Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2011) 23-09-2011, n. 34686 Incompetenza per territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

(1 – La sentenza impugnata).

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 29 maggio 2009 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano nella parte in cui, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato B.E., P.A. e S.G. responsabili dei reati di importazione illegale di sostanza stupefacente (cocaina) loro rispettivamente ascritti. In parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare, dichiarava B.E., P. A. responsabili della mera partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per la quale erano stati condannati come promotori e organizzatori in primo grado.

Riduceva per l’effetto le pene inflitte ai primi due determinandole, come da dispositivo, in dieci anni di reclusione; riduceva altresì la pena inflitta al terzo determinandola in quattro anni di reclusione e Euro 16.000 di multa.

I reati per i quali B.E., P.A. e S.G. risultano condannati consistono:

capo 5) nell’avere S.G. concorso, con I.C. e D.G. e tale A., nell’importazione dall’Albania di cocaina, per circa 0,528 chili, che S. aveva detenuto a (OMISSIS) per conto dell’ A. e che era stata poi trasportata a (OMISSIS) dal D. per la cessione all’ I.; fatti commessi in (OMISSIS);

capo 23) nell’avere B. concorso, con S.I., Be.

I. e Br.Ba., nell’importazione di cocaina dall’Olanda, ricevendola B., con Be., in Italia; fatti commessi tra il (OMISSIS);

capo 29) nell’avere P. concorso, con S.I., S. S., Be.Iz. e A.A., nell’importazione di cocaina dall’Olanda, ricevendola P., con S.S. e Be.Iz., in Italia; fatti commessi tra il giorno (OMISSIS);

capo 30) nell’avere B. e P. concorso con A.A. nell’importazione di cocaina dall’Olanda, ricevendola B. e P. in Italia; fatti commessi tra il (OMISSIS);

capo 43) nell’avere B. e P. preso parte all’associazione per delinquere diretta da S.I., volta alla commissione di delitti di importazione e smercio di stupefacente, in specie cocaina, attiva in Italia e in Olanda dal (OMISSIS).

2. In relazione alla posizione dello S., la Corte di appello ricordava che a carico dell’imputato stavano numerose conversazioni telefoniche e il sequestro dello stupefacente da lui inviato.

Significative apparivano, in particolare, le intercettazioni del 27 agosto 2005 (in cui A. chiedeva all’imputato di fare arrivare a (OMISSIS), a un suo acquirente, mezzo chilo di cocaina che S. teneva (OMISSIS)); del (OMISSIS) (in cui A. comunicava all’imputato che il giorno successivo l’acquirente avrebbe potuto raggiungerlo direttamente a (OMISSIS)); del (OMISSIS) (delle ore 16,46, in cui l’acquirente o un suo inviato chiamava S. per comunicargli di essere arrivato a Roma per incontrarlo; e di due ore più tardi, in cui l’imputato si lamentava con A. del fatto che quella persona desiderava ricevere solo un campione da esaminare, e in cui A. decideva perciò di mettere S. in contatto diretto con I.); del 2 settembre 2005 (in cui S. contattava l’ I. e questo chiedeva di inviare lo stupefacente a (OMISSIS), cosa che l’altro prometteva di fare, tramite un corriere, per treno, il giorno successivo); del (OMISSIS) (relativa a conversazione effettuata dopo il fermo, a (OMISSIS), nei pressi della stazione, del corriere D.G., che teneva in parte cuciti indosso in parte in tasca ovuli di cocaina, e in cui S. attribuiva a I. la colpa di quanto accaduto, per non essere andato a prendere immediatamente il corriere).

In risposta ai motivi di gravame, osservava quindi, quanto alla doglianza relativa all’incompetenza territoriale, che l’eccezione doveva intendersi rinunciata da parte dell’interessato, a seguito della richiesta di giudizio abbreviato; che la individuazione del ricorrente come la persona che aveva intrattenuto le telefonate intercettate poteva ritenersi certa, A. avendolo chiamato S.; che il giudizio abbreviato non aveva portato alcuna novità agli elementi già illustrati nell’informativa di polizia, posti a base della misura cautelare e correttamente, quindi, anche della sentenza impugnata.

3. In relazione alla posizione del P. e del B., con riguardo al reato associativo, la Corte di appello premetteva che dalle telefonate intercettate era emersa la figura di tale L. ( S. I.) che, dall’Olanda, dirigeva un’organizzazione a carattere familiare finalizzata al traffico di stupefacenti, della quale facevano parte sua moglie ( S.), il cognato ( P.A.) e il nipote ( B.E.), che avevano il compito di ricevere smistare in Italia lo stupefacente proveniente dall’Olanda, nonchè Br.

B. e A.A., fratelli, che fungevano da corrieri. A proposito dei ricorrenti rilevava che costoro erano stati individuati nelle persone chiamate dall’ I., nelle numerose conversazioni intercettate, " G." ed " E.", mediante controlli anagrafici, riferimenti familiari, il riscontro ottenuto tramite l’acquisizione dell’elenco dei passeggeri che avevano effettuato il volo (OMISSIS) in corrispondenza del viaggio della persona chiamata " E.". 3.1. In relazione ai reati "fine" a ciascuno contestati, richiamava quindi, quanto ai capi 23) e 29), le osservazioni fatte a proposito delle posizioni dei concorrenti Br. e S.S..

