Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-10-2011, n. 5513

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- L’Associazione Italia Nostra, con ricorso notificato in data 8 novembre 2010 a tutte le amministrazioni indicate in epigrafe e alla W. S. s.r.l., ha chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 2756/10 del 10 maggio 2010, con la quale, in accoglimento dell’appello di W. S. s.r.l., è stata riformata la sentenza del TAR Puglia, Lecce, sez. I, n. 1890 del 2009.

Essa Associazione premette:

– di aver proposto ricorso innanzi al TAR Puglia – Lecce, per l’annullamento dell’autorizzazione unica n. 1065 del 2008 e di tutti gli atti del procedimento di autorizzazione rilasciati in favore di W. S. s.r.l. per la realizzazione nel territorio del comune di Giuggianello di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica della potenza di 28 MW, costituito da 14 aerogeneratori dell’altezza di circa 80 metri ciascuno, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso, deducendo violazione del procedimento e sviamento di potere;

– nel giudizio interveniva l’Unione dei Comuni denominata "Terre d’Oriente" di cui fanno parte i comuni di Poggiardo, Otranto, Muro Leccese, Uggiano la Chiesa e Giurdignano, che aveva già presentato ricorso straordinario per l’annullamento della medesima autorizzazione unica n. 1065 del 2008;

– il TAR Lecce, con sentenza n. 1890/09, riconosciuta in via preliminare la legittimazione processuale dell’Unione dei Comuni "Terre d’Oriente", il cui intervento in giudizio qualificava come ricorso adesivo autonomo, riconoscendo l’errore scusabile nella scelta del mezzo alternativo del ricorso straordinario in luogo di quello giurisdizionale, accoglieva il ricorso, avendo ritenuto fondate le censure riguardanti la violazione delle regole del procedimento, in particolare:

a) la tardiva convocazione alla conferenza dei servizi della Soprintendenza Archeologica che ne avrebbe impedito la partecipazione;

b) il difetto di istruttoria, perché l’assenza della Soprintendenza Archeologica non avrebbe consentito di valutare adeguatamente il particolare interesse storico e archeologico dell’area di intervento ed il patrimonio culturale;

c) la omessa partecipazione ai lavori della conferenza degli enti locali interessati, ovvero delle comunità limitrofe all’area oggetto dell’impianto;

d) la violazione della l. reg. n. 14 del 2007, ritenendo pacifico che l’area di intervento era interessata da ulivi monumentali "deducibile da un accertato valore storico – antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche – storiche";

e) le censure di violazione dell’art. 12, comma 6, del d. lgv. n. 387 del 2003, ritenendo indubbio che le amministrazioni nell’autorizzare l’intervento non avevano tenuto in considerazione il "patrimonio culturale" ed il "paesaggio rurale" che caratterizza l’area di intervento, stante le prove fornite in giudizio dalla ricorrente;

f) la mancata partecipazione alla conferenza dei Vigili del Fuoco;

g) la mancata acquisizione dell’attestazione di compatibilità paesaggistica, trattandosi di intervento di rilevante trasformazione urbanistica, alla stregua del concetto di trasformazione urbanistica non di tipo "strutturale" ma "funzionale".

– W. S. appellava la sentenza davanti al Consiglio di Stato che, con decisione n. 2756 del 2010 della quinta sezione, in accoglimento dell’appello, riformava la sentenza di primo grado affermando che:

a) la partecipazione della Soprintendenza Archeologica alla conferenza di servizi non era necessaria, mancando sull’area in questione l’imposizione di qualunque vincolo archeologico;

b) la violazione della l. reg. n. 14 del 2007, riguardante la tutela degli alberi di ulivo monumentale, non sussisterebbe perché "a prescindere dal fatto che tali ulivi non sono presenti nell’area o quantomeno non ne è stata fornita la prova, l’intervento di W., non consiste nel toccare tali ulivi monumentali, ma solo nella sistemazione di aerogeneratori che non intaccano in alcun modo tali ulivi né relativamente al danneggiamento, né all’espianto, né all’abbattimento, né al commercio";

