova articolata dagli opponenti al fine di dimostrare gli accordi intervenuti tra le parti sulle modalità di restituzione del mutuo, e comunque sulla avvenuta estinzione del debito, non era stata ammessa dal giudice di prime cure, in ragione della genericità, della inconcludenza e della inidoneità dei capitoli a dimostrare la versione dei fatti fornita dagli opponenti.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono a questa Corte P. R. e D.T., formulando sei motivi, illustrati anche da memoria.

Resistono con controricorso V., C., T., I. e S.D., eredi di S.A..

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo gli impugnanti lamentano, ex art. 360, n. 4, e, in denegata ipotesi, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulla seconda domanda azionata in causa, all’uopo richiamando i punti d) ed e) dell’atto di opposizione, ed anche a) e b) delle conclusioni. Oggetto delle relative richieste era, secondo quanto riportato in ricorso, l’accertamento che negli anni dal 1994 (rectius, 1995) al 2004, il P. aveva eseguito in favore di S.A. le lavorazioni agricole, le prestazioni e le anticipazioni di cui alla perizia asseverata T., per un corrispettivo complessivo di Euro 129.876,00 (capo a) e che lo stesso aveva versato, a deconto del suo debito, le somme di Euro 8.842,554 nel dicembre 1997, e di Euro 13.000,000 il 10 aprile 2003 (capo i), con conseguente condanna degli ingiungenti al pagamento degli importi a credito del P. o, in subordine, di adeguato indennizzo, ex art. 2041 cod. civ., previa compensazione delle somme hinc et inde dovute (capi d ed e).

1.2 Con il secondo mezzo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 1241 cod. civ., e segg., artt. 36 e 112 cod. proc. civ., nonchè nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4, per avere il giudice di merito omesso di pronunciare sia sulla eccezione di compensazione che sulla domanda riconvenzionale, relative, entrambe, ai crediti da essi maturati per le prestazioni rese in favore della controparte.

2 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondate. Il giudice di merito non ha affatto ignorato la domanda volta a fare accertare, indipendentemente da eventuali accordi con la controparte, l’esistenza di crediti del P. di entità tale da compensare quelli vantati dal S.. Piuttosto, conformandosi alla decisione del Tribunale nella valutazione in termini di ricognizione di debito dei due assegni rilasciati al S. nonchè nel giudizio di inammissibilità della prova capitolata al riguardo, per la genericità, l’inconcludenza e l’inidoneità dei capitoli a dimostrare l’avvenuta estinzione del prestito, l’ha implicitamente ma inequivocabilmente disattesa. Ed è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, mentre devono ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi, i rilievi che, seppur non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (confr. Cass. civ. 12 gennaio 2006, n. 407; Cass. civ. 20 gennaio 2010, n. 868).

3 Con il terzo motivo gli impugnanti deducono vizi motivazionali con riferimento all’assunto del giudice di merito secondo cui la sostituzione degli assegni fatta nel 2002, all’avvento dell’euro, costituisse esplicito riconoscimento dell’attualità del debito, senza considerare che, secondo quanto attestato dal W., la rinegoziazione aveva preceduto di un anno non solo il calcolo degli interessi, ma anche l’ammissione dell’esistenza di un credito del P. di Euro 13.000,00 da portare in detrazione.

4 Osserva il collegio che le censure così formulate sono inammissibili sotto più di un profilo.

Anzitutto, posto che, in ragione della data della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), e in base al comb. disp. del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2, e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, l’impugnazione deve ritenersi soggetta, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006 – norma in base alla quale, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652) – la denuncia di vizi motivazionali doveva essere accompagnata dalla enucleazione di quel momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), idoneo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a circoscrivere puntualmente i limiti delle allegate carenze e contraddittorietà argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata al giudice di legittimità (confr. Cass. civ. 1 ottobre 2007, n. 20603). Invece i ricorrenti si sono limitati a dedurre, in maniera affatto tautologica, che da quanto testè esposto risulta bene evidenziato il fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia viziata e anche le ragioni per le quali le dedotte incongruenze, contraddittorietà, illogicità e carenze rendono la motivazione inidonea a sostenere la decisione impugnata.

A ciò aggiungasi che, lamentando l’insufficiente approccio della sentenza impugnata con la deposizione del teste W., i ricorrenti avrebbero dovuto o riportarla per esteso o almeno sintetizzarne il contenuto essenziale, in modo da porre la Corte in grado di saggiare la decisività del mezzo di prova di cui il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno.

5 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, i successivi due motivi di ricorso.

Con il quarto, prospettando vizi motivazionali e denunciando violazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ., i ricorrenti tornano a impugnare la mancata ammissione delle prove volte a dimostrare la rispondenza al vero della loro ricostruzione dei fatti e il buon fondamento delle domande e delle eccezioni da essi proposte, segnatamente evidenziando che il decidente aveva ignorato la scrittura in data 31 maggio 1995 e che, pur ritenendo inconferenti le circostanze dedotte nei capitoli di prova, aveva poi contraddittoriamente ammesso che il capitolo 9 si riferiva agli accordi in punto di modalità di estinzione del debito.

