Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34685

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il Tribunale di Belluno, quale giudice di rinvio, con sentenza deliberata il 5 ottobre 2009 – definendo in grado di appello il procedimento a carico di D.M.P., imputato dei reati di ingiuria, lesioni e minaccia in danno di P.D. – riformando quella emessa dal Giudice di pace della sede in data 11 gennaio 2006, impugnata dalla sola parte civile, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato "a causa dell’Intervenuta estinzione dei reati dovuta all’avvenuta riparazione del danno", per quanto ancora rileva in questa sede: assolveva D.M.P. dal reato d’ingiuria, perchè non punibile ai sensi dell’art. 599 c.p. mentre lo condannava, invece, "in conseguenza dell’accertata sussistenza dei reati di minaccia e di lesione", al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato in Euro 2800,00 ai valori attuali, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio di rinvio e dei precedenti gradi.

2. – Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, chiedendone l’annullamento.

Nel ricorso, dopo una premessa in cui si evidenzia che i reati contestati al D.M., nel giudizio di primo grado e nel primo giudizio di appello, erano stati dichiarati estinti ex D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 35, in conseguenza di condotte Sparatorie poste in essere dall’imputato e che ciò aveva impedito, di fatto, lo svolgersi di un duplice giudizio di merito, si denunzia, con l’unico articolato motivo dedotto, l’Illegittimità della pronuncia di condanna, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo, dopo aver ricordato che il giudice di rinvio ha ravvisato la sussistenza dei reati di minaccia e di lesioni, in quanto ha ritenuto del tutto credibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa – che aveva riferito di essere stato ferito al mento, a seguito di un pugno sferratogli dal D.M. giacchè riscontrate non solo dalla deposizione della teste T. D., ma anche dalla certificazione medica in atti, la difesa del D.M. assume: per un verso, che il discorso giustificativo svolto in sentenza, risulta insanabilmente contraddittorio; dall’altro, che la pronuncia di condanna è frutto di una valutazione a dir poco incompleta e parziale delle risultanze dibattimentali. Con riferimento al primo profilo di illegittimità dedotto, da parte del ricorrente si evidenzia che mentre il giudice di appello ha assolto il D.M. dal reato d’ingiuria nonostante le inequivoche dichiarazioni della persona offesa – che pure in dibattimento aveva espressamente escluso di aver insultato il D.M. -riconoscendo, di contro, piena attendibilità alle dichiarazioni della teste T. (all’epoca dei fatti fidanzata del P.), che aveva riferito di un battibecco sorto tra la parte offesa e l’imputato ed a quelle del teste R. (amico dell’imputato che si trovava in sua compagnia in un bar, al momento della commissione dei fatti contestati), secondo cui le Ingiurie furono reciproche, tali valutazioni di attendibilità risultano invece illogicamente sovvertite con riferimento all’affermata sussistenza dei reati di minaccia e lesione, rimarcandosi a tal fine che il giudice bellunese è pervenuto alla condanna del D.M. sebbene la teste T. abbia riferito di non ricordare se l’imputato colpì effettivamente con un pugno la persona offesa o se si limitò a spingerlo, e nonostante il teste R. abbia riferito, dal canto suo, di non aver visto il P. sanguinare dal mento; deposizioni queste che, ove correttamente valutate, avrebbero dovuto condurre, quanto meno al proscioglimento del ricorrente in applicazione della regola "dell’al di là di ogni ragionevole dubbio" di cui all’art. 533 c.p.p..

