Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-01-2012, n. 1352 Delegazione di pagamento, espromissione, accollo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La S.r.l. Ortofrutticoli Export di Colasuonno Nicola & figli (di seguito Ortofrutticoli Export) propose opposizione all’esecuzione immobiliare intrapresa nei suoi confronti dalla Banca Nazionale del Lavoro, con riferimento al credito nascente da un finanziamento a tasso agevolato concesso dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale, garantito da ipoteca iscritta sul complesso industriale della società; dedusse l’opponente che vi era stato un accollo del debito da parte della società Ribatti rag. Umberto & C. s.a.s. (di seguito società Ribatti) e che la banca creditrice aveva dichiarato espressamente di liberare la società debitrice originaria, a determinate condizioni che si erano verificate. La Banca Nazionale del Lavoro resistette all’opposizione, deducendo che non si era perfezionato alcun accollo liberatorio e quindi, non avendo nè l’accollante nè l’accollata pagato il debito residuo, aveva diritto ad avvalersi dell’ipoteca, che non era stata cancellata. Nel procedimento così instaurato, intervenne S.A., assumendo di essere proprietaria di parte del complesso industriale oggetto del pignoramento per averla acquistata da tale D.A., che aveva acquistato gli immobili dalla società S.r.l. Ortofrutticoli Export. Il Tribunale di Trani, ritenuto legittimo quest’ultimo intervento, accolse l’opposizione, rilevando che dagli atti risultava che la Banca avesse accettato l’accollo, liberando espressamente la società debitrice accollata. La Banca Nazionale del Lavoro propose appello e, nel corso del giudizio, si costituì, in sua sostituzione, la S.p.A. S.G.C., mandataria della S.r.l. Ares Finance, cessionaria del credito di B.N.L.; a seguito di interruzione e riassunzione del giudizio, questo proseguì tra la cessionaria e le originarie appellate Ortofrutticoli Export e S.. Con sentenza pubblicata l’11 agosto 2006 la Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’appello ed ha condannato le appellanti al pagamento delle spese processuali in favore delle appellate.

Avverso la sentenza S.G.C., s.r.l. propone ricorso per cassazione a mezzo di tre motivi, illustrati da memoria. Si difendono le intimate con separati controricorsi; S.A. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Ortofrutticoli Export per mancanza della sottoscrizione del difensore di autenticazione della procura speciale a margine della copia del ricorso notificata.

Al riguardo, va confermato il principio più volte espresso da questa Corte per il quale "qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura, speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale" (così Cass. n. 636/10, nonchè, tra le più recenti, Cass. n. 5932/10). L’originale del ricorso reca la sottoscrizione del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione da parte dello stesso difensore della sottoscrizione del soggetto conferente la procura; a sua volta, la copia notificata all’intimata reca l’indicazione della procura nell’intestazione e la sua riproduzione a margine, la sottoscrizione del difensore e l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notificazione è stata eseguita ad istanza del medesimo difensore. Essendo il ricorso in originale munito di valida procura speciale regolarmente autenticata ed essendo la copia notificata del ricorso riferibile senza alcun dubbio allo stesso difensore munito di procura speciale, non è riscontrabile la causa di inammissibilità denunciata dalla controricorrente.

2.- Va invece dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso.

In merito al vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si osserva che il presente ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (11 agosto 2006).

Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 105, 267 e 268 cod. proc. civ. ed il quesito di diritto è formulato nei seguenti termini:

"Dica l’Ecc.ma Corte adita, previa valutazione dell’omessa motivazione della decisione impugnata sul punto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, se a seguito della riforma del codice di procedura civile ad opera della L. n. 353 del 1990 e della introduzione del rigido sistema delle preclusioni dalla stessa introdotto, così come modificato dalla L. n. 354 del 1995, l’intervento volontario autonomo in giudizio effettuato dopo lo scadere del termine previsto dall’art. 167 c.p.c., comma 2 per la proposizione di domande riconvenzionali ovvero successivamente alla prima udienza di trattazione possa ritenersi validamente esercitato e le domande ivi formulate possano ritenersi ammissibili".