Trattando del Br. avendo in particolare ricordato, con riguardo all’importazione contestata al capo 23) e al B., le conversazioni del 12 e del 13 novembre 2005, intrattenute dal ricorrente, che chiedeva la droga; la conversazione del 14 novembre in cui si parlava della droga destinata a B.; l’arresto del corriere e gli accertamenti eseguiti sui tabulati del suo telefono.

Trattando di S.S., avendo richiamato, a proposito del capo 29) e dell’ I., le intercettazioni dell’11, 12, 13, 14 e 15 dicembre 2005, relative a conversazioni intrattenute tra I. e tale Ar., nelle quali si parlava del P., e con lo stesso P., nelle quali si parlava del trasporto, della consegna, dello smistamento e del pagamento della droga.

3.2. In relazione al reato al capo 30), la Corte di appello evidenziava le intercettazioni del 23 e 24 dicembre 2005 tra I. e Be., tra P. e B., tra B. e I., tra A. e B., relative alle operazioni di importazioni e alla consegna della droga, secondo uno schema operativo all’evidenza sperimentato.

3.3 In risposta alle censure difensive, osservava, anzitutto, che le intercettazioni dovevano ritenersi sicuramente utilizzabili dal momento che le operazioni in genere avevano riguardato il traffico telefonico intrattenuto in Italia, ovvero qui instradato mediante nodi e i gestori interni.

Nel merito ribadiva che il tenore dei colloqui intercettati (gli interlocutori s’intendevano al volo; i corrieri erano sempre disponibili; si facevano riferimenti continui a operazioni e modalità precedenti e note) e i sequestri operati dimostravano l’intensa attività dell’organizzazione diretta da I., che risultava avere effettuato altre importazioni pure nel recente passato. Sequestri e riferimenti dei colloquianti alle percentuali di purezza, agli importi pagati, al numero di pacchi, dimostravano natura e quantità della droga trattata.

(2 – I ricorsi).

4. S.G. ha proposto ricorso a mezzo dei difensori avvocati Pierluigi Mancuso e Gianluca Marzio chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

4.1. Con il primo motivo rinnova la denunzia d’incompetenza territoriale dei giudici di Milano e lamenta la violazione di legge in relazione al rigetto della relativa eccezione.

Ricorda che con ordinanza 21.4.2009 il Giudice dell’udienza preliminare aveva rigettato l’eccezione d’incompetenza territoriale avanzata in via principale, e che essa era stata tuttavia riproposta sia nel corso del giudizio di primo grado sia con l’atto d’appello.

La tesi seguita dai giudici di merito, secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato implicava accettazione della competenza, era effettivamente seguita da parte della giurisprudenza di legittimità;

v’era però anche giurisprudenza contraria (sez. 1, 10.6.2004, La Perna; sez. 6, 28.10.1998, dep. 1999, Generali, Rv. 231136; Sez. 6 Angelucci Rv. 211126; Sez. 6, Rv. 213430) che andava condivisa, giacchè la tesi secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato comporterebbe una rinunzia implicita alla eccezione d’incompetenza è priva d’ogni aggancio normativo ed è in contrasto con il diritto dell’imputato ad essere giudicato dal suo giudice naturale.

Quanto al fondamento dell’eccezione, premette che nei confronti del ricorrente il Pubblico ministero aveva chiesto al Giudice per le indagini preliminari misura cautelare per i capi 5) e 6) e che per il capo 6) il Giudice per le indagini preliminari si era dichiarato incompetente, trasmettendo, per quel solo fatto, gli atti al tribunale di Roma. Tanto rendeva però ulteriormente evidente che le condotte contestate allo S. avevano come centro di riferimento proprio (OMISSIS). Nè la soluzione mutava a considerare separatamente il reato in esame, che si riferiva a condotta iniziata e portata avanti, secondo la prospettazione accusatoria, a Roma, con la detenzione dello stupefacente lì asseritamente custodito dal ricorrente e le trattative per la sua vendita, stipulata mediante l’accordo raggiunto telefonicamente. La circostanza che poi lo stupefacente fosse stato trasportato a (OMISSIS) per la materiale consegna all’acquirente non era idonea a determinare uno spostamento della competenza già radicata con le condotte illecite prodromiche (cita sez. 1, n. 16810 del 2007 e sez. 4, n. 41175 del 2004).

4.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge e sostanziale omessa risposta al motivo di appello con il quale si lamentava in particolare che la sentenza di primo grado si limitava a riportare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, che a sua volta ripeteva la richiesta del pubblico ministero, la quale trascriveva l’informativa della Guardia di Finanza: il singolare modo di motivare adottato dal G.u.p. risolvendosi nell’elusione dell’obbligo di motivazione.

5. B.E. e P.A. hanno proposto ricorso con unico atto, a mezzo del difensore avvocato Alfredo Gaito, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

5.1. Si premette che l’impostazione disarticolata della sentenza impugnata – che con riferimento ai capi 23) e 29) si limitava richiamare le osservazioni effettuate in relazione alle posizioni degli altri soggetti coimputati dei medesimi reati – rendeva problematica la comprensione del discorso giustificativo.

