Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2011) 23-09-2011, n. 34688

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, ha dichiarato R.E. responsabile del reato di cui all’art. 651 c.p., commesso il (OMISSIS), e l’ha condannato alla pena di Euro 200 di ammenda.

L’imputazione aveva riguardo al fatto che l’imputato, sorpreso da guardie venatorie volontarie mentre assieme a due altre persone percorreva un tratto boschivo portando cani slegati, aveva rifiutato di declinare le proprie generalità alle guardie che gliene avevano fatto richiesta.

2, Ricorre l’imputato a mezzo del difensore, avvocato Pasquale Di Cicco, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata. Denunzia:

2.1. violazione di legge (e vizi della motivazione), risultando dagli atti che nelle denunce dei tre agenti venatori nessun accenno era stato fatto circa l’atteggiamento venatorio in cui si sarebbero trovati, quella mattina, l’imputato e i suoi amici; i tre, difatti, stavano semplicemente facendo una passeggiata con cani, tenuti regolarmente al guinzaglio, come avevano confermato a dibattimento le altre persone che erano con l’imputato; l’affermazione del Tribunale, che l’imputato era "in attitudine di caccia", non aveva base probatoria adeguata, fondandosi sulle sole dichiarazioni della guardia venatoria G., in aperta contraddizione con i testimoni a discarico;

2.2. violazione di legge e mancanza manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della veste di pubblici ufficiali delle guardie venatorie;

anche a condividere il principio secondo cui le guardie volontarie venatorie, durante il servizio e in relazione allo svolgimento delle loro funzioni, pur non esercitando funzioni di polizia giudiziaria sono da considerare pubblici ufficiali (cass., sent. 12.4.1981, Forlani), l’attribuzione della qualifica è subordinata all’accertamento delle funzioni in concreto svolte; nella vicenda del (OMISSIS) le guardie venatorie avevano invece sicuramente travalicato i loro poteri;

nessun accertamento era stato d’altra parte effettuato in relazione all’esistenza di decreti prefettizi di nomina relativi a tali guardie, nonostante, secondo la giurisprudenza di legittimità, detti decreti debbano intendersi necessariamente conferiti alle sole guardie venatorie con compiti di vigilanza disciplinati dalla L. n. 189 del 2004, art. 6, non pure alle guardie venatorie cui si riferisce la L. n. 157 del 1992.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato, pur se per ragioni solo in parte coincidenti con quelle prospettate in ricorso.

2. In fatto, secondo il giudice del merito risultava accertato che l’imputato stava percorrendo un tratto boschivo assieme ad altre due persone, e che i cani che i tre portavano con loro erano slegati.

Tale ricostruzione è stata accolta sulla base delle dichiarazioni delle guardie venatorie ed è sia logica sia plausibile; non è dunque suscettibile di revisione in questa sede.

Non può invece ritenersi corretta l’affermazione che "i tre amici passeggiatori nei boschi" (come li definisce la sentenza impugnata) erano evidentemente stati colti "in attitudine di caccia" perchè "tenevano i cani slegati allo scopo di addestrarli".

Il vagolare per boschi con cani sciolti, anche ad ammettere – come sembra ventilare la sentenza impugnata – che servisse a una sorta di addestramento per gli animali, non basta ad integrare, mancando la detenzione di qualsivoglia arma o strumento idoneo alla cattura della selvaggina, un atteggiamento venatorio.

Già ai sensi del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 1, comma 2, era considerato pacifico che l’atteggiamento di caccia, cui poteva attribuirsi rilevanza giuridica, doveva essere desumibile da un complesso di elementi sintomatici (indicati dalla stessa norma) quale il vagare o il soffermarsi "con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina, per ucciderla o per catturarla" (Sez. 3, n. 1431 del 28/10/1968, Pelliccioli, Rv.

109917; conf. Sez. 3, n. 742 del 03/05/1968, Gristina, Rv. 108799).

La legge sulla caccia L. n. 157 del 1992 ha mantenuto l’assimiliazione legale della semplice attitudine di caccia all’esercizio della caccia. Ma anche in relazione a tale equiparazione, il cosiddetto atteggiamento venatorio, costituendo un elemento normativo delle fattispecie, in tanto può essere posto a base di previsioni sanzionatorie in quanto sia obiettivamente collegato, nel rispetto dei principi di determinatezza e offensività, a comportamenti inequivocamente finalizzati alla cattura o all’uccisione della selvaggina. Secondo principi consolidati è dunque necessario, perchè sorga la presunzione di pericolosità che legittima l’equiparazione tra esercizio e attitudine, che codesto atteggiamento consista nella disponibilità di mezzi in qualche modo idonei e finalizzati alla caccia (cfr. da ultimo, proprio in relazione alle ipotesi della legge n. 157 del 1992, Sez. 3, Sentenza n. 48100 del 11/11/2003, Impero, Rv. 229512).

La nozione di attività prodoromica, pure spesso richiamata dalla giurisprudenza (Sez. 3, n. 18088 del 06/03/2003, Febi, Rv. 224732), non può perciò spingersi sino a comprendere nell’attitudine di caccia comportamenti privi, nel contesto temporale considerato, d’ogni concreta idoneità alla stessa.