Il quesito è formulato in termini tali da richiedere a questa Corte l’affermazione di uno o più principi astratti del tutto avulsi dalla fattispecie concreta, che comporterebbe un’attività interpretativa delle norme degli artt. 267 e 268 cod. proc. civ., per di più da svolgersi in riferimento alle diverse fattispecie previste dall’art. 105 cod. proc. civ., senza che vi sia alcun riferimento al caso concreto. In particolare, non essendo stata sintetizzata la posizione assunta dall’interveniente ditta individuale Silvano Plast di Sgarra Angela, in persona dell’omonima titolare (quale il contenuto della comparsa di intervento, quali le domande svolte, quali gli atti richiesti e/o compiuti), risulta del tutto astratta la qualificazione dell’intervento come "volontario autonomo" che la stessa ricorrente pone a presupposto del quesito; in particolare, quest’ultimo avrebbe dovuto fornire una sintesi logico-giuridica anche delle ragioni per le quali l’intervento in parola si dovesse qualificare nei termini predetti – essendo proprio siffatta qualificazione la questione controversa tra le parti. Ancora, non essendo state sintetizzate le vicende processuali oggetto di valutazione, l’indicazione alternativa della costituzione dell’interveniente "dopo lo scadere del termine previsto dall’art. 167 c.p.c., comma 2 per la proposizione di domande riconvenzionali ovvero successivamente alla prima udienza di trattazione" non consente certo a questa Corte di enunciare un’unica regola iuris applicabile non solo in casi ulteriori, ma anche in questo oggetto della presente decisione, poichè non è sintetizzato in quale momento del processo e con quali modalità l’intervento è stato compiuto.

Peraltro, le ragioni di inammissibilità sopra esposte, fondate sulla giurisprudenza di questa Corte che qui si ribadisce (cfr., tra le tante, Cass. S.U. n. 26020/08), sono viepiù valide nel caso di specie, con specifico riferimento alla questione astratta richiamata nel quesito, rispetto alla quale,, come pure la dottrina e la giurisprudenza richiamate nell’illustrazione del motivo dimostrano, non è possibile una risposta univoca in punto di interpretazione dei citati artt. 167 e 168 cod. proc. civ., dovendosi all’uopo distinguere tra intervento principale o litisconsortile ed intervento adesivo dipendente.

2.1.- Quanto alla denuncia del vizio di omessa motivazione, essa è inammissibile perchè riferita non ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ma ad una questione processuale. Infatti, la ricorrente ha erroneamente ricondotto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omessa motivazione "circa l’ammissibilità dell’intervento spiegato dalla Ditta Individuale SILVANI PLAST di SGARRA ANGELA", che di certo non è un "fatto", che possa essere oggetto del relativo giudizio da parte del giudice di merito sul quale questi abbia l’obbligo di motivare, bensì una questione processuale, rispetto alla quale gli unici vizi logicamente configurabili sono quelli di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed, eventualmente, n. 4 (così come d’altronde dedotto con lo stesso motivo, sia pure in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ.).