c) non vi sarebbe violazione dell’art. 12, comma 7 del d. lgv. n. 387 del 2003, sotto il profilo della violazione del patrimonio culturale e rurale, non essendo stata fornita prova alcuna dell’esistenza di miti e leggende risalenti nel tempo e perché "comunque…non si vede in quale, sia pur ridotta misura, l’impianto…possa determinare un nocumento alla presenza di tali miti e leggende…";

d) non sarebbe prevista la partecipazione alla conferenza dei servizi dei comuni limitrofi e dell’Unione dei Comuni, non essendo questi soggetti "interessati direttamente al provvedimento da emanare";

e) la partecipazione dei Vigili del Fuoco non era dovuta, perché "al momento della conclusione della conferenza dei servizi ancora non era stata emanata la deliberazione regionale di GR n. 35/07";

f) non era necessario acquisire al procedimento l’attestazione di compatibilità ambientale, non essendovi alcuna modifica rilevante, ma solo un inserimento di aerogeneratori che determinano solo una superficiale sovrastruttura senza alterare in modo significativo il paesaggio esistente.

Tutto ciò premesso, l’associazione ha assunto l’ingiustizia della sentenza del Consiglio di Stato e ne ha chiesto la revocazione alla stregua dei seguenti motivi:

1) conflitto tra giudicati, con riferimento alla parte della sentenza di primo grado che riconosce la legittimazione ai comuni vicini, perché tale capo non sarebbe stato impugnato e il decisum del giudice d’appello contrasterebbe con tale giudicato;

2) errore di fatto, perché il giudice d’appello non avrebbe considerato un dato di fatto, cioè la tardiva convocazione della Soprintendenza;

3) errore di fatto, con riferimento alla tutela degli ulivi monumentali della cui esistenza, secondo il Consiglio di Stato, non sarebbe stata data prova, mentre la prova sarebbe in atti;

4) errore di fatto, con riferimento alla tutela del patrimonio culturale, della quale, contrariamente a quanto assunto dal giudice d’appello, vi sarebbe in atti la prova dell’esistenza di tale patrimonio.

2.- W. S. s.r.l. si è costituita in giudizio ed ha eccepito in via preliminare l’irricevibilità del ricorso perché notificato oltre il termine di legge (la sentenza sarebbe stata depositata in segreteria il 10 maggio 2010, sicché il termine abbreviato di impugnazione, di 120 giorni, maggiorato dei 45 giorni relativi alla sospensione feriale, sarebbe scaduto il 23 ottobre 2010, mentre il ricorso sarebbe stato notificato in data 8 novembre 2010); ha, quindi, assunto l’inammissibilità del ricorso per infondatezza delle censure.

3.- Si sono costituite in giudizio le amministrazioni evocate in giudizio che hanno depositato tutti gli atti relativi alla procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica, evidenziando l’opportunità di una rivisitazione dell’intero procedimento.

4.- Si è costituito in giudizio il Consorzio di Bonifica Ugento e Li Foggi che ha sostenuto l’assoluta legittimità del proprio operato nel rilasciare il nulla osta richiesto da W. S. s.r.l. e, comunque, di non avere alcun interesse a resistere in ordine ai motivi di revocazione dedotti dall’Associazione "Italia Nostra".

5.- Le parti hanno depositato documentazione, memorie difensive e di replica e, precisate le conclusioni nei seguenti termini: l’Associazione ha chiesto di accogliere il ricorso per revocazione, di confermare in parte qua la sentenza TAR Puglia sez. I, n. 1890 del 2009 e, per l’effetto, di annullare i provvedimenti impugnati in primo grado; W. S. di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso per revocazione, alla pubblica udienza del 21 giugno 2011, il giudizio è stato assunto in decisione.

6.- Il ricorso per revocazione è inammissibile, essendo infondati i motivi di revocazione dedotti, sicché si può prescindere dall’esame dell’eccezione in rito.

