Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1358 Diritto straniero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Al Tribunale di Roma, adito da Bi.De.Am., che aveva convenuto in giudizio B.G., il Bi. assumeva di essere l’unico erede della defunta moglie scultrice A.R. P.P., per cui chiedeva la restituzione di venti sculture di esso istante, di cui nove giacevano presso la Galleria (OMISSIS), sottoposte a sequestro giudiziario e date in custodia al direttore della stessa Galleria, il B..

Le sculture si trovavano in (OMISSIS) sin dal (OMISSIS), trasportate dall'(OMISSIS), per una mostra personale e nonostante le richieste sue e della moglie di restituzione, queste giammai erano state restituite.

Il Tribunale riconosceva che il Bi. era l’unico erede della moglie, pur essendone coniuge divorziato, perchè la disciplina argentina in tema di successione, all’epoca vigente, salvaguardava i diritti dell’ex coniuge anche quando la separazione era stata pronunciata per colpa dell’altro coniuge, come nella specie risultava documentalmente e che il convenuto non aveva fornito la prova per contestare la qualità di erede dell’attore e, infine, che il per il presunto matrimonio della donna con un certo C. era risultato agli atti che al momento dell’apertura della successione questi era celibe. In base a tutto ciò il Tribunale con sentenza del 2 ottobre 2000 accoglieva la domanda del Bi.; condannava il B. a pagare al Bi., in quanto riconosciuto erede della ex moglie, l’equivalente delle otto sculture e rigettava la riconvenzionale del B..

Il 13 dicembre 2005 la Corte di appello di Roma, su gravame di B.G., confermava la sentenza di primo grado.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il B., affidandosi a tre motivi.

Nessuna attività difensiva risulta svolta dall’intimato Bi..

Motivi della decisione

1.-Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in estrema sintesi il ricorrente, trascrivendo l’art. 3574 cod. civ., argentino all’epoca vigente, assume che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe ritenuto ininfluenti le relazioni extraconiugali del Bi., oltre che sfornite di prove.

Ad avviso del ricorrente, il giudice dell’appello avrebbe errato nel non ammettere il giuramento decisorio sul secondo matrimonio del Bi., perchè la sua risposta è stata ritenuta, per come articolata la prova, ininfluente, in quanto nulla avrebbe potuto aggiungere sulla data di celebrazione del matrimonio, ossia se quella celebrazione fosse avvenuta dopo il decesso della moglie scultrice.

Pur essendo rimessa la valutazione della richiesta al prudente apprezzamento del giudice, il cui giudizio è insindacabile, ad avviso del ricorrente si rinverrebbero vizi logici e giuridici, attinenti a tale apprezzamento.

Al riguardo, il Collegio osserva, esaminando l’ultima parte della censura, che il ricorrente non indica nè allega quali sarebbero i vizi logico-giuridici inerenti al diniego di ingresso del giuramento nè riporta le "circostanze dedotte in primo grado" per il giuramento decisorio (v. p. 5 ricorso).

E solo per questo il motivo va respinto.

Tuttavia, ritiene che il Collegio di affrontare la prima parte della censura, laddove il ricorrete lamenta l’erronea applicazione della normativa successoria vigente in (OMISSIS), giorno della morte della ex moglie del Bi. e, quindi, di apertura della successione. La norma, di cui all’art. 3574 cod. civ., è stata tenuta in considerazione dal giudice dell’appello, il quale ha ritenuto, come prima ratio decidendi, che gli elementi in essa indicati non fossero stati provati.

Con una seconda ratio , ossia che la prova richiesta fosse ininfluente, il giudice dell’appello ha preso atto che una formula di giuramento che asseveri l’avvenuto matrimonio in riferimento al verificarsi del momento di apertura della successione, la non indicazione della data di celebrazione di tale secondo matrimonio effettivamente non sono idonee per poter stabilire se al momento dell’apertura della successione il coniuge superstite fosse o meno da considerarsi erede.

Quindi, contrariamente all’assunto del ricorrente, la data aveva ed ha una importanza decisiva.

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto; omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia; art. 244 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), con il quale si censura la sentenza impugnata che ha rigettato la domanda riconvenzionale da lui dispiegata, il ricorrente lamenta che la teste S.M., che aveva deposto sulla restituzione alla scultrice di otto sculture e sulla datio in solutum di altre tre, sia stata ritenuta inattendibile, in quanto dipendente del B. fin dal 1964 e, quindi, influenzata dall’interesse nel giudizio del suo datore di lavoro (p. 7 ricorso).

Sulla decisione di inattendibilità, inoltre, non vi sarebbe nè congrua motivazione nè immunità da vizi logici e giuridici e, comunque, il giudice dell’appello, attribuendo il progetto di costruzione di una villa a (OMISSIS), commissionato dalla scultrice, non avrebbe ben letto gli atti di causa.

In merito a questa censura il Collegio osserva quanto segue. Il ricorrente omette di porre all’attenzione della Corte una circostanza fondamentale circa la documentazione da lui esibita avanti al giudice del merito sulla riconvenzionale, ossia che la documentazione fu contestata dalla difesa dell’attore nella autenticità della provenienza dalla scultrice.

Le dichiarazioni in merito da lui rese in sede di interrogatorio formale erano a lui favorevoli e, quindi, in contrasto con lo scopo cui è rivolto l’interrogatorio stesso.

La S. era dipendente dal 1964 e che ella fosse una sua collaboratrice non è risultato che l’abbia provato o cercato di provarlo.

Quindi, il motivo va disatteso.

3.-Con il terzo motivo (omesso esame del motivo di appello in ordine alle spese o, comunque, alla misura eccessiva della liquidazione fattane dal Tribunale; ingiusta condanna alle spese di appello: art. 91 c.p.c. (e non 9, come indicato), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente lamenta da una parte l’omessa pronuncia sulla doglianza circa l’eccessività delle spese liquidate dal Tribunale, dall’altra chiede una diversa liquidazione delle spese del grado di appello.

Sotto entrambe le deduzioni la censura è inammissibile.

Il ricorrente, in ordine alla prima, non indica affatto perchè sarebbero state eccessivamente liquidate le spese di primo grado e, comunque, il lamentato vizio va escluso avendo il giudice del merito confermato la sentenza del Tribunale, ritenendo, implicitamente, la doglianza non meritevole di accoglimento, mentre per la seconda il giudice non ha fatto altro che applicare il principio della soccombenza.

Conclusivamente il ricorso va respinto, ma nulla va disposto per le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla dispone per le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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