3.- Col secondo motivo di ricorso, è denunciato il vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 1273 e segg. cod. civ., artt. 1326 e segg. cod. civ. e artt. 1350 e seg. cod. civ., e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè il vizio di erronea ed incongruente motivazione circa un fatto decisivo. Il quesito di diritto è rispondente alla previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come sopra interpretato, poichè compendia la questione oggetto della decisione con riferimento all’art. 1273 cod. civ. e contiene il momento di sintesi richiesto con riferimento alla denuncia del vizio di omessa motivazione (cfr. Cass. n. 4556/09) che riferisce, in particolare "alla sussistenza di un valido ed opponibile accollo del debito originario e della conseguente adesione del creditore avente efficacia liberatoria, in assenza dei necessari requisiti di sostanza e di forma ed in contraddizione con le risultanze documentali acquisite al fascicolo d’ufficio". 3.1- Assume la ricorrente che nell’adottare la decisione impugnata la Corte d’Appello sarebbe incorsa in errore nell’interpretazione del contenuto della nota del 18 settembre 1989, che avrebbe interpretato come dichiarazione della Banca di adesione all’accollo del debito della Ortofrutticoli Export da parte della Ribatti rag. Umberto & C. s.a.s. con liberazione dell’originario debitore, senza tenere conto sia della destinazione della missiva e quindi della sua rilevanza meramente interna, sia del suo contenuto, che presupponeva che vi era stata un’autorizzazione all’adesione all’accollo con liberazione dell’originario debitore ma anche che questa si sarebbe dovuta manifestare e perfezionare formalmente e comunque dopo il verificarsi di determinate condizioni, tra cui la conferma della garanzia ipotecaria e del privilegio ex lege n. 38 del 1967 sull’intero complesso aziendale finanziato sito in (OMISSIS). Secondo la ricorrente, anche a voler ipotizzare ("per mera ipotesi discorsiva") che la missiva in questione avesse anche rilevanza esterna, dette condizioni avrebbero funzionato come condizioni sospensive dell’efficacia e quindi la liberazione del debitore originario non si sarebbe avuta comunque, attesa la mancata verificazione della condizione appena richiamata, che avrebbe dovuto comportare il trasferimento del complesso industriale ipotecato dalla Ortofrutticoli alla Ribatti.

Aggiunge la ricorrente che l’adesione della Banca all’accollo presupponeva l’esistenza e la validità di un contratto tra il debitore originario e l’accollante, la cui conclusione e formalizzazione non sarebbe stata in alcun modo comprovata, avendo la sentenza impugnata del tutto omesso di procedere ad una verifica in tal senso. Secondo la ricorrente, l’accollo, in quanto relativo al credito nascente da un contratto di mutuo fondiario, avrebbe dovuto avere la forma dell’atto pubblico, anche in ragione del fatto che si sarebbe dovuto trasferire all’accollante il bene ipotecato a garanzia del credito della banca; essendo peraltro quest’ultimo trasferimento la vera causa dell’accollo e non essendo plausibile ritenere che la Direzione della banca, autorizzando la propria Sezione di Credito Industriale ad aderire all’accollo, avesse inteso liberare la debitrice originaria privandosi della garanzia ipotecaria.

Quanto al vizio di motivazione, la ricorrente elenca ed illustra alla pag. 23 del ricorso una serie di documenti dei quali la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto e che, se considerati, l’avrebbero dovuta indurre ad interpretare la nota del 18 settembre 1989 escludendone il carattere immediatamente vincolante per la banca nei confronti dei terzi. Il mancato esame, da parte del giudice di merito di fatti decisivi della controversia desumibili da tale copiosa documentazione non consentirebbe in alcun modo la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto perfezionato l’accollo e validamente espressa l’adesione liberatoria allo stesso da parte del creditore.

3.2.- Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata si è limitata a citare la missiva BNL del 18 settembre 1989 e la delibera del Comitato Esecutivo della Banca del 4 agosto 1989, sostenendo che in tali documenti sarebbero contenute l’adesione della banca all’accollo ed anche la dichiarazione espressa di liberare l’originario debitore. Si tratta di una qualificazione che presuppone un’attività interpretativa della quale la Corte non ha in alcun modo esplicitato i canoni ed il processo logico-giuridico seguiti: ha soltanto affermato che nei documenti citati si leggerebbe "a chiare lettere" l’accettazione dell’accollo e la liberazione dei debitori accollati.

Nessun’altra considerazione svolge nè quanto ai dati letterali che condurrebbero a siffatto risultato interpretativo nè quanto ad un’eventuale indagine sull’intenzione della parte dichiarante nè, ancora, quanto alle ragioni di esclusione del ricorso a criteri interpretativi ulteriori rispetto a quello letterale; inoltre, nessun cenno è fatto alla copiosa documentazione prodotta dalla banca, sicchè non è dato comprendere dalla motivazione della sentenza se questa sia stata o meno esaminata dal giudice a quo ed, in caso eventualmente positivo, perchè ne abbia escluso ogni rilevanza.