5.2. Si denunzia quindi violazione di legge con riferimento alla ritenuta utilizzabilità del materiale intercettato mediante la cosiddetta "tecnica dell’instradamento". Si afferma, in particolare, che l’orientamento giurisprudenziale fatto proprio dalla sentenza impugnata abbisognava di una seria rimeditazione, giacchè tanto le norme interne che quelle internazionali prevedono procedure standard nell’attività di ricerca della prova; le attività di intercettazione che hanno ad oggetto utenze di nazionalità estera o ambienti ubicati in territorio straniero devono essere perciò regolate, ai sensi dell’art. 727 c.p.p., mediante rogatoria attiva e nell’ambito delle procedure di collaborazione internazionale di polizia; l’art. 696 c.p.p. accorda mero valore suppletivo alle norme interne rispetto alle diritto convenzionale, per conseguenza in mancanza di previsioni autorizzative di diritto convenzionale al giudice italiano dovrebbe essere vietato interferire con l’esercizio della giurisdizione di altro Stato; la tecnica dell’instradamento deve considerarsi illegale perchè la captazione è effettuata senza fare ricorso alla cooperazione internazionale, nonostante l’ovvio principio che ciascuno Stato ha sovranità esclusiva all’interno del suo territorio, il quale impone di procedere a mezzo di rogatoria internazionale al fine di eseguire in uno Stato intercettazioni su utenze straniere.

5.3. In relazione al reato associativo si denunziano violazione di legge e vizio di motivazione, osservandosi: che la Corte d’appello aveva liquidato le articolate doglianze difensive (l’ipotizzata associazione era stato operativa per poco più di un mese ed aveva svolto un compito specifico, quello di ricevere e smistare nel territorio italiano stupefacente proveniente dall’Olanda; in questo ridotto arco temporale di due ricorrenti avrebbero dovuto anche partecipare ai due episodi di spaccio a ciascuno ascritti; il ristrettissimo lasso temporale falsificava l’ipotesi accusatoria, non consentendo di ravvisare affectio societas, programmazione di una serie indeterminata di delitti e scopo comune con predisposizione di attività e mezzi economici comuni; mancava la prova dell’elemento soggettivo del reato ovverosia la coscienza e volontà di fare parte dell’associazione e di attivarsi per la realizzazione del comune programma criminoso) senza analizzarle e senza, sostanzialmente, dare risposta all’obiezione che poteva tutt’al più ravvisarsi un’ipotesi di concorso in singoli episodi delittuosi.

Stando, anzi, alla motivazione della sentenza impugnata, il delitto associativo era configurabile sulla base soltanto: di alcune conversazioni telefoniche, perchè immediate e senza superfetazioni;

di una continuità di rapporti telefonici; della facilità dimostrata nel reperire eventuali corrieri. Dimostrava la superficialità dell’approccio adottato dalla Corte d’appello, il riferimento espresso alla "ipotesi" di un programma delittuoso, che non risultava però verificata neppure sotto l’aspetto dell’indeterminatezza dei reati oggetto del permanente programma.

5.4. Analoghe censure vengono articolate con riferimento ai reati fine.

5.4.1. In relazione al capo 23), del tutto in appagante era il riferimento alla motivazione relativa al coimputato, nell’ambito della quale non vi era alcuna distinta ed autonoma disamina della condotta del B. e del materiale probatorio che lo riguardava, nè alcuna valutazione della sua specifica posizione. Il giudizio di responsabilità in relazione a tale imputazione veniva ad essere fondato su una manciata di conversazioni telefoniche di dubbio tenore. S’era affermato che parte della sostanza fatta pervenire in Italia mediante il corriere Be. sarebbe dovuta essere consegnata, in seconda battuta, al B.; ma dell’effettiva realizzazione di questa seconda fase nulla era detto nella sentenza.

5.4.2. In relazione ai capi 29) e 30), del tutto inappagante – specie a fronte del diverso regime sanzionatorio vigente all’epoca dei fatti – era la risposta alla censura relativa alla ritenuta qualità – cocaina – della droga in tesi trattata, fondata esclusivamente su di una sorta di prova "virtuale", ovverosia sulla natura della droga sequestrata, in altra occasione, al corriere Br..

5.5. Si denunziano infine violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatori. La richiesta di circostanze attenuanti generiche era stata disattesa richiamando la motivazione del primo giudice, che s’era limitato a considerare, arbitrariamente, il legittimo silenzio mantenuto dai due imputati in sede d’interrogatorio, senza alcuna considerazione dei criteri dell’art. 133 c.p..

Motivi della decisione

(1 – Ricorso di S.G.):

1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di S. G. attiene alla eccezione d’incompetenza territoriale, tempestivamente proposta e dichiarata infondata dalla Corte di appello perchè il ricorrente aveva optato per il rito abbreviato.

E’ opportuno ricordare che nei confronti dell’imputato S. la richiesta di rinvio a giudizio concerneva il solo reato al capo 5), per il quale il ricorrente è stato condannato in entrambi i gradi.

