Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1360 Aiuti e benefici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catanzaro in data 1 ottobre 2002 accoglieva la domanda proposta dalla Regione Calabria nei confronti di I. G., che condannava alla restituzione delle somme percepite a titolo di contributi agricoli per gli anni 1990/91 1991/92.

Su gravame dello I. e in contumacia della Regione la Corte di appello di Catanzaro il 22 febbraio 2006 confermava la sentenza di primo grado.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione lo I., affidandosi a tre motivi.

Non risulta avere svolto attività difensiva l’intimata Regione Calabria.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che il presente ricorso non necessita dei quesiti perchè è contro sentenza anteriore al 2 marzo 2006. l.-In punto di fatto, per quel che interessa in questa sede, va posto in rilievo che nel 1991 lo I., proprietario di terreni seminativi, avendo ritirato dalla produzione una parte degli stessi per destinarli a pascolo da allevamento, chiese ed ottenne dalla CEEE per il tramite della Regione Calabria una sovvenzione di danaro compensativa alla mancata produzione.

Il 23 novembre 1993 il Corpo forestale dello Stato, a seguito di una ispezione, ebbe a rilevare che lo I. non aveva effettuato semina per una parte dei terreni per cui aveva ottenuto la somma.

Di qui la citazione in giudizio da parte della Regione Calabria avanti al Tribunale di Catanzaro per inadempimento di cui al verbale redatto dalla Guardia forestale il 4 febbraio 1994. 2.-Con il primo motivo ( violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3, quali il D.M. 19 febbraio 1991, n. 163, art. 100 c.p.c., art. 2033 c.c., con riferimento all’art. 1 preleggi), il ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe respinto la sua eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo alla Regione, in quanto ex artt. 10 e 11 del Regolamento di cui al D.M. n. 163 del 1991, la Regione avrebbe sostanzialmente proposta una azione di indebito arricchimento, che presuppone la erogazione di somme da parte di colui che agisce in giudizio e, quindi, la Regione non era legittimata attiva.

Al suo posto avrebbe dovuto agire l’AIMA, anche perchè la legislazione invocata è di fonte secondaria, come riconosce lo stesso giudice dell’appello rispetto al regolamento CEE n. 797/85.

Osserva il Collegio che il motivo va disatteso.

Come ha posto in rilievo il giudice dell’appello, è giurisprudenza costante di questa Corte, che va ribadita, al di là delle previsioni normative deve ritenersi necessariamente sussistere la legittimazione della Regione a ripetere i contributi, in quanto autorità che ha provveduto indebitamente al loro versamento (richiamo a Cass. n. 16701/023).

3.-Con il secondo motivo (omessa o comunque insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti – art. 360 c.p.c., n. 5) il ricorrente si duole che il giudice dell’appello non avrebbe esaminato un fatto decisivo, ossia che le attività poste in essere da lui erano pienamente consentite dall’art. 5 del Reg. CEE n. 1272/88, come sarebbe stato confermato dalle prove testimoniali in primo grado e dalla sentenza del GIP del Tribunale di Rossano, emessa a seguito del procedimento penale instaurato a seguito del verbale della Guardia forestale e, comunque, non si riuscirebbe a comprendere l’iter logico seguito nella motivazione sul punto.

Al riguardo, osserva il Collegio che, contrariamente all’assunto del ricorrente e seguendo la giurisprudenza di legittimità (richiamo a Cass. n. 6987/03), che va ribadita, il giudice dell’appello ha tenuto presente la doglianza già proposta in quella sede per disattenderla, in quanto è onere dell’appellante quello di produrre i documenti su cui si fonda il gravame e questo onere non è stato assolto, per cui la mancata produzione anche degli atti della Regione, vittoriosa in prime cure, ma contumace in appello, non poteva avere altro effetto che il rigetto della censura, aggiungendo, il giudice a quo che era insufficiente il richiamo alle dichiarazioni testimoniali, dirette ad integrare il contenuto del rapporto.

Peraltro, il ricorrente non indica nè allega, in omaggio al criterio dell’autosufficienza, quei passi della sentenza del GIP di Rossano che deporrebbero a suo favore, precisandosi, inoltre, che, come è noto, l’accertamento in sede penale degli atti e prove ivi esistenti ed espletate non vincola affatto il giudice civile.

4.-Resta, pertanto, assorbito, oltre che infondato per le superiori considerazioni, il – terzo motivo (violazione e falsa applicazione delle norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3; art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.).

Conclusivamente il ricorso va respinto, ma nulla va disposto per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla dispone per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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