Ed invero, dopo avere menzionato, oltre alla delibera del Comitato Esecutivo (della quale è da escludere in radice la rilevanza esterna), la nota del 18 settembre 1989 ed avere concluso come sopra, la Corte d’Appello è passata ad esaminare il contenuto della nota stessa; ha quindi reputato che fosse espressione di un negozio a rilevanza esterna, nel quale l’efficacia dell’adesione all’accollo e della liberazione del debitore originario fosse subordinata ad una condizione soltanto, vale a dire al pagamento da parte dell’accollante della somma di lire 456.375.272; ha così escluso che fosse prevista una qualsiasi altra condizione, in particolare quella della permanenza del vincolo ipotecario nei confronti dell’accollante e quindi del trasferimento a quest’ultimo del bene gravato della garanzia. Nemmeno in questa seconda parte della motivazione sul merito risultano esplicitati i criteri ed il procedimento logico- giuridico seguiti per raggiungere tale risultato interpretativo; in particolare, non risulta se sia stato considerato il criterio dell’art. 1363 cod. civ., poichè non vi è cenno alcuno al testo completo della nota, e specificamente a quelle parti di questa che la banca ha sostenuto contenere ben altre condizioni rispetto all’unica considerata dal giudice a quo.

4.- Argomentando nei termini appena esposti, la Corte d’Appello è incorsa nel vizio di motivazione denunciato ed ha pure finito per applicare falsamente le previsioni dell’art. 1273 cod. civ. in tema di accollo liberatorio. Quanto a queste ultime, va ribadito, in primo luogo, che l’accollo è il contratto tra il debitore ed il terzo, in forza del quale le parti convengono che quest’ultimo assuma il debito del primo, laddove – secondo la ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass. n. 4604/00) – il creditore non è parte del contratto, nemmeno quando l’accollo assuma rilevanza esterna e nemmeno quando si configuri come liberatorio.

Ed invero è da escludere che il creditore sia parte dell’accollo cumulativo, anche quando vi presti adesione, poichè questa va riferita ad un contratto già perfezionato in tutti i suoi elementi per come si desume anche dal testo dell’art. 1273 cod. civ., comma 1, secondo cui il creditore aderisce "alla convenzione, rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore". Le espressioni adoperate dal legislatore e la struttura e la funzione del contratto inducono a ribadire la riconducibilità dell’accollo allo schema del contratto a favore di terzo (cfr. già Cass. n. 1217/79, nonchè Cass. n. 4604/00 cit.), pur con le peculiarità risultanti dalla specifica disciplina, in particolare da quella dell’art. 1273 cod. civ., u.c. quanto alle eccezioni opponibili dal terzo assuntore dell’accollo (cfr. già Cass. n. 2663/71). Ne segue che, quando l’accollo è esterno e cumulativo, il creditore presta adesione ad un contratto già perfezionato ed esistente, al fine di rendere irrevocabile la stipulazione in suo favore (cfr. Cass. n. 861/92).

4.1.- Quanto all’accollo liberatorio – che è la fattispecie che qui interessa -, l’art. 1273 cod. civ. distingue due ipotesi, a seconda che l’accollo già stipulato tra il debitore ed il terzo preveda come condizione espressa la liberazione del debitore originario ovvero che il creditore dichiari espressamente di volerlo liberare: secondo l’opinione prevalente nemmeno in tali due ipotesi il creditore diviene parte del contratto, sebbene sia controverso in dottrina se la prima soltanto od entrambe siano o meno riconducibili allo schema del contratto a favore di terzo. In ogni caso – non assumendo siffatta qualificazione particolare rilievo ai fini dell’esame del motivo in oggetto – ciò che preme sottolineare è che l’adesione del creditore si pone come fatto esterno al contratto, che questo presuppone, in modo da consentire che esso produca effetti nei suoi confronti (cfr. Cass. n. 9982/04, n. 4482/10). L’atto di adesione del creditore ad un accollo condizionato alla liberazione del debitore originario o la sua dichiarazione espressa di voler liberare il debitore originario sono dichiarazioni unilaterali del creditore, che cosi approva l’altrui convenzione (ovvero, nell’eventualità che sia ancora da stipulare, l’autorizza), al fine di consentire che produca effetti nei suoi confronti.

