Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1357 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Mg Advertising s.r.l. premesso che negli ultimi mesi del 1995, il Servizio Affissioni e Pubblicità del Comune di Roma aveva proceduto, senza preavviso, alla rimozione di diciotto impianti pubblicitari di sua proprietà (impianti regolarmente autorizzati), conveniva detto Servizio, il direttore dell’ufficio tecnico dello stesso, innanzi al Tribunale di Roma, per sentir dichiarare l’illegittimità dell’azione dei convenuti in quanto effettuate in violazione delle procedure di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, con condanna dei convenuti in solido al risarcimento di tutti i danni sofferti, sia di natura patrimoniale che non patrimoniale.

In data 25.9.2000, l’adito Tribunale di Roma, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del servizio affissioni e pubblicità del Comune (ritenendo invece sussistente dei dirigenti convenuti) e rigettava la domanda.

A seguito dell’appello della società, la Corte d’Appello di Roma, con la decisione in esame depositata in data 6.12.2005, rigettava il gravame, ritenendo che la società istante non avesse dato prova dell’autorizzazione dei cartelloni pubblicitari in questione e che comunque "la pronuncia del Consiglio di Stato che ha ritenuto l’illegittimità della condotta del Comune di Roma, nella rimozione dei cartelloni pubblicitari, per non aver dato all’interessato rituale comunicazione dell’avvio di procedimento amministrativo, non può, infatti, in nessun modo influire sul tema del contendere in questa sede, non valendo a conferire alla società la legittima titolarità di mantenere quei cartelloni pubblicitari, che avrebbero richiesto le autorizzazioni amministrative, come già detto, non prodotte e, quindi, da ritenere non esistenti".

Ricorre per cassazione la Mg con sei motivi; resiste con controricorso il Comune.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 183 e 187 c.p.c., e difetto di motivazione. Si fa presente che la sentenza è erronea "per non avere considerato la censura relativa alla negazione della concessione dei termini ai sensi dell’art. 183 c.p.c., da parte del giudice di primo grado che si era riservato la decisione sulle eccezioni preliminari svolte dal Comune di carenza di legittimazione passiva dei convenuti e, ignorando che la società aveva richiesto, dopo la decisione di rito, la remissione della causa sul ruolo per i provvedimenti di cui all’art. 183 c.p.c., aveva deciso nel merito".

Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione e violazione dell’art. 105 c.p.c.; "si precisa che, al contrario di quanto sostenuto, il Comune era intervenuto in giudizio al solo fine di fare rilevare la carenza di legittimazione di tutti i convenuti da cui l’evidenza della posizione subordinata comunale quale interventore adiuvandum e, quindi, l’impossibilità per lo stesso di svolgere azioni e di produrre documenti di contumacia dei convenuti".

Con il terzo motivo si deduce ancora difetto di motivazione; "si censura la sentenza per non essersi pronunciata sull’eccezione inerente la domanda della ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento dei danni a causa del comportamento dei convenuti i quali hanno deliberatamente e reiteratamente ignoratole richieste di chiarimenti avanzata dalla ricorrente, venendo meno ai principi di correttezza, imparzialità e trasparenza".

Con il quarto motivo si deduce ancora difetto di motivazione sul punto in cui è stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di risarcimento danni per omessa restituzione del materiale rimosso.

Con il quinto motivo si deduce sempre difetto di motivazione "per omesso esame della documentazione della società e per non aver ritenuto la violazione del diritto di difesa in primo grado per mancata concessione dei termini ex art. 183 c.p.c.".

Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione alla nota n. 6511/95.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Inammissibile è il primo motivo in quanto, la società ricorrente, affermando che il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta da essa avanzata nel giudizio di primo grado in sede di comparsa conclusionale avente ad oggetto la censura relativa alla negazione della concessione dei termini ai sensi dell’art. 183 c.p.c., manca del tutto di autosufficienza espositiva, in quanto non indica gli atti con cui tale proposta venne formulata, riportandone il testo specifico, al fine di consentire a questa Corte di valutare la dedotta omessa pronuncia e la decisività della richiesta stessa.

Non meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo. La ricorrente, nell’affermare che la motivazione della sentenza è carente sul punto della qualifica dell’intervento effettuato dal Comune, da un lato prospetta una quaestio facti non ulteriormente esaminabile nella presente sede, in relazione alla posizione sostanziale fatta valere dal Comune, dall’altro pecca anche in tal caso di autosufficienza (nel punto in cui assume di aver chiesto l’inammissibilità dell’intervento), dall’altro ancora non indica la rilevanza sul piano processuale del tipo di intervento come effettuato dal Comune e come ritenuto dai giudici di secondo grado.

Anche il terzo e il quarto motivo sono inammissibili per mancanza di autosufficienza in quanto la ricorrente non indica le modalità formali e i relativi atti, ex art. 366 c.p.c., n. 6, mediante i quali, rispettivamente, fu sollevata l’eccezione riguardante la domanda della ricorrente volta a ottenere il risarcimento dei danni e fu proposta l’eccezione di inammissibilità della domanda di risarcimento danni per omessa restituzione del materiale.

Inammissibili ancora sono il quinto e il sesto motivo anch’essi per mancata osservanza del principio di autosufficienza (la ricorrente non indica i motivi di appello non esaminati come le questioni proposte in relazione all’annullamento del dedotto provvedimento del Comune).

Inammissibile è infine anche l’ultimo motivo, rientrando il governo nelle spese del potere discrezionale del giudice del merito.

Le spese della presente fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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