Con il quinto motivo deducono nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e art. 646 cod. pen, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, per mancata pronuncia sulla domanda di accertamento che gli assegni azionati erano stati abusivamente posti all’incasso, e fatti protestare dagli opposti, con connessa domanda risarcitoria da liquidarsi in separato giudizio.

6 Anche tali censure non hanno pregio.

Mette conto evidenziare che il giudice di merito è partito dal rilievo che gli assegni rilasciati nel 2002 dal P. al S. costituivano atto di riconoscimento di debito, con conseguente inversione a carico dei convenuti dell’onere di provare l’insussistenza del rapporto fondamentale, ovvero l’avvenuta estinzione del debito. In particolare, come innanzi esplicitato, l’assunto degli opponenti che i titoli fossero stati emessi solo a fini di garanzia non è stato ritenuto credibile dalla Corte territoriale, sia in quanto il S. di garanzie ne aveva già una, costituita dalla procura innanzi menzionata, sia in quanto il teste W. aveva attestato di avere compilato personalmente gli assegni, all’esito del ricalcolo del debito residuo e della detrazione dell’importo di Euro 13.000,00, a credito del mutuatario.

Il che dimostrava, secondo il decidente, che gli assegni erano stati rilasciati proprio al fine di adempiere l’obbligazione.

In tale prospettiva la prova offerta dall’opponente non è stata ammessa dal giudice di merito, il quale l’ha ritenuta, per taluni capi, inconferente (in quanto relativa al rapporto di compartecipazione ormai concluso), per altri generica e comunque inidonea a dimostrare l’esistenza di accordi sull’estinzione, o l’estinzione tout court del debito.

7 A confutazione delle critiche formulate nei motivi di ricorso in esame, va allora anzitutto evidenziato che la riconosciuta attinenza del capitolo 9 (e del solo capitolo 9) della articolata prova orale all’asserito accordo in ordine alle modalità di adempimento, non è affatto incompatibile con il giudizio di genericità, espresso dal decidente, trattandosi di valutazione inerente alla puntualità della formulazione del capitolo e alla sua idoneità a dimostrare un punto decisivo della controversia. A ciò aggiungasi che il richiamo a una scrittura del 31 maggio 1995, il cui contenuto sarebbe stato ignorato nella sentenza impugnata, oltre a essere privo di autosufficienza, è del tutto incongruo, posto che gli assegni azionati furono pacificamente emessi in epoca successiva.

In realtà i rilievi degli impugnanti, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di norme giuridiche e di vizi motivazionali, affatto inesistenti, sono volti esclusivamente a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità. Valga al riguardo considerare che ciò di cui i ricorrenti si dolgono è, al postutto, esclusivamente la difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dalla Corte territoriale rispetto a quello da essa preteso, in spregio al principio per cui spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo, salvo i casi tassativi in cui è la legge stessa ad assegnare alla prova un valore legale (confr. Cass. civ., 6 marzo 2008, n. 6064).

8 Infine neppure è vero che il giudice di merito abbia lasciato senza risposta la richiesta di accertamento dell’abusività della condotta degli ingiungenti e della conseguente sussistenza di un credito risarcitorio dei convenuti. Il giudizio di infondatezza di tali domande è invero inequivocabilmente insito nella confutazione dell’assunto che gli assegni erano stati emessi a garanzia, e cioè in un apprezzamento di infondatezza della versione dei fatti posta a base della spiegata opposizione che, in quanto congruamente motivato, è incensurabile in questa sede di legittimità. 9 Inammissibile è infine il sesto motivo di ricorso. Con esso gli impugnanti lamentano nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., artt. 2948, 1282 e 1815 cod. civ., ex art. 360, nn. 3 e 4, perchè il giudice di merito avrebbe omesso di prendere in considerazione l’eccezione di prescrizione degli interessi maturati negli anni antecedenti alla messa in mora, e cioè tra il 1995 e il 1999.

E invero, a prescindere dai profili di assoluta generica del quesito, con il quale viene chiesto alla Corte di dire se il giudice di merito sia o meno obbligato ad esprimersi anche su tutte le domande fatte dalle parti e conseguentemente se l’omesso esame e l’omessa decisione su una eccezione rilevante in giudizio costituisca vizio di omessa pronuncia, le critiche difettano di autosufficienza, nella parte in cui richiamano un atto di messa in mora senza specificare se si tratti o meno dello stesso ricorso per decreto ingiuntivo, ovvero di altro atto precedente. In ogni caso non par dubbio che le ragioni del rigetto dell’eccezione di prescrizione siano implicite nella ricostruzione dei fatti di causa accolta dal giudice di merito, non essendo contestabile che il rilascio degli assegni si presta a essere valutato come comportamento assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi, sotto qualsivoglia profilo, della prescrizione, e quindi come rinuncia tacita alla stessa, ex art. 2937 cod. civ., comma 3 (confr. Cass. civ. 22 ottobre 2010, n. 21798).

Il ricorso deve in definitiva essere integralmente respinto.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00 (di cui Euro 6.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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