4.2.- Nella prima delle due ipotesi dell’art. 1273 cod. civ., comma 2 è necessario che vi sia un contratto tra il debitore ed il terzo che subordini espressamente la sua efficacia alla liberazione del primo da parte del creditore ovvero che preveda la liberazione del primo in caso di adesione del creditore. Quest’ultima pertanto presuppone un’apposita clausola contenuta nel contratto di accollo, anche se non necessariamente espressa nei termini della condizione sospensiva.

Nella seconda ipotesi, è necessaria una "dichiarazione espressa" e non equivoca del creditore di volere liberare il debitore originario (cfr. Cass. n. 9371/06, n. 14780/09) tale che non possa essere desunta da un comportamento tacito del creditore (cfr. Cass. n. 5403/83r n. 4469/85, n. 848/02).

In dottrina, si ammette che il creditore possa autorizzare preventivamente la stipulazione di un accollo liberatorio.

5.- Sia nell’una che nell’altra delle fattispecie previste dall’art. 1273 cod. civ., comma 2, si richiede una dichiarazione unilaterale del creditore, a carattere negoziale, poichè volta ad approvare o ad autorizzare la produzione nei propri confronti degli effetti di un contratto stipulato da altri. L’accertamento della sua esistenza e della relativa portata è riservato al giudice del merito, ed è insindacabile in cassazione se assistito da motivazione congrua e logica (cfr. Cass. n. 711/78, n. 833/80). Poichè trattasi di dichiarazione unilaterale del creditore, i criteri interpretativi da seguire in forza del richiamo contenuto nell’art. 1324 cod. civ., sono quelli di cui agli artt. 1362 e seg. cod. civ. (Cass. n. 11592/03), sia pure nei limiti di compatibilità (cfr. Cass. n. 7178/95, n. 5234/04). Pertanto i criteri ermeneutici principali sono quelli del senso letterale delle parole e dell’interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre (cfr. Cass. n. 2399/09), dovendosi rispettare, anche rispetto agli atti unilaterali, il principio del gradualismo, secondo cui deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362-1365 cod. civ. ed il giudice fornisca adeguata motivazione al riguardo (cfr. Cass. n. 6656/04, n. 12721/07).

5.1.- L’obiettivo, riservato al giudice di merito, non può essere altro che quello di ricostruire la volontà dell’unica parte dichiarante (cfr. Cass. n. 7973/02, n. 13543/02, n. 460/11).

Pertanto, va ribadito il principio per il quale nell’interpretazione degli atti unilaterali, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio ed è invece esclusa, provenendo l’atto da un solo soggetto, la possibilità di applicare il canone interpretativo previsto per i contratti dal secondo comma di detto articolo, che fa riferimento alla comune intenzione dei contraenti, imponendo di valutare il comportamento complessivo delle "parti" anche posteriore alla conclusione del contratto (così Cass. n. 7973/02, cit., nonchè Cass. n. 1397/05), non rilevando, in particolare, il comportamento dei destinatari della dichiarazione (cfr. Cass. n. 4251/04, n. 1387/09).

6.- Orbene, la Corte d’Appello avrebbe dovuto interpretare la nota del 18 settembre 1989 seguendo i criteri di cui ai precedenti punti 5. e 5.1. al fine procedere alla sua qualificazione seguendo i principi di cui ai precedenti punti 4., 4.1. e 4.2.