3. Tanto posto, in relazione alla situazione in esame, nella quale uno dei tre "passeggiatori" con cani si era rifiutato di sottostare alla richiesta di identificarsi rivoltagli da Guardie venatorie volontarie, occorre ricordare che in base alla L. n. 157 del 1992, art. 27, comma 1, la vigilanza venatoria è affidata: a) agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni, ai quali è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza; b) alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata (cfr. altresì, tra molte: Cons. Stato, Sez. 6, sent. n. 298 del 26-01- 2007, Ente Nazionale Protezione Animali c. Ministero dell’Interno e altri).

La giurisprudenza è perciò consolidata nel ritenere che le guardie venatorie, pur non essendo agenti di polizia giudiziaria (cfr. tra molte, Sez. 3, n. 14231 del 15/02/2008, Steccanella, Rv. 239660; Sez. 3, sent. n. 13600 del 05/02/2008, Paganelli, Rv. 239572; Sez. 3, sent. n. 15074 del 27/02/2007, Zanola, Rv 236339; significativa è d’altro canto la espressa attribuzione di tale qualifica soltanto ai soggetti indicati alla lettera a della L. n. 157 del 1992, art. 27, comma 1), nell’esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria loro assegnate ricoprono la veste di pubblici ufficiali, poichè esercitano poteri autoritativi e certificativi nell’ambito dell’attività di protezione della fauna selvatica che, in quanto patrimonio indisponibile dello Stato, attiene ad un interesse pubblico della comunità nazionale (Sez. 1, n. 5609 del 12/04/1984, Forlani, Rv. 164839; Sez. 5, n. 4898 del 08/04/1997, Vitarelli, Rv.

207896). La guardia venatoria volontaria è, in altri termini, come qualsivoglia altra guardia giurata, pubblico ufficiale quando, e soltanto quando, svolge le funzioni d’interesse pubblico che gli sono specificamente ed espressamente attribuite; e limitatamente ad esse (cfr., in relazione alle guardie ecologiche, Sez. 6, n. 9722 del 09/07/1998 Garavaglia Rv. 213041; in relazione alle guardie zoofile, cui è affidata la vigilanza delle norme relative alla protezione degli animali di affezione per la limitazione a tale funzione, Sez. 1, n. 34510 del 10/07/2008 Marani Rv. 241633).

4. Perchè sorga la qualifica di pubblico ufficiale, occorre, dunque, che ricorra l’esercizio delle funzioni.

Ma nel caso delle guardie venatorie, queste non sono attribuite, genericamente, a fini di controllo d’ogni comportamento latamente sospetto, bensì – tassativamente – ai soli fini della vigilanza sull’attività venatoria e assimilate.

In particolare, a mente della L. n. 157 del 1992, art. 28, comma 1, "i soggetti preposti alla vigilanza venatoria ai sensi dell’art. 27 possono chiedere a qualsiasi persona trovata in possesso di armi o arnesi atti alla caccia, in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino di cui all’art. 12, comma 12, del contrassegno della polizza di assicurazione nonchè della fauna selvatica abbattuta o catturata"; mentre a norma del comma 5 del medesimo articolo, anche "gli organi di vigilanza che non esercitano funzioni di polizia giudiziaria, i quali accertino, anche a seguito di denuncia, violazioni delle disposizioni sull’attività venatoria" possono "redigere verbali (…) nei quali devono essere specificate tutte le circostanze del fatto e le eventuali osservazioni del contravventore, e li trasmettono all’ente da cui dipendono ed all’autorità competente ai sensi delle disposizioni vigenti".

Se dunque deve ammettersi che le stesse guardie venatorie possono, in vista e in collegamento con le funzioni esercitate, richiedere altresì ai soggetti sorpresi in atteggiamento venatorio di declinare le proprie generalità, trattandosi di potere che, pur non essendo espressamente previsto, è implicitamente presupposto in quelli di accertamento e di verbalizzazione delle violazioni per cui esercitano vigilanza, nessun potere autoritativo può essere di contro riconosciuto loro ove s’imbattano in soggetti il cui comportamento non sia concretamente riconducibile alle nozioni "esercizio" o "attitudine di caccia". 5. Concludendo, devono affermarsi i principi che la nozione di attitudine di caccia è tassativa e che soltanto quando una guardia venatoria, agendo nell’esercizio dei compiti di vigilanza che le sono propri, richiede le generalità a soggetto sorpreso in atteggiamento venatorio, è illegittimo, ed integra gli estremi contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p., il rifiuto di questo di declinare le proprie generalità (Sez. 5, n. 4898 del 1997, citata).

Di siffatto atteggiamento non vi è prova però nel caso di specie.

Alle guardie venatorie non poteva per conseguenza riconoscersi nell’occasione la qualifica di pubblici ufficiali, e la contravvenzione di cui all’art. 651 c.p. non era configurabile.

La sentenza impugnata deve per tali ragioni essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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