6.1- Con il primo motivo di revocazione, l’associazione ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello per non essersi avveduto che l’appellante W. S. avrebbe omesso di impugnare un capo autonomo della sentenza di primo grado che, essendo passata in giudicato, determinerebbe un contrasto con quanto statuito dalla medesima decisione mediante l’accoglimento dell’appello.

In particolare, la ricorrente sostiene che:

al punto 1 della sentenza del TAR è stata riconosciuta la legittimazione processuale dell’Unione dei comuni denominata "Terre d’Oriente";

che ai punti 6.2 e 6.3 della sentenza del TAR è stata riconosciuta la fondatezza del motivo di ricorso con il quale Italia Nostra aveva censurato il mancato invito alla conferenza dei servizi dei comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo in violazione degli artt. 14 e segg. della l. n. 241 del 1990;

W. S. avrebbe impugnato solo i punti 6.2 e 6.3 della sentenza di primo grado, contestando che i suddetti comuni dovessero essere invitati a partecipare alla conferenza dei servizi; non avrebbe, invece, impugnato il capo I della decisione del TAR;

in conseguenza, il capo I della sentenza sarebbe passato in giudicato e quindi sarebbe divenuta definitiva la statuizione in esso contenuta in ordine alla legittimazione processuale dell’Unione dei comuni denominata "Terre d’Oriente";

poiché il riconoscimento della legittimazione processuale implica necessariamente il riconoscimento del diritto a partecipare alla conferenza dei servizi, la circostanza che la prima statuizione fosse coperta da giudicato avrebbe dovuto impedire al giudice d’appello di pronunciarsi sulla seconda.

La censura è infondata sotto più profili:

Costituisce motivo di revocazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 395 c.p.c., la circostanza che la sentenza sia contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata.

Perché sussista contrasto tra giudicati, occorre, poi, che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto tale che tra le due vicende esista un’ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima.

Ciò posto, ammessa in ipotesi l’autonomia del capo della sentenza sulla legittimazione processuale, va escluso che sussiste contrasto tra giudicati, mancando un’ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali si è espresso il secondo giudice.

Infatti, il capo di sentenza sul quale si sarebbe formato il giudicato riguarda la legittimazione processuale dell’associazione Unione dei Comuni "Terre d’Oriente" e non già la titolarità del diritto sostanziale di tale associazione a partecipare al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica, questione sulla quale si è espresso il giudice d’appello.

Né è condivisibile, per un duplice ordine di ragioni, la tesi della ricorrente secondo cui la titolarità del diritto sostanziale a partecipare al procedimento sarebbe sottesa al riconoscimento della legittimazione processuale:

a) perché la decisione del TAR, qualifica la posizione sostanziale dell’Unione dei Comuni "Terre d’Oriente" alla stregua di quella dell’Associazione Italia Nostra e, quindi, quale soggetto portatore di interessi diffusi e, come tale, legittimata alla difesa giurisdizionale degli interessi di cui è portatrice e non già quale soggetto titolare di posizione differenziata ai fini della partecipazione alla conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica;

b) perché tra i due istituti, quello della legittimazione processuale e quello della legittimazione procedimentale e tra le rispettive funzioni vi è una netta distinzione, sicché il riconoscimento della prima non implica l’automatico accertamento della seconda, operando i due istituti su piani differenziati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 88 del 2010).

Ne consegue che, quand’anche si fosse formato il giudicato sul capo della sentenza del TAR che ha riconosciuto la legittimazione processuale dell’Unione dei Comuni "Terre d’Oriente" – soggetto portatore di interessi diffusi al pari di Italia Nostra -, tale riconoscimento non impediva al giudice di appello di pronunciarsi in senso diverso dal TAR sul capo della sentenza relativo al diritto dell’Unione dei Comuni a partecipare al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica.

Invero, come ha precisato il giudice di appello, la partecipazione al procedimento ed alla conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica è prevista esclusivamente nei confronti dei soggetti direttamente interessati al provvedimento da emanare; gli altri soggetti istituzionali o meno, che non hanno un interesse diretto nel procedimento in corso, possono essere facoltativamente invitati, senza che gli stessi possano incidere sulle decisioni da trattare.