Quanto a tale qualificazione, si desume dalla prima parte della sentenza che detta nota è stata interpretata come adesione ad un contratto di accollo già stipulato tra la Ortofrutticoli Export e la società Ribatti e come dichiarazione espressa di liberazione del debitore originario, secondo il parametro normativo di cui all’art. 1273 c.c., comma 1 e comma 2, ultimo inciso; più specificamente, la nota si sarebbe posta come atto di adesione al contratto ed (ulteriore ed) espressa dichiarazione di liberazione. La seconda parte della sentenza conferma tale qualificazione, con la precisazione che vi sarebbe stata un’unica condizione apposta a quella, che la Corte indica come "efficacia dell’accollo", e più correttamente, a seguire il ragionamento della Corte, si sarebbe dovuta indicare come condizione di efficacia dell’adesione dell’istituto di credito e della liberazione del debitore originario:

cioè, in tanto sarebbero state efficaci l’una e l’altra in quanto il R. (così indicato in sentenza, senza distinguere la persona fisica dalla società Ribatti rag. Umberto & C. s.a.s., che invece sarebbe stata la controparte contrattuale della Ortofrutticoli Export) avesse corrisposto la somma di lire 456.375.272.

Secondo la Corte nè l’accollo tra debitore (Ortofrutticoli Export) e terzo (Ribatti ovvero società Ribatti) nè l’atto di adesione e la liberazione del debitore da parte della banca avrebbero previsto l’obbligo del primo di trasferire al secondo il complesso industriale oggetto di ipoteca ovvero avrebbero condizionato la loro efficacia a tale trasferimento, tanto che in sentenza si legge che "probabilmente il trasferimento degli immobili al R. costituiva mera presupposizione di fatto" e che "la banca non era stata abbastanza cauta nel valutare la situazione". Seguendo tale ragionamento – e senza indicarne gli elementi a supporto – la Corte aggiunge che il trasferimento avrebbe dovuto costituire oggetto di un "ulteriore accordo" del quale non vi sarebbe "traccia alcuna in atti". 6.1.- Per addivenire alla qualificazione nei termini di cui sopra il giudice di merito avrebbe dovuto interpretare la nota del 18 settembre 1989 come presupponente l’accollo già stipulato e come indirizzata ai destinatari in quanto contraenti tale contratto e quindi diretta a manifestare loro immediatamente ed espressamente l’adesione a quest’ultimo e la liberazione del debitore originario senz’altra condizione se non quella del pagamento della somma su indicata. Inoltre, avrebbe dovuto motivare nel senso che detta qualificazione non veniva meno malgrado tutti gli altri documenti prodotti dalla banca per sostenere che, nel momento in cui detta nota era stata redatta, ancora non era stato stipulato l’accollo, e che quindi essa si poneva come atto interno di autorizzazione dell’istituto di credito a partecipare a tale stipulazione (come terzo accettante gli effetti ed al fine della liberazione del debitore originario) ovvero ad approvarla secondo le condizioni nella nota fissate.

Il giudice di merito non ha adeguatamente adempiuto al primo dei compiti anzidetti ed ha completamente trascurato il secondo.

7.- Quanto al primo, la Corte d’Appello sembra alludere all’interpretazione della nota secondo il senso letterale delle parole, ma non indica di quali espressioni si sia avvalsa per addivenire all’interpretazione dell’atto come manifestazione di volontà della banca nei termini anzidetti, essendo peraltro tale interpretazione in contrasto con lo scopo della missiva quale enunciato nella sua prima pagina (quello di "comunicare" una notizia) nonchè col testo che segue, che, coerentemente con tale scopo, indica ciò che è stato oggetto di un’ "autorizzazione" che il Consiglio di Amministrazione della banca ha rivolto alla propria Sezione di Credito Industriale.

Orbene, a completamento di quanto sub 5. e 5. 1., va ribadito il principio per il quale il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al rispettivo coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e con riguardo a tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte e parola che la compone, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (cfr. Cass. n. 18180/07; n. 5287/07;

n. 4670/09).

La Corte d’Appello sembra essersi fermata al dato formale che tra i destinatari della missiva vi erano le due società ed alla lettura dei punti n. 3) e n. 4) della stessa, senza considerare la ragione della destinazione della nota alla Ortofrutticoli Export ed alla società Ribatti e senza collegare in alcun modo detti punti con l’incipit della nota stessa e con il contenuto degli altri tre.

