Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-10-2011, n. 5517 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. S. impugnava, con ricorso straordinario al Capo dello Stato:

a) il provvedimento del 30 marzo 2005, prot. n. 1817 con il quale il dirigente responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Rossano ha disposto il rigetto della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente in data 26 settembre 1986, per un fabbricato abusivamente realizzato in località "Zolfara" per la mancanza della dichiarazione di disponibilità dell’ente proprietario dell’area, ritenuta demaniale, la mancanza dell’autorizzazione paesaggistico ambientale, necessaria essendo interessata un’area vincolata, la mancanza di titolo di proprietà del suolo, atto notorio indicante l’epoca di ultimazione dei lavori, dichiarazione sullo stato dei lavori, certificato di residenza storico, convenzionamento stipulato ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge 10/1977, perizia giurata sullo stato e dimensioni dell’opera relativa alle dimensioni della stessa, indicanti il superameno o meno dei mc 450;

b) qualsivoglia atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale, comunque lesivo degli interessi del ricorrente ed in particolare delle variazioni accertate a seguito della verificazione straordinaria, a cura dell’agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Cosenza, del 20 settembre 2002, relative alla fascia costiera del Comune di Rossano.

L’interessato lamentava la violazione degli artt. 32 e 33 del codice della navigazione, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, del d.lgs. 42/2004, dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere sotto vari profili, violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241, appena citata, difetto di istruttoria, disparità di trattamento chiedendo quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

A seguito di opposizione, il ricorrente trasponeva il giudizio di fronte al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria.

Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado respingeva il ricorso.

Avverso la predetta sentenza insorge il sig. S. chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso rilevando, per quel che qui interessa, l’infondatezza dell’affermazione relativa ad una pretesa formazione del silenzio assenso da parte dell’amministrazione comunale, che non potrebbe andare a sradicare una situazione oramai consolidata da anni.

Il giudice di primo grado ha affermato che "pure tale prospettazione non appare corretta, dal momento che, come noto, ai fini della formazione del silenzio assenso che tenga luogo di un provvedimento concessorio, non basta il semplice decorso del tempo senza che vi sia alcun comportamento interruttivo da parte dell’amministrazione decidente sull’istanza di condono, ma occorre che la fattispecie sia legittimamente formata e, nel caso in esame, come è dato evincere dal provvedimento impugnato è accaduto che l’istanza non fosse corredata dal nulla osta paesistico.

Né può sostenersi che all’epoca in cui il condono è stato richiesto e cioè nel 1986 non trovassero applicazione le disposizioni di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 recante il codice per i beni culturali, atteso che, come noto, esso non è altro che la riproposizione di norme già esistenti all’epoca di presentazione dell’istanza di condono edilizio ed esattamente della L. 29 giugno 1939, n. 1497 sulle bellezze naturali.

Per giurisprudenza costante la determinazione del silenzio assenso sul condono per decorso dei 24 mesi dalla data dell’istanza, è invocabile non sempre bensì solo quando le opere risultino eseguite in aree non sottoposte ad alcun vincolo, sia di inedificabilità ex art. 33 della L. n. 47 del 1985, sia paesaggistico ambientale (TAR Puglia, Bari, sez. II, 9 aprile 2003, n. 1660).

E comunque tranciante sull’argomento è l’Adunanza Plenaria n. 20 del 22 luglio 1999 che ha affermato il principio secondo cui "la disposizione dell’art. 32 l. 28 febbraio 1985 n. 47, in tema di condono edilizio, nel prevedere la necessità del parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ai fini del rilascio delle concessioni in sanatoria, non reca alcuna deroga ai principi generali e pertanto essa deve interpretarsi nel senso che l’obbligo di pronuncia dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto. Ciò in quanto tale valutazione corrisponde all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità con il vincolo dei manufatti realizzati abusivamente".

Si è costituito in giudizio il Comune di Rossano chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza del 21 giugno 2001 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Va preliminarmente evidenziato come non sia contestato il fatto che l’area interessata dalla costruzione abusiva di cui si tratta sia assoggettata a vincolo paesistico, e che l’istanza non abbia ottenuto l’assenso. Tanto lo si deduce dagli stessi motivi di ricorso allorquando l’appellante afferma (pagina 27 dell’atto introduttivo di giudizio) che: "Infine, già con legge regionale (della Calabria) 28 febbraio 1995, n. 3, art. 1, erano state delegate ai comuni le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione paesistica ai sensi delle leggi n. 1497/1939 e n. 431/1985, sicché era lo stesso comune a dover provvedere".

Il ricorrente sostiene, per quel che è dato intendere, che l’amministrazione, prima di adottare il provvedimento impugnato, avrebbe dovuto pronunciarsi, d’ufficio, sulla compatibilità ambientale dell’immobile da sanare.

La censura non può trovare accoglimento.

Dall’articolo 32, comma 1, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (il quale subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso) non si evince affatto che la richiesta di parere debba essere effettuata dall’amministrazione comunale che ha ricevuto la domanda di sanatoria. I mutamenti di competenza, introdotti dalla legge della Regione Calabria regionale 28 febbraio 1995, n. 3, art. 1, che attribuiscono all’ente comunale il poter di rilascio dell’autorizzazione paesistica, e sempreché tale norma possa ritenersi applicabile anche alle sanatorie in corso, non determinano una modifica procedimentale con obblighi a carico di un’amministrazione e non del richiedente, cosicché l’immobile resta senza parere favorevole.

Quanto all’effettivo rilievo del vincolo paesaggistico, pur sopravvenuto rispetto alla presumibile data di compimento dell’abuso, vanno richiamati i principi elaborati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la decisione n. 20 del 1999, che il Collegio condivide e fa propria.

Il ricorso deve essere pertanto respinto alla luce del principio giurisprudenziale secondo cui "ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza" (Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2001, n. 1981).

La circostanza della mancata dell’autorizzazione paesistica è sufficiente a respingere l’appello.

Decisiva al riguardo è la circostanza che, oltre alle ulteriori censure formulate in ordine alla delimitazione della fascia demaniale, il ricorrente non abbia mai affermato che il manufatto, per la sua oggettiva collocazione sul suolo, doveva ritenersi ubicato al di fuori del limite, di trecento metri, fissato dalla lettera a) del comma 1 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, norma espressamente richiamata nel provvedimento impugnato. L’amministrazione quindi ben poteva negare l’autorizzazione per la sola circostanza che l’immobile ricadeva in detta fascia, a prescindere dalla natura demaniale della medesima.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Rossano Calabro, in persona del legale rappresentante pro tempore, della somma di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per le spese di questa fase di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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