Diversamente opinando, se la tutela paesaggistica – ambientale assicurasse forme di intervento di tutela "culturale" quali quelle prefigurate dal TAR e dall’associazione "Italia Nostra", la convocazione di una conferenza di servizi ai fini dell’approvazione di un’opera pubblica e dell’autorizzazione alla sua realizzazione, potrebbe essere rivista come incidente su un indefinito ambito territoriale, dal momento che gli interessi culturali, le tradizioni, i "miti" sono beni dello spirito, affatto incorporei e, come tali, non caratterizzati o caratterizzabili da confini naturali, abbracciando ambiti territoriali che possono estendersi anche oltre il territorio di alcuni comuni, fino a quello di un’intera provincia, regione o pluralità di regioni; ciò finirebbe con il rendere la conferenza di servizi uno strumento di incerta conformazione e, talora, di pletorica ridondanza, in relazione alla cui operatività sussisterebbe sempre un margine di incertezza, correlato alla possibilità che taluno dei possibili soggetti interessati possa, in ipotesi, non essere stato preventivamente individuato ed invitato a partecipare.

La censura è comunque errata in fatto.

W. S. ha infatti censurato nell’atto di appello la statuizione del TAR nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’interesse dell’Associazione dei Comuni Terre d’Oriente ad essere convocata alla conferenza dei servizi, illustrando le ragioni per le quali le statuizioni del TAR non fossero condivisibili, sicché, ove la decisione del TAR sulla legittimazione processuale dell’Unione dei Comuni presupponesse il diritto a partecipare al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica e, quindi, alla conferenza di servizi, l’appello comprenderebbe anche tale statuizione, non essendo nemmeno ipotizzabile in tal caso la fattispecie del contrasto tra giudicati invocata dalla ricorrente.

Il mezzo è comunque inammissibile in quanto involge la soluzione di una questione giuridica già affrontata dal giudice d’appello e risolta in senso negativo.

6.2- Con il secondo mezzo di revocazione l’associazione contesta la decisione del Consiglio di Stato nella parte in cui ha accolto il motivo d’appello relativo alla mancata partecipazione della Soprintendenza archeologica, ritenendo che la Soprintendenza non dovesse in radice essere invitata.

Secondo l’associazione ricorrente, il giudice d’appello non si sarebbe avveduto che il TAR aveva deciso non sulla mancata convocazione, ma sulla tardiva convocazione.

La censura muove da una parziale lettura della sentenza del TAR, che, in proposito, aveva affermato che "al di là della presenza o meno di vincoli archeologici sull’area de qua…ciò che rileva è l’incontestato (ed anzi confermato) rilievo di elementi di seria consistenza che fanno propendere per l’oggettiva rilevanza archeologica dell’area in questione (o quanto meno su parte di essi)".

Il TAR aveva, quindi, affermato che la Soprintendenza doveva partecipare alla conferenza dei servizi, in quanto pur non essendoci alcun vincolo, l’area appariva comunque di indubbio rilievo archeologico e, di conseguenza, censurava l’intempestiva convocazione.

Il Consiglio di Stato, ha escluso in radice che vi fosse la necessità di invitare la Soprintendenza, mancando sull’area in questione l’imposizione di un qualsiasi vincolo archeologico, così testualmente esprimendosi "il fatto che l’area stessa sia stata anticamente colonizzata e che, conseguentemente, possano individuarsi eventuali reperti archeologici, è fatto puramente astratto che non determina la presenza normativa di alcun vincolo, fino a quando appunto lo stesso non è concretamente apposto".

Avendo, quindi, il giudice d’appello ritenuto che la Soprintendenza non dovesse essere in assoluto invitata, sono superate le modalità con le quali è stata effettuata una convocazione che non era necessaria e perde consistenza il rilievo di parte ricorrente.

Il motivo proposto si risolve, quindi, in una contestazione della soluzione giuridica del giudice di secondo grado, sostanziandosi in un errore di diritto, come tale inammissibile quale motivo di revocazione.