Secondo la contestazione S. aveva concorso con I. C. e D.G., per i quali si era proceduto separatamente, e con un non meglio identificato A., all’importazione dall’Albania di circa mezzo chilo di cocaina, che S. aveva custodito a (OMISSIS) per conto di A. e che poi era stata trasportata a (OMISSIS) dal D. per cederla all’ I.. Tale ricostruzione risultava avvalorata, stando alla sentenza impugnata, dalle conversazioni intercettate, intrattenute dall’imputato a Roma.

Si riferisce altresì, ma ad altri fini, che nel corso del giudizio abbreviato rimpianto probatorio non risultava modificato.

Stando a quanto risulta dalle sentenze di merito, in udienza preliminare l’imputato aveva tempestivamente contestato la competenza per territorio del Tribunale di Milano, sostenendo che lo stupefacente era stato da lui sia ricevuto sia detenuto, per la vendita, a (OMISSIS), ed era stato trasportato a (OMISSIS), per essere consegnato all’acquirente I., soltanto dopo che con questo era intervenuto l’accordo per la cessione, comprensivo di prezzo e spedizione, anch’esso perfezionatosi a Roma; in subordine aveva chiesto il giudizio abbreviato e, ammesso il rito, aveva rinnovato l’eccezione, riproposta, quindi, con l’atto d’appello e con il ricorso.

Con il ricorso il ricorrente torna a segnalare, altresì, che non soltanto la detenzione e la vendita dello stupefacente oggetto del reato al capo 5) s’erano perfezionati a (OMISSIS), ma che all’imputato era stato in fase d’indagini contestato, al capo 6), anche altro reato analogo, per il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di custodia cautelare in carcere ritenendolo interamente consumato a (OMISSIS) e di competenza, perciò, del Tribunale di Roma: così da un lato riconoscendo che i traffici illeciti del ricorrente s’incentravano a (OMISSIS); dall’altro arbitrariamente frammentando i fatti di cui lo stesso doveva rispondere.

1.1. Ciò posto, la censura appare, nei termini che si diranno, fondata.

Il Collegio è consapevole che dopo Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, la giurisprudenza di questa Corte sembra essersi univocamente orientata nel senso che, costituendo la richiesta di rito alternativo un negozio processuale di tipo abdicativo, a seguito del quale possono essere rilevate e denunziate soltanto le nullità assolute e le inutilizzabilità patologiche, anche l’eccezione d’incompetenza territoriale, in quanto suscettibile di rinuncia da parte dell’interessato, non è più proponibile dopo che è stato chiesto e ammesso il giudizio abbreviato, pure se in precedenza prospettata e respinta (tra molte e da ultimo: Sez. 5, n. 1937 del 15/12/2010, Dalti, Rv. 249100; Sez. 1, n. 10399 del 13/01/2010, Amendola, Rv. 246352; Sez. 1, n. 38388 del 18/09/2009, Romeo; Sez. 1, n. 22750 del 13/05/2009, Calligaro; Sez. 6, n. 19825 del 13/02/2009, Balmane, Rv. 243850; Sez. 4, n. 2841 del 20/11/2008, Greco, Rv.

242493; Sez. 1, n. 37623 del 17/09/2008, Confi, comp. in proc. Leuzzi, Rv. 241141; Sez. 6, n. 4125 del 17/10/2006, Cimino, Rv.

235600; Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006, Acampora).

A tale orientamento sembra opporsi soltanto la sentenza Sez. 1, n. 37156 del 10.6.2004, La Perna, Rv. 229532, che si ispira alle ragioni esposte dalla conforme giurisprudenza formatasi anteriormente a Sezioni Unite Tammaro (Sez. 4, 28/10/1998 – dep. 1999 -, Generali, Rv. 231136; Sez. 6, 20/11/1997 – dep. 1998, Angeli, Rv. 211126; Sez. 6, 23/09/1998, Vicentini, Rv. 213430) e secondo cui la richiesta di rito abbreviato non implica necessariamente accettazione della competenza territoriale del giudice procedente e non comporta, quindi, di per sè rinuncia a contestarla, ferma la necessità di riproporre la relativa eccezione nei termini.

Pare tuttavia al Collegio che, non soltanto l’orientamento prevalente non è univoco nell’individuare le ragioni che sostengono la preclusione, ma che l’argomento sistematico-costituzionale sul quale pone l’accento la sentenza La Perna – "precludere la possibilità di adire il giudizio abbreviato, e di beneficiare della conseguente riduzione di pena, a chi voglia insistere nel richiedere il controllo del rispetto delle norme sul giudice naturale integrerebbe evidente violazione dell’art. 24 Cost., comma 2, e art. 25 Cost., comma 1" – sia particolarmente forte, e mai specificamente confutato.