Se i destinatari fossero stati considerati dalla banca mittente come parti di un contratto di accollo già stipulato, per qualificare la nota come ha fatto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto interpretarla come contenente precisi riferimenti a tale contratto in quanto già noto alla banca stessa (che avrebbe dovuto riportarne quanto meno la data della stipulazione); ancora, avrebbe dovuto interpretare i punti 3) e 4) come espressione di manifestazione diretta della volontà della banca di adesione a detto contratto e di liberazione del debitore originario, esaminandone le portata letterale in collegamento con la parte iniziale e con gli altri punti della stessa nota. Quanto a questi ultimi, infatti, non avrebbe potuto trascurare i primi due, e soprattutto non avrebbe potuto trascurare la restante parte del punto n. 4 (acquisizione delle fideiussioni dei soci R. e T.) ed il punto n. 5 (conferma della garanzia ipotecaria e del privilegio ex lege n. 38 del 1967 sull’intero complesso aziendale finanziato sito in (OMISSIS)), così come non avrebbe potuto liquidare la questione della permanenza del vincolo ipotecario soltanto sul complesso industriale finanziato in (OMISSIS) (laddove invece la nota prevedeva la cancellazione di tutte le altre ipoteche già iscritte in favore della banca su altri immobili di proprietà dei soci garanti della Ortofrutticoli Export: punto 2) limitandosi a constatare – come fa alla pag. 8 della sentenza – gli effetti di esso, ma avrebbe dovuto indagare le ragioni di tale mancata cancellazione, in rapporto alla volontà manifestata con l’atto oggetto di interpretazione e qualificazione. Per di più, come detto al precedente punto 4.2, la dichiarazione di voler liberare il debitore originario deve essere inequivoca, sicchè la Corte avrebbe dovuto motivare su tale carattere, ribadendone la sussistenza malgrado l’inserimento di siffatta dichiarazione in un punto (il n. 4) facente parte di un documento ben più complesso.

Il ragionamento svolto dal giudice di merito per addivenire alla qualificazione di una missiva in termini di dichiarazione unilaterale di volontà rilevante ex art. 1273 cod. civ. è totalmente carente di motivazione sui criteri interpretativi seguiti, non essendo stato esposto il percorso logico-giuridico seguito e soprattutto se esso sia stato quello sopra sintetizzato, ma in nessun modo esplicitato in sentenza; le conclusioni raggiunte peraltro finiscono per essere in contrasto con l’appena citato art. 1273 cod. civ. laddove nemmeno risulta posta la questione concernente l’esistenza e la portata del contratto di accollo al quale la banca avrebbe prestato adesione.

7.1.- Il vizio di motivazione, oltre che relativo all’interpretazione dell’atto che la Corte pone a fondamento della propria decisione, riguarda anche la qualificazione di questo, desumibile non solo dal suo contenuto, ma, secondo la ricorrente, anche da una serie di documenti dei quali la Corte non avrebbe tenuto conto. Più specificamente, fatto controverso e decisivo per il giudizio è che, al momento in cui venne inviata detta nota, l’accollo tra le parti non era ancora stato stipulato, sicchè il creditore non avrebbe potuto prestarvi adesione.

Orbene, la ricorrente ha dedotto di avere prodotto tempestivamente in sede di merito diversi documenti (specificamente indicati alla pag.

23 del ricorso) costituenti un carteggio tra l’istituto di credito e le controparti Ortofrutticoli Export e società Ribatti, intercorso nel periodo 1991-1996, dal quale si desumerebbe appunto che detto contratto di accollo con il contestuale trasferimento dall’accollata all’accollante del complesso industriale ipotecato in favore della banca non sarebbe mai stato stipulato.

I detti documenti sono stati completamente ignorati dal giudice d’appello, malgrado il loro esame avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione e quindi tale omesso esame comporta un vizio della sentenza riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 14304/2005, nel senso che ai fini della configurabilità del vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che "il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base, ovvero che si tratti di un documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione, e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata";

cfr. nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007).