L’associazione ricorrente assume, ancora, che la circostanza che la Soprintendenza fosse stata invitata (ancorché non vi fosse obbligo al riguardo) imponeva, comunque, di procedere alla convocazione tempestiva.

La questione così posta si sostanzia anch’essa nella denuncia di un presunto errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata, insuscettibile di assurgere a motivo di revocazione.

Comunque, è bene precisare che la documentazione depositata in giudizio è stata attentamente esaminata dal giudice d’appello, che in sentenza evidenziava che la Soprintendenza pur messa al corrente dell’iniziativa nei minimi particolari non aveva inteso intervenire, non sussistendo, evidentemente ragioni per un proprio intervento (invero, la Soprintendenza Archeologica che aveva ricevuto dalla società W. in data 26 ottobre 2006, due anni prima del rilascio dell’autorizzazione unica regionale il progetto per la realizzazione del parco eolico costituito da 14 aerogeneratori nel comune di Giuggianello, con i necessari allegati, non aveva dato riscontro alcuno. Né aveva dato riscontro allorché in data 13 novembre 2006, un mese prima della seduta della conferenza dei servizi, le era stata trasmessa la stessa documentazione aggiornata con le modifiche intervenute medio tempore. Né ha dato riscontro alla nota del 13 dicembre 2006 della Regione Puglia, Assessorato allo Sviluppo Economico, di invito alla conferenza dei servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica).

Del proprio comportamento negligente è ben consapevole la Soprintendenza dei Beni Archeologici se è vero che nella relazione prodotta in giudizio, tesa a rivendicare un generale riesame della complessa questione, viene dato atto che "…il mancato incisivo intervento di tutela preventiva sarebbe attribuibile a disguidi interni alla stessa amministrazione, dovuti all’avvicendarsi di diversi funzionari nella responsabilità del comparto territoriale interessato..".

D’altra parte, in mancanza di vincoli archeologici, la maggiore tutela che potrebbe assicurare la Soprintendenza sarebbe nella partecipazione all’esecuzione dei lavori al fine di intervenire prontamente nell’ipotesi in cui dovessero sopravvenire emergenze archeologiche, disponendo tale amministrazione del potere di sospensione dei lavori.

In conclusione, il motivo proposto si risolve in una contestazione della soluzione giuridica del giudice di secondo grado, sostanziandosi in un errore di diritto, come tale inammissibile quale motivo di revocazione.

6.3 – Con il terzo motivo di revocazione si censura la statuizione del giudice di secondo grado nella parte in cui ha ritenuto insussistente la violazione dell’art. 15 della l. reg. n. 14 del 2007 sulla tutela degli ulivi.

La censura è inammissibile in quanto non è prospettato un errore di fatto revocatorio, bensì è contestata la soluzione giuridica contenuta nella sentenza di secondo grado ed il giudizio espresso sulla prova acquisita e non la sua esistenza.

Ricorre, infatti, l’errore di fatto quale motivo di revocazione, quando la decisione viene a fondarsi sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

L’errore in questione deve, innanzitutto, avere quale oggetto la percezione dei fatti e non investire la valutazione giuridica di essi, inoltre non deve essere un errore di giudizio dovendo essere cioè estraneo al procedimento logico in base al quale il giudice è giunto all’affermazione, alla negazione o alla valutazione di un determinato fatto.

Orbene, il giudice d’appello ha affermato l’insussistenza del vizio dedotto per tre distinte e autonome ragioni: a) "sull’area di intervento non sono presenti ulivi plurisecolari"; b) "della loro presenza non è stata fornita la prova"; c) "il progetto W. S. "non consiste affatto nel toccare tali ulivi monumentali".

Il giudice d’appello afferma, in sintesi, che il progetto W. non prevede alcuna delle attività vietate dalla normativa regionale (danneggiamento, abbattimento, espianto o commercio di alberi di ulivo secolari).