Più nel dettaglio, in alcune occasioni la non proponibilità dell’eccezione una volta richiesto il giudizio abbreviato, è argomentata rilevando, soltanto in premessa (sentenza Acampora) ovvero traendone una ratto deciderteli, che le norme che regolano tale rito non prevedono "il segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzione delle questioni preliminari". Il dato non può però ritenersi realmente significativo. Ciò che contraddistingue il giudizio abbreviato è che manca del dibattimento, ovverosia della fase riservata alla richiesta e all’ammissione delle prove e alla istruzione dibattimentale. Ovvio che formalmente manchi, perciò, anche della fase delle questioni preliminari al dibattimento. Ma ciò non può essere sufficiente per ritenere che nel giudizio abbreviato, come nell’udienza preliminare, dopo gli accertamenti sulla regolare costituzione delle parti non possano essere prospettate questioni pregiudiziali: sulla competenza, o sulla separazione o sulla riunione dei giudizi. Semmai, e all’opposto, ben può significare che per i giudizi a forma contratta, nei quali non sì deve procedere all’assunzione delle prove, il legislatore non ha ritenuto necessario fissare, per la trattazione delle questioni "preliminari" all’esame del merito, alcuna rigida scansione procedimentale preclusiva.

Tutte le decisioni che sostengono la preclusione evidenziano quindi, nella sostanza, che la scelta del rito abbreviato comporta che debbono intendersi implicitamente rinunciate le eccezioni che, per il regime ad esse riconosciuto, rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati. L’opzione processuale di tipo abdicativo varrebbe insomma non soltanto per le inutilizzabilità e le nullità che afferiscono alle prove, ma anche in relazione agli atti processuali propulsivi e introduttivi del rito inficiati da nullità intermedie e, per conseguenza, alle eccezioni sulla competenza.

Ora però, in relazione alle questioni sulla competenza territoriale, codesto indirizzo in tanto può ritenersi condivisibile, in quanto non conduca ad escludere in radice per l’imputato il diritto di essere giudicato con il rito abbreviato dal giudice per lui naturale.

Nessun dato normativo, testuale o sistematico, consente di affermare che l’imputato chiamato in udienza preliminare davanti a giudice incompetente, anche solo per territorio, debba essere costretto a scegliere tra la facoltà di fare ricorso a riti alternativi e quella di chiedere di essere giudicato dal giudice naturalmente competente in relazione alla sua posizione, necessariamente rinunciando a una delle due possibilità, entrambe garantite a livello costituzionale.

Non v’è dubbio, difatti, che l’opzione per i riti alternativi attiene all’esercizio di difesa e ne costituisce importante manifestazione per la consistente riduzione di pena che tali riti possono assicuragli; ma anche la tendenza ordinamentale a radicare la competenza per territorio nel luogo di manifestazione del reato, espressa dall’art. 8 c.p.p., art. 9 c.p.p., comma 1, e art. 16 c.p.p., rappresenta l’attuazione di un precetto costituzionale; la prescrizione del giudice naturale precostituito per legge, di cui all’art. 25 Cost., comma 1, non esaurendosi nella previsione relativa alla precostituzione ma indicando altresì – come hanno sottolineato sia la Corte costituzionale, nella sentenza n. 168 del 2008, sia le Sezioni unite di questa Corte, nella sentenza n. 40537 del 16 luglio 2009, Orlandelli – la naturale e fisiologica allocazione del processo, fin quando e dove possibile, nel luogo commissi delicti.

D’altronde, è stata ancora la Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 1996, a stigmatizzare come lesivo del diritto di difesa un sistema che, a seguito dell’erronea individuazione del giudice territorialmente competente a celebrare l’udienza preliminare, precludeva all’imputato di accedere al rito abbreviato davanti al giudice naturale: il vulnus così prodotto ponendo l’esigenza della regressione del procedimento (vedi altresì, conformi, le sentenze nn. 76 e 214 del 1993, e, a contrario, n. 104 del 2001).

In conclusione, in base alle regole scritte la richiesta di rito abbreviato costituisce un negozio processuale abdicativo con specifico riferimento alla assunzione della prova in contraddittorio e, per l’effetto, ai profili d’inutilizzabilità cosiddetta fisologica, o relativa, delle prove, come rileva Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, e deve altresì riconoscersi che la medesima richiesta normalmente implica accettazione degli effetti degli atti propulsivi e introduttivi del rito inficiati da nullità intermedie,e opera in relazione ad esse un effetto sanante ai sensi dell’art. 183 c.p.p., come osserva Sez. U, n. 39298 del 29.6.2006, Cieslinsky.

Sulla scorta di tali arresti può convenirsi che la scelta del giudizio abbreviato analogamente costituisca, di regola, una sorta di tacita rinunzia a far valere anche le eccezioni relative alla competenza per territorio.

Codesto effetto, che discende da una presunzione e non ha sede in regole scritte, non può tuttavia ritenersi prodotto allorchè l’imputato, espressamente; insistendo in via principale, sia prima che dopo la proposizione della richiesta di rito alternativo, sull’arbitrario stravolgimento di criteri riconducibili all’art. 25 Cost., abbia tenuto un comportamento processuale tale da fare inequivocabilmente escludere qualsivoglia tacita accettazione della competenza del giudice "innaturale" procedente.

Per conseguenza, quando – come nel caso in esame – la richiesta di rito ; alternativo risulti accompagnata dalla formalizzazione della reiterata "preliminare" eccezione d’incompetenza per territorio, fondata sulla non peregrina considerazione che dalla contestazione e dagli atti il reato risulta inequivocabilmente commesso in luogo diverso rispetto a quello dell’accertamento, e non emergono ragioni di connessione idonee allo spostamento della competenza, sarebbe contrario a logica e a principi, oltre che privo di base normativa, sostenere che codesta richiesta comunque comporta accettazione dell’imputato ad essere giudicato da un giudice diverso da quello naturalmente competente.