Infatti, se fosse accertato che tra Ortofrutticoli Export e società Ribatti, non ancora stato stipulato alcun accollo, all’epoca della comunicazione della banca, tale accertamento imporrebbe al giudice del merito di escludere l’interpretazione data alla nota del 18 settembre 1989 come presa d’atto di una stipulazione già avvenuta e gli imporrebbe di ricercarne altra.

Si porrebbe quindi l’alternativa di interpretare la stessa come una mera comunicazione fatta alle parti che la Sezione era stata autorizzata dai propri organi interni ad aderire all’accollo da stipularsi ed a liberare il debitore originario, secondo quanto sostenuto dello stesso istituto di credito, ovvero, ove si intendesse riconoscere alla comunicazione una rilevanza anche esterna, si potrebbe qualificare come un’autorizzazione preventivamente rilasciata al proprio debitore (Ortofrutticoli Export) a stipulare un accordo liberatorio – secondo una costruzione di questo pure compatibile col disposto dell’art. 1273 cod. civ., come ritenuto anche da una parte della dottrina – con il terzo (società Ribatti):

in entrambi i casi si dovrebbe valutare se i punti ivi previsti possano essere considerati autonomamente l’uno dall’altro ovvero come componenti di un insieme di condizioni alle quali l’autorizzazione – a rilevanza interna, quindi autorizzazione data alla Sezione a partecipare alla stipulazione del contratto di accollo liberatorio;

ovvero esterna, quindi autorizzazione data al proprio debitore a stipulare un accollo liberatorio – era stata subordinata e soprattutto si dovrebbe verificare se l’accollo sia stato poi stipulato in conformità a quanto autorizzato.

7.3.- Giova aggiungere che, anche a voler ritenere – come ha ritenuto il giudice d’appello – che l’atto di trasferimento del complesso industriale (oggetto dell’ipoteca in favore della banca) dalla Ortofrutticoli Export alla società Ribatti dovesse essere distinto dal contratto di accollo, ciò non basterebbe ad escluderne la rilevanza, occorrendo verificare se esso sia stato posto comunque come evento condizionante dell’autorizzazione alla liberazione del debitore o della liberazione stessa: in tale eventualità, la mancanza della prova relativa non potrebbe ridondare a danno dell’istituto di credito, come ritenuto dal giudice di merito, atteso che la Banca avrebbe subordinato l’efficacia dei propri atti alla relativa stipulazione.

8.- Il secondo motivo di ricorso va perciò accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, per un nuovo esame, da condursi alla stregua dei criteri interpretativi di cui sopra, nonchè del principio di diritto per il quale "in tema di accollo liberatorio, l’accertamento dell’esistenza e della portata della dichiarazione del creditore di liberare il debitore originario, ai sensi dell’art. 1273 cod. civ., comma 2, va compiuto previo accertamento dell’esistenza di un contratto di accollo già stipulato tra il debitore originario ed il terzo; ove si assuma che il creditore abbia autorizzato previamente il proprio debitore a stipulare con un terzo un accollo liberatorio, a determinate condizioni, la liberazione del debitore originario presuppone l’accertamento che l’accollo sia stato poi effettivamente stipulato alle condizioni previste nell’autorizzazione preventiva del creditore". Poichè l’accertamento sul diritto della B.N.L. di procedere ad esecuzione forzata nei confronti di Ortofrutticoli Export dipende dall’accertamento in fatto sull’esistenza e sulla portata della dichiarazione dell’istituto di credito di liberare la società debitrice originaria, rimasta proprietaria del complesso industriale oggetto del pignoramento (o, meglio, trasferito in parte a terzi soggetti diversi dalla società Ribatti, gravato comunque del vincolo dell’ipoteca in favore di B.N.L.), resta assorbito il terzo motivo di ricorso, concernente il diritto di espropriare il bene ipotecato in danno di chi ne risulti proprietario, ai sensi dell’art. 2808 cod. civ. (norma della quale, unitamente a quella dell’art. 2878 cod. civ., la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3).

Va rimessa al giudice di rinvio anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo ricorso ed accoglie il secondo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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