Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-07-2011) 23-09-2011, n. 34546

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti:

V.F. e V.O..

Propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 31.05.2010 dalla Corte di appello di Torino che aveva riformato la sentenza di condanna emessa in data 03.02.09 dal Tribunale di quella città nei confronti dei ricorrenti, imputati dei reati:

– il V.F., in concorso con V.B., del reato di rapina impropria commesso in danno di I.G.S., alla quale, dopo avere sottratto la borsa e dopo che la medesima si era messa a urlare, l’avevano minacciata dicendole che se non avesse smesso di urlare le avrebbero tagliato la gola, allo scopo di assicurarsi il possesso di quanto sottratto e di conseguire l’impunità per il reato commesso;

– la V.O., del reato di favoreggiamento personale per avere reso dichiarazioni compiacenti in favore dei predetti imputati allo scopo di eludere le investigazioni;

in Torino il 28.03.2007;

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1)- il ricorrente V.F. censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 612, 624 e 628 c.p., lamentando che erroneamente era stato ritenuto il reato di rapina impropria dovendosi, invece, ravvisare i reati di furto e di minaccia;

invero, la minaccia proferita ai danni della parte offesa non era finalizzata al conseguimento dell’impunità, atteso che al momento del fatto la pattuglia dei carabinieri era molto distante sicchè non poteva udire le urla della donna; la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare che la minaccia era conseguente ad una reazione istintiva del V. alle urla della donna;

2)- la ricorrente V.O. lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, nonostante lo specifico motivo di appello;

– la sentenza era da censurare per avere ritenuto, in violazione della L. n. 689 del 1981, art. 59, che i precedenti penali erano ostativi alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria;

CHIEDONO l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorrente V.F. propone interpretazioni alternative dei fatti già analizzati dalla Corte di appello, proponendo una diversa quanto infondata valutazione degli stessi in termini di qualificazione del reato.

Sul punto la motivazione impugnata sottolinea in maniera del tutto adeguata:

– che la zona in cui è avvenuto il fatto era presidiata dalle forze dell’ordine (era in corso una gara ciclistica) e:

– che "non vi è stata assolutamente soluzione di continuità fra l’apprensione della borsa e la minaccia" proferita all’indirizzo della sig.ra I.;

la Corte territoriale ne ricava il "nesso fra la sottrazione della refurtiva e la minaccia posta in essere nei confronti della parte offesa, al fine di assicurarsi la fuga ed il possesso della refurtiva medesima" (pag. 8).

Si tratta di una motivazione del tutto congrua perchè aderente ai fatti di causa e perchè conforme alla giurisprudenza di legittimità che ha affermato il principio per il quale, in tema di rapina impropria ( art. 628 c.p., comma 2), si sanziona chi, immediatamente dopo la sottrazione di una cosa, usi violenza o minaccia contro chiunque per assicurarsi il possesso della cosa sottratta o per procurarsi l’impunità.

Si è precisato altresì, anche da questa sezione, che l’espressione "immediatamente dopo" non può essere interpretata in termini rigorosamente letterali, ma è necessario e sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco di tempo tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva.

(Cassazione penale, sez. 2, 14/10/2009, n. 42594).

La motivazione evidenzia così il percorso logico seguito dalla Corte di appello sia in relazione al nesso di causalità che allo scopo della minaccia;

al contrario, le valutazioni offerte dalla difesa riguardo alla mancanza di collegamento tra la minaccia e la sottrazione della borsa non tengono conto della motivazione sin ad ora richiamata e si risolvono in valutazioni meramente alternative dei fatti, non ammissibili in questa sede ove la Corte di cassazione, in tema di sindacato del vizio della motivazione, non è chiamata a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti. Cassazione penale, sez. 4 29 gennaio 2007. n. 12255: Il ricorso di V.F. deve essere ritenuto perciò del tutto infondato.

Per quanto riguarda i motivi proposti da V.O., è agevole osservare che la sentenza impugnata contiene una motivazione implicita riguardo al diniego delle attenuanti generiche, atteso che la Corte territoriale ha sottolineato la gravità della condotta, ampiamente descritta in sentenza, e l’esistenza di precedenti penali.

Va ricordato che nel giudizio di cassazione non comporta automatica nullità della sentenza di appello l’omessa motivazione in ordine ai motivi depositati dall’appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se la motivazione della sentenza impugnata non contenga argomentazioni che risultino incompatibili con tali motivi (Cassazione penale, sez. 3 01 febbraio 200, n. 10156).

Anche il motivo di censura sulla conversione della pena detentiva risulta del tutto infondato, atteso che i precedenti penali possono influire sulla meritevolezza di tale beneficio, come sostenuto dalla Corte nella sentenza.

Invero, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura sostitutiva è legata agli stessi criteri già previsti dalla legge per la determinazione della pena e cioè non può prescindere da quelli individuati dall’art. 133 c.p., dai quali va tratto il giudizio prognostico positivo cui la legge subordina la stessa possibilità della sostituzione. Ne consegue che è legittimo il diniego, operato dal giudice del merito, di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria della specie corrispondente, a colui che per le condizioni soggettive, quali i precedenti penali, non è ritenuto meritevole dal predetto giudice.

(Cassazione penale, sez. 4, 22/02/1990).

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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