2. Erroneamente, dunque, la Corte di appello di Milano ha omesso di affrontare, nella situazione sostanziale e processuale evidenziata, la deduzione difensiva nel merito, limitandosi a ritenerla preclusa.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, in riferimento alla posizione di S.G., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano perchè proceda a nuovo esame della pregiudiziale censura relativa all’incompetenza per territorio, attendendosi ai principi enunzati.

Provvedere la Corte di merito a verificare, preliminarmente, l’esattezza in punto di fatto delle deduzioni del ricorrente sull’evidente, fin dall’origine, diverso luogo di commissione del reato, nonchè l’assenza di ragioni di connessione idonee a determinare lo spostamento della competenza per territorio ai sensi degli artt. 12 e 16 c.p.p.: ferma la regola che, limitatamente alle ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), espressamente riferite alla medesima persona, uno spostamento della competenza è possibile solo per coloro che hanno commesso anche il fatto in concorso formale o in continuazione più grave che determina, ex art. 16 c.p.p., l’attrazione. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, "l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato in uno di questi fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza" (tra moltissime, Sez. 1, n. 37156 del 16.6.2004, La Perna, e ivi citate sez. 3, 30.7.1993, Bernardini riv. n. 194469; sez. 1, 6.6.1996, Bragagnolo, riv. n. 2053 13).

(2 – Ricorsi di B.E. e P.A.).

3. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di B. e P. attiene all’utilizzabilità delle intercettazioni, in tesi intrattenute all’estero o servendosi di utenze estere. Il ricorso non specifica, tuttavia, a quali conversazioni, rilevanti per la posizione del B. e del P., intenda riferirsi e non illustra nè accenna alla loro decisività.

Deve dunque preliminarmente osservarsi che la sentenza impugnata ha in premessa ricordato che il compendio probatorio raccolto era formato da intercettazioni sia di traffico telefonico intrattenuto in Italia sia di traffico qui instradato mediante nodi e i gestori interni. Ha quindi individuato e analizzato le conversazioni ritenute rilevanti a carico i ricorrenti, ma nè dalla sentenza impugnata nè da quella di primo grado, emerge che le telefonate nel cui ambito erano state captate dette conversazioni erano tra quelle effettuate all’estero o nel corso di telefonate provenienti dall’estero, apparendo al contrario, in particolare dalle più dettagliate indicazioni della sentenza di primo grado, che esse erano effettuate da o a soggetti intercettati che stavano in Italia, ovvero risultano verosimilmente ricostruite come effettuate da soggetti che si spostavano in Italia. Neppure i numeri telefonici riportati nelle sentenze di merito (specie quella di primo grado) per individuare le conversazioni ritenute rilevanti per le posizioni dei ricorrenti, risultano evidentemente riferibili ad utenze estere.

Anche prescindendo dalla genericità delle deduzioni, le censure appaiono così in ogni caso infondate. Il ricorso non contesta che in relazione alle telefonate utilizzate tutta l’attività di intercettazione, ricezione e registrazione, ovverosia l’intera attività di raccolta della prova, sia stata compiuta sul territorio italiano, cosa che secondo consolidata giurisprudenza basterebbe a renderle utilizzabili, applicandosi alla raccolta delle prove la lex loci; sostiene che, ciò nonostante, l’intercettazione di telefonate istradate in Italia (chiamate, partenti da, o dirette verso, una zona estera, convogliate in un "nodo" posto in Italia), impone comunque di fare ricorso alle norme sulle rogatorie internazionali.

La tesi dottrinaria su cui riposa tale opinione, fa leva sul rilievo che, poichè le intercettazioni determinano una limitazione del diritto alla libertà delle comunicazioni, ciò che rileva è il regime giuridico del bene in questione, che, se relativo ad una utenza telefonica straniera, non può che essere soggetto alla sovranità dello Stato diverso da quello italiano. Tuttavia, la tutela della libertà delle comunicazioni, afferendo a un diritto della personalità, concerne non il bene strumentale, ovverosia l’utenza in sè, bensì l’utente. Perciò se l’intercettazione è effettuata – come nelle situazioni rilevanti per le posizioni in esame – nei confronti di soggetto che si trova in Italia, anche aderendo a tale impostazione il regime della tutela non può che essere quello italiano, quello cioè dello Stato in cui il diritto viene esercitato; nè rileva la circostanza che l’intercettato comunichi con l’estero o con utenza estera, poichè l’attività di captazione non è subordinata alla sottoposizione ad intercettazione di entrambi i colloquianti.

4. Quantomeno infondati sono anche gli ulteriori motivi di ricorso, riferiti alla lacunosità della prova del reato associativo e dei reati fine e ad asserite carenze, disarticolazioni, inconcludenze, del discorso giustificativo.

