Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1364 Contratti agrari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.M., vedova F., F.G., Gi. e S. adirono la sezione specializzata agraria del Tribunale di Bergamo chiedendo che il contratto di affitto da essi concluso con la società semplice Agribizzera venisse dichiarato risolto per fatto e colpa della società, a far data dal 15 marzo 2007. Esposero che nella convenzione stipulata con la controparte era stato espressamente previsto il divieto per l’affittuario di corrispondere il canone con un ritardo superiore a venti giorni dalla scadenza pattuita, pena l’immediata risoluzione del contratto; che la società conduttrice non aveva corrisposto il corrispettivo alla prevista scadenza del 31 dicembre 2006; che il 15 marzo successivo essi avevano comunicato all’affittuaria l’intervenuta risoluzione, restituendo l’assegno circolare loro pervenuto lo stesso giorno.

Costituitasi in giudizio, la società convenuta contestò le avverse pretese.

Il giudice adito, con sentenza del 15 febbraio – 4 marzo 2008 dichiarò la nullità della clausola n. 10 del contratto di affitto agrario, per contrasto con la L. n. 203 del 1982, art. 45, posto che le parti, a seguito della rinuncia dell’affittuario all’assistenza della propria organizzazione sindacale, avevano stipulato il contratto di affitto in deroga presso la Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Bergamo alla presenza del solo funzionario zonale; dichiarò conseguentemente improponibile la domanda di risoluzione per mancata contestazione dell’inadempimento all’affittuario, L. n. 203 del 1982, ex art. 5. Proposto dai soccombenti gravame, la Corte d’appello di Brescia, in data 7 novembre 2008 – 9 aprile 2009 lo ha respinto.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione A. M., vedova F., F.G., Gi. e S., formulando quattro motivi.

Resiste con controricorso la Società Agricola Agribizzera Società Semplice.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. E’ anzitutto destituita di fondamento l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, sollevata dalla resistente in memoria.

Il requisito della specialità della procura richiesto dall’art. 365 cod. proc. civ., può essere ravvisato, indipendentemente dal tenore delle espressioni usate nell’atto, perciò solo che la procura sia apposta a margine del ricorso, venendo in tal caso a costituire un corpo unico ed inscindibile con il ricorso stesso, con conseguente insussistenza di qualsivoglia incertezza sulla volontà della parte di impugnare la sentenza davanti alla Corte. Ne deriva che la presenza di espressioni generiche o incongrue con i connotati propri del giudizio di legittimità non esclude univocamente la volontà della parte di proporre ricorso per cassazione, posto che, in applicazione del principio di conservazione di cui sono espressione l’art. 1367 cod. civ. e art. 159 cod. proc. civ., la procura, nel dubbio, deve ritenersi speciale (confr. Cass. civ. 3 luglio 2009, n. 15692; Cass. civ., 27 ottobre 2008, n. 25853).

2.1 Con il primo motivo gli impugnanti tornano a riproporre, in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 Cost., l’eccezione di incostituzionalità della L. n. 203 del 1982, art. 45, ove interpretato nel senso che sussista l’obbligo per il concedente di essere assistito da una propria organizzazione di categoria, ovvero nel senso che il concedente non possa, a pena di inefficacia dell’accordo, dichiarare di volersi fare assistere dalla stessa organizzazione sindacale dell’affittuario.

2.2 Con il secondo mezzo lamentano violazione e/o errata applicazione di norme di diritto. Ricordano che il Supremo Collegio ha ritenuto irrilevante, ai fini del rispetto della L. n. 203 del 1982, art. 45, che le organizzazioni professionali agricole dell’una e dell’altra parte siano contrapposte politicamente, essenziale essendo solo l’effettività dell’assistenza.

2.3 Con il terzo motivo denunciano violazione della L. n. 203 del 1982, art. 45 e art. 1322 cod. civ., con riferimento all’assunto del giudice di merito secondo cui nel contratto dedotto in giudizio era mancata l’effettiva assistenza dell’associazione di categoria, motivazione che era in aperto contrasto con il contenuto del contratto stipulato tra le parti, le quali, nella loro piena autonomia, si erano affidate a un unico rappresentante.

2.4 Con il quarto motivo i ricorrenti sostengono l’inapplicabilità della L. n. 203 del 1982, art. 45, perchè il contratto in contestazione, intervenuto con una società, andava qualificato come contratto con soggetto non diretto coltivatore, regolato, pertanto, dalla L. n. 606 del 1966, la quale richiede, per la validità delle pattuizioni, la sola forma scritta.

3 Ragioni di ordine logico e sistematico, consigliano di partire dall’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso. Le censure in essi svolte, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondate.