Ne consegue che, quand’anche dagli atti o documenti della causa risultasse la presenza in loco di ulivi monumentali, non essendo previsto l’espianto, anzi espressamente escluso dalla determinazione dirigenziale di non assoggettabilità a v.i.a. (determina n. 631 dell’11 dicembre 2007, che nel rilasciare il parere favorevole alla realizzazione dell’impianto di cui trattasi, ha introdotto l’espressa prescrizione di "assicurare che non verranno espiantati alberi"), il decisum non è effetto di un errore di fatto, ma di diritto nella valutazione della presenza di ulivi secolari e della loro incidenza sul progetto in questione.

Ad ogni buon conto, quanto all’esistenza in loco di ulivi monumentali, circostanza data per acquisita dal TAR pur in mancanza di prove, il perito agronomo dott. Osvaldo Perrone, nella relazione versata nel giudizio d’appello, ha precisato che solo il sito destinato ad ospitare l’aerogeneratore n. 9 è caratterizzato dalla presenza all’interno della particella di 150 piante di olivo, alcune delle quali potrebbero ritenersi monumentali ai sensi dell’art. 2, comma 2, della l. reg. n. 14 del 2007, qualora vengano considerate contemporaneamente due loro caratteristiche e precisamente 1) il diametro di cm. 70 misurato a 130 centimetri da terra e la vicinanza degli stessi al "masso della vecchia", pur risultando inesistente una forma scultorea del tronco spirolata, cavata, alveolare, o con portamento a bandiera.

La presenza di ulivi monumentali, ove qualificati tali, sarebbe talmente modesta da non poter conferire il carattere di monumentalità all’intero oliveto presente sulla particella.

6.4 – Con l’ultimo motivo di revocazione si contesta la decisione del giudice di appello nella parte in cui ha ritenuto infondata la dedotta violazione dell’art. 12, comma 7 del d. lgv. n. 387 del 2003, che imporrebbe ai fini dell’installazione degli impianti di energia eolica, una tutela del patrimonio culturale.

Si sostiene che il giudice d’appello avrebbe respinto la suddetta censura rilevando la mancanza della prova dell’esistenza di tale patrimonio culturale, che al contrario sarebbe stata fornita nel corso del giudizio.

La censura, invero, è inammissibile, in quanto si sostanzia nella contestazione del giudizio, in ordine alla sufficienza o meno, sotto il profilo probatorio, degli elementi acquisiti al processo, risolvendosi nella denuncia di un errore di diritto sul giudizio formulato dal giudice sulla prova.

Comunque, tale censura è anche infondata.

A ben vedere, il giudice d’appello non ha respinto la censura per difetto di prova, pur avendo rilevato la mancanza di prove adeguate.

Ha affermato, invece, che quand’anche fosse provata la presenza di miti e leggende (che parte ricorrente riconduce al patrimonio culturale), gli stessi non sarebbero comunque compromessi dalla realizzazione dell’impianto, "in quanto legati alla memoria e alla tradizione, continueranno ad essere tramandati a nulla rilevando la presenza dell’impianto".

La censura è infondata anche sotto il profilo rescissorio.

Dagli atti depositati nel corso del giudizio risulta che l’impianto non è in grado di apportare alcun nocumento ai siti oggetto di miti e leggende, perché le aree dove sorgeranno gli aerogeneratori sono per lo più costituite da seminativo incolto e non si inseriscono intorno al sito megalitico c.d. delle "Rocce Sacre" e rispetta le aree buffer di tutela stabilite dalla normativa di settore.

D’altra parte l’interesse culturale di un paesaggio o di un territorio non possono impedire, nei limiti in cui la normativa vigente lo consenta, impianti di modesto impatto ambientale, qual è un impianto eolico, i cui vantaggi in termini di produzione di energia pulita vanno apprezzati sotto altri profili.

7.- Per quanto esposto, essendo infondati i motivi di revocazione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza nei confronti di W. S. s.r.l. e della Regione Puglia; sono compensate nei confronti delle altre parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna l’Associazione Nazionale Italia Nostra al pagamento di euro 5.000,00 in favore di W. S. s.r.l. e di euro 5.000,00 in favore della Regione Puglia, oltre accessori, per spese di giudizio; le compensa nei confronti delle altre parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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