5. Quanto alla sussistenza dell’associazione, la Corte ha già risposto alle censure difensive, del tutto plausibilmente osservando che, secondo quanto evidenziato dal primo giudice, l’organizzazione criminale, in cui l’affectio societatis era rafforzata dai vincoli familiari, aveva dimostrato, nonostante il ridotto arco temporale di monitoraggio, un’elevata funzionalità, essendo riuscita – durante detto pur limitato periodo di osservazione – ad organizzare ben cinque forniture di droga di non modesta quantità, per somme di denaro delle quali gli imputati parlavano con chiarezza, che, unitamente alla quantità e qualità della droga infine sequestrata, attestavano che il traffico era significativo per volume e consistenza. Il gruppo contava inoltre su persone stabilmente deputate a fungere da collettori di denaro e da corrieri, possedeva e faceva uso di utenze riservate soltanto ai traffici di droga, aveva la disponibilità di veicoli e luoghi sicuri nei quali trasportare e nascondere lo stupefacente prima di smistarlo e consegnarlo agli acquirenti. L’elevata percentuale di principio attivo contenuta nella sostanza sequestrata denotava l’accesso a canali di rifornimento di una certa importanza. I due ricorrenti sovra intendeva no personalmente, mediante la scelta dei corrieri, all’ingresso in Italia della droga, al suo trasporto e alla sua consegna, e sempre personalmente ne seguivano poi lo smercio, indicando prezzi e persone con le quali si poteva, o non si poteva, trattare.

Replicando alle obiezioni degli appellanti oggi ricorrenti, la Corte di merito soggiungeva quindi che l’intensità dell’attività dell’organizzazione emergeva anche dall’essere stato appurato che I. già negli ultimi mesi di ottobre 2005 aveva spedito in Italia alcune partite di stupefacente. Ribadiva che le varie importazioni erano tutte precedute e accompagnate da telefonate di analogo tenore, che dimostravano la sperimentata conoscenza dei soggetti coinvolti e delle modalità di viaggi e di consegne, in base a procedure evidentemente consolidate e l’uso di utenze riservate. Osservava che il contesto era tale, attesa altresì l’assenza di plausibili spiegazioni alternative fornite dagli imputati, da escludere che i vari trasporti potessero avere avuto ad oggetto traffici di diversa natura: le spese delle varie spedizioni, i rischi ad esse connessi, gli elevati importi di danaro dei quali gli imputati spesso parlavano nel corso delle telefonate intercettate, il riferimento a percentuali (di purezza) sino al 70%, consentendo anzi di ritenere che i traffici, consistenti per qualità e quantità, riguardassero sempre cocaina; il corriere A.A. aveva d’altro canto in alcune telefonate esplicitamente fatto riferimento ad analoghi precedenti incontri e contatti con P.; B. appariva in costante contatto con I., in Olanda e lo informava di richieste, trattative e vendite, commenti sulla qualità della roba, facendo costantemente riferimenti ad altri analoghi fatti. In conclusione proprio il tenore delle telefonate nello specifico la circostanza che gli interlocutori entravano direttamente nel vivo degli argomenti, senza neppure accennare alla necessità di prendere accordi specifici, la costante disponibilità dei corrieri, i continui riferimenti a operazioni e modalità precedenti e note, consentivano in particolare di escludere che ad ogni importazione corrispondesse soltanto il concorso delle varie persone coinvolte in quel particolare reato.

La motivazione sulla sussistenza del reato associativo e sulla partecipazione dei ricorrenti all’associazione appare dunque adeguata, plausibile in fatto e corretta in diritto, gli elementi evidenziati apparendo tutti, singolarmente e ancor più nel loro complesso, altamente significativi della realizzazione dei traffici grazie a una consolidata organizzazione cui a pieno titolo partecipavano, svolgendo compiti fiduciari essenziali, i ricorrenti.

6. Quanto ai reati ai capi 23 e 29, la utilizzazione di una motivazione richiamante per relationem quella relativa alla posizione dei coimputati, comporta senz’altro una più difficoltosa lettura della decisione impugnata, ma non la rende affatto, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, carente o incongrua.

6.1. Basterà ricordare che, trattando la posizione del Br. la Corte di appello aveva in particolare già ricordato, con riguardo all’importazione contestata al capo 23):

– la conversazione del 12 novembre 2005, in cui B., che chiamava dall’Italia I. in Olanda, domandava notizie di qualcuno da lui mandato là, per portare denaro – che I. affermava di avere ricevuto -, in procinto di fare rientro in Italia, e sollecitava la prossima fornitura, I. rispondendo di chiamarlo il giorno successivo;

– la telefonata del 13 novembre 2005, con cui B. tentava di contattare I. per avere notizie dell’imminente fornitura, alla quale rispondeva un familiare che diceva che il corriere sarebbe giunto in Italia il giorno successivo;

– la conversazione del 14 novembre 2005, in cui I. confermava a Iz. l’arrivo in giornata di un corriere destinato a lui e a B.;

– l’esito degli accertamenti eseguiti sui tabulati del telefono cellulare sequestrato al corriere Br.Ba. a seguito del suo arresto per un fatto successivo, dai quali risultava che il Br. era in Italia il 14 novembre e nella notte tra il (OMISSIS), e s’era recato nei pressi della casa di Iz., a (OMISSIS).