Nel motivare la scelta decisoria adottata, ha evidenziato il decidente che dalla circostanza, pacifica in causa, che il contratto di affitto in deroga era stato stipulato alla presenza del solo funzionario zonale del settore di appartenenza dei concedenti, doveva dedursi che, nella fattispecie, era stato violato il disposto della L. n. 403 del 1982, art. 45. E invero, esigendo tale norma l’effettività dell’attività di consulenza e di indirizzo, non poteva non inferirsene che concedente e concessionario dovessero essere assistiti dai rappresentanti dei settori corrispondenti agli interessi di cui erano, rispettivamente, portatori.

Sulla base di tali premesse, ha quindi affermato la nullità delle pattuizioni in deroga e loro automatica sostituzione, ex art. 1339 cod. civ., con la disciplina legale.

4 Ritiene il collegio che il giudice di merito abbia fatto coerente e corretta applicazione dei principi giuridici che governano la materia e che le critiche svolte dai ricorrenti non abbiano alcuna consistenza.

L’affermata invalidità della clausola contrattuale per inosservanza del disposto della L. n. 203 del 1982, art. 45, in dipendenza della presenza del solo rappresentante sindacale del settore di appartenenza dei concedenti è in linea con le affermazioni di questa Corte secondo cui: a) per la valida stipulazione di accordi in deroga alle previsioni imperative in materia di contratti agrari, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 45, l’assistenza dell’associazione professionale di categoria deve estrinsecarsi in un’attività effettiva di consulenza e di indirizzo che chiarisca alle parti il contenuto e lo scopo delle singole clausole contrattuali che si discostino dalle disposizioni di legge affinchè la stipulazione avvenga con la massima consapevolezza possibile (confr. Cass. civ., 4 giugno 2008, n. 14759); b) a tal fine, condizione necessaria e sufficiente è che le parti, al momento della stipula, siano state assistite ciascuna da un rappresentante dell’organizzazione professionale cui aderiscono e che tali rappresentanti siano persone diverse, laddove è irrilevante che i due rappresentanti appartengano alla medesima organizzazione, o che quest’ultima non abbia uffici distinti specificamente preposti alla tutela di interessi differenziati (confr. Cass. civ. 26 marzo 2009, n. 7351).

5 A fronte di tali principi, pienamente condivisi dal collegio, non ha evidentemente alcun senso l’assunto che le organizzazioni professionali agricole che assistono i paciscenti non devono per forza essere contrapposte politicamente, perchè non per tale ragione la clausola contrattuale è stata ritenuta invalida, ma per l’assenza, si ripete, di un distinto rappresentante per le due parti e, segnatamente, di un rappresentante della categoria di appartenenza dell’affittuario. E parimenti di nessuna utilità è il rilievo che quest’ultimo consapevolmente e volontariamente scelse di essere assistito dallo stesso rappresentante del concedente, rinunciando alla presenza di quello della sua categoria, perchè non è presidiata la sola inosservanza inconsapevole o non voluta della norma, ma l’oggettiva mancanza di un separato e proprio referente per l’una e per l’altra parte, a prescindere dalle ragioni che possano averla determinata.

6 Quanto invece ai prospettati dubbi di costituzionalità della L. n. 203 del 1982, art. 45, oggetto del primo motivo, è sufficiente rilevare che le argomentazioni svolte dall’impugnante non sono idonee a scalfire la tenuta del negativo giudizio espresso al riguardo dal giudice di merito, che ha ritenuto insussistenti i presupposti per investire la Consulta della questione, sia in ragione della genericità e della mancanza di chiarezza dei rilievi formulati a sostegno della violazione denunciata, con riferimento alle singole norme costituzionali evocate; sia in ragione della manifesta infondatezza della stessa, rientrando nella discrezionalità del legislatore modulare le proprie scelte secondo criteri di maggiore o minore rigore.

Non è peraltro superfluo aggiungere che, in ogni caso, il dubbio, per come prospettato, manca del requisito della rilevanza. Come innanzi precisato, l’impugnante chiede per vero di investire il Giudice delle leggi della questione della conformità con gli artt. 2, 3 e 41 Cost., della L. n. 203 del 1982, art. 45, ove interpretato nel senso che sussista l’obbligo per il concedente di essere assistito da una propria organizzazione di categoria, ovvero nel senso che il concedente non possa, a pena di inefficacia dell’accordo, dichiarare di volersi fare assistere dalla stessa organizzazione sindacale dell’affittuario, laddove nella fattispecie era quest’ultimo che aveva rinunciato a essere assistita da una propria organizzazione sindacale.

7 Infine, il quarto motivo di ricorso pone una questione non trattata nella sentenza impugnata e quindi nuova. Ne deriva che i ricorrenti, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura avevano l’onere, rimasto affatto inadempiuto, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avevano fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione, e cioè l’attinenza del motivo a questione già compresa nel "thema decidendum" del giudizio di appello (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). Il ricorso è respinto.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio. Non sussistono invece i presupposti per l’affermazione della responsabilità aggravata, ex art. 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.700,00 (di cui Euro 3.500,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2012

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