Emerge dunque con chiara evidenza, da quanto riportato, il diretto coinvolgimento di B. nelle operazioni relative all’importazione conclusasi tra il (OMISSIS). E il ruolo del ricorrente, di sollecitatore del traffico e di richiedente la droga, rende irrilevante – una volta plausibilmente ricostruite le operazioni di importazione attraverso il monitoraggio delle conversazioni degli artefici del traffico e gli spostamenti del corriere, e accertato così che la cocaina venne effettivamente importata – l’assenza di accenni alla effettiva destinazione finale della sostanza.

6.2. Analogamente, trattando della posizione di S.S., la Corte di appello aveva esaurientemente già richiamato, a proposito delle operazioni dei giorni 8-13 dicembre, relative alla ulteriore importazione, contestata capo 29), di stupefacente destinato, tra gli altri, a P.;

– le conversazioni dell’11 dicembre 2005, in cui il corriere A. A., che sì trovava in Italia, in viaggio verso (OMISSIS), chiedeva a I. di dire a colui che doveva accoglierlo ( P.) di raggiungerlo a 50 km da (OMISSIS) verso (OMISSIS); in cui, un’ora e mezza dopo, I. comunicava ad A. che P. era già partito per andargli incontro e lo consigliava di attendere a (OMISSIS); in cui A. contattava quindi I. per informarlo di avere ricevuto un anticipo di Euro 800 da P. e chiedergli l’autorizzazione ad effettuare la consegna;

– la conversazione del 12 dicembre 2005, in cui I. – dopo avere confermato a Iz. che lo stupefacente era arrivato a destinazione in Italia e avere ricevuto da questo la richiesta di acquistare parte della droga – chiamava P. dettandogli il numero di cellulare dell’acquirente (un numero di (OMISSIS), dove viveva Iz.);

– la conversazione del 13 dicembre 2005, da cui, discutendo I. con la moglie della destinazione stupefacente, confezionato in almeno quattro pacchi e quindi verosimilmente pari a due chili di cocaina, emergeva che P. aveva consegnato lo stupefacente alla donna e che a P. venivano impartite direttive per lo smistamento della cocaina a più acquirenti;

– le conversazioni tra I., A. e lo stesso P., del 15 dicembre 2005, da cui risultava che A. aveva ricevuto da P. Euro 22.000 da portare in Olanda a I..

Nè il ricorso contesta specificamente la rilevanza probatoria, pressochè auto evidente, di tali conversazioni.

7. In relazione al reato al capo 29), così come per quello al capo 30), il ricorso appunta in realtà le sue censure esclusivamente sulla natura della droga affermata dai giudici di merito.

La doglianza è tuttavia generica, ed appare comunque manifestamente infondata, giacchè non considera che, nel rispondere all’analogo motivo d’appello, la Corte di merito aveva evidenziato – come si è già accennato trattando del motivo relativo alla sussistenza del sodalizio – che l’identità di modus operandi, gli elevati importi di danaro dei quali gli imputati parlavano nel corso delle telefonate intercettate e il riferimento a percentuali di purezza tipiche delle droghe pesanti e della cocaina in particolare (del 70%), consentivano, assieme ai riscontri ottenuti con le sostanze sequestrate, di ritenere che i traffici riguardassero sempre la stessa sostanza, cocaina, trattata anche in quantità consistenti.

Sicchè, non soltanto non è vero che l’affermazione che la droga trattata era certamente cocaina derivava esclusivamente da una presunzione di corrispondenza alla sostanza sequestrata in altra occasione, ma gli ulteriori argomenti (in particolare percentuale di purezza e costi), dettagliatamente spesi dai giudici di merito per sostenere tale affermazione, appaiono esaurienti e plausibili, nè sono stati specificamente contestati.

8. Aspecifiche e in ogni caso infondate sono pure le doglianze sul trattamento sanzionatorio, articolate con esclusivo riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Non è esatto, in particolare, che la Corte di appello s’era rifatta semplicemente alla motivazione del primo giudice, nè che questo s’era limitato a considerare il silenzio mantenuto dai due imputati in sede d’interrogatorio, senza alcuna considerazione dei criteri dell’art. 133 c.p..

Il primo giudice aveva richiamato altresì la gravità, il numero e la tipologia dei reati commessi: espressamente per P.;

implicitamente ma inequivocabilmente, allorchè aveva evidenziato che non emergevano elementi di favore da porre in bilanciamento, per B..

La Corte di appello ha soggiunto che la formale incensuratezza non poteva bastare per il riconoscimento di attenuanti a fronte dei fatti contestati, che consentivano di escludere la natura occasionale delle condotte delittuose poste in essere e lasciavano intravedere, al contrario, scelte criminali consapevoli e convinte.

Risultano dunque correttamente valutati, ai fini dell’art. 62 bis c.p., i criteri di cui all’art. 133 c.p., commi 1 e 2, consistenti nella obiettiva gravità delle azioni e nella pericolosità dimostrata dagli agenti.

Il resto è apprezzamento di fatto, non rivedibile in questa sede.

9. I ricorsi di B.E. e P.A. devono per conseguenza essere rigettati e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.G. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Rigetta i ricorsi di B.E. e P.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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