Quanto poi all’ulteriore profilo di illegittimità, in ricorso si deduce, per un verso, che le dichiarazioni della persona offesa risultano inficiate da profonde contraddizioni emerse a seguito delle contestazioni sollevate dalla difesa nel corso dell’esame in dibattimento, che avevano riguardato, in particolare, "tutto quanto verificatosi prime e dopo il pugno" che il P. affermava di aver ricevuto; che da parte del giudice di appello è mancata un’approfondita valutazione di tali contraddizioni, con riferimento al tema della loro diretta incidenza sulla credibilità del teste, apoditticamente affermata; che alla dichiarazione della teste T.D., per il loro intrinseco contenuto, caratterizzato da numerosissimi "non ricordo" (in numero di circa 30 secondo il ricorrente), non poteva riconoscersi carattere confermativo delle dichiarazioni accusatorie del P.; che illogicamente il giudice di appello aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni del R. che aveva riferito di non aver notato alcun sanguinamelo della parte offesa, sol perchè in contrasto con le dichiarazione rese dal P. al riguardo, trascurando, del tutto, il dato che le stesse avevano trovato una significativa smentita relativamente a quanto riferito dalla persona offesa in merito alle prime medicazioni ricevute all’interno del locale, nella deposizione della teste T. P., la quale ha invece riferito di non avere memoria di aver disinfettato la ferita del P..

3- – Resiste all’impugnazione la costituita parte civile P. D., la quale, con memoria In data 7 giugno 2011, ha chiesto la conferma dell’impugnata sentenza e la condanna al rimborso delle spese processuali con distrazione delle stesse in favore del suo difensore dichiaratosi antistatario.

In particola nella memoria si confutano le argomentazioni prospettate dalla difesa dell’imputato, evidenziandosi al riguardo: a) che il doppio grado di giudizio nel merito, non costituisce un principio Indefettibile e di rango costituzionale; b) che la motivazione della sentenza impugnata non può fondatamente considerarsi contraddittoria ovvero manifestamente illogica, anche perchè, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il proscioglimento del D.M. dal reato di ingiurie è stato conseguenza non già di un giudizio di Inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, ma dell’applicazione della regola di cui all’art. 531 c.p.p., comma 2, nel senso che le dichiarazione della teste T. erano tali da ingenerare un dubbio circa la configurabilità di una causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p. relativa alla reciprocità delle offese; che il giudizio di sussistenza del reato di lesioni personali e di quello di minaccia, sia pure ai soli fini risarcitori, espresso dal giudice di rinvio, deve ritenersi aderente alle risultanze processuali ed adeguatamente motivato, avendo detto giudice correttamente valorizzato la credibile testimonianza della persona offesa, adeguatamente riscontrata, relativamente all’episodio della minaccia e del pugno subito, sia dalle dichiarazioni della T., tutt’altro che ispirate da rancore nei confronti dell’Imputato, sia dal certificato medico in atti, laddove le rilevate contraddizioni, che attengono a circostanze del tutto secondarle, devono ritenersi ininfluenti sul giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie del P., risultando le stesse del tutto giustificabili a ragione della complessità dei meccanismi di memorizzazione di determinati eventi, influenzati da una pluralità di fattori, tra i quali, non ultimo, il grado di concentrazione e la diversa focalizzazione dello sguardo.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di D.M.P. è inammissibile in quanto basata su motivi non consentiti dalla legge nel giudizio di legittimità. Al riguardo giova premettere che questa Corte ha da tempo chiarito, che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/1/1996, Rv. 203428). Orbene, in applicazione di tale condivisibile principio, è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità sia fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, avendo il giudice d’appello fornito esauriente e logica spiegazione delle ragioni per cui doveva ritenersi che il D.M., in quanto responsabile della lesione e delle minacce subite dal P., era obbligato a risarcire il danno subito dalla persona offesa.

Ed invero il giudice di merito ha ritenuto, in base ad un percorso argomentativo del tutto logico e coerente, che costituiva un dato fattuale certo, nel presente giudizio, in base alle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate sul punto, sia delle dichiarazioni della teste T., apparsa in dibattimento assolutamente non Influenzata da preconcetta ostilità nei confronti dell’imputato D. M., sia dalle certificazione medica in atti, che il ricorrente, dopo aver insultato e minacciato il P. all’interno di un bar di (OMISSIS), una volta all’esterno del locale unitamente alla persona offesa, si era nuovamente avvicinato alla stessa, e dopo aver ripreso nuovamente a minacciarlo, "gli sferrava un pugno al volto colpendolo sul mento".

In presenza di un siffatto percorso motivazionale, è agevole rilevare che le deduzioni della difesa del D.M., riguardanti la valutazione di attendibilità e coerenza dei dati valorizzati dai giudici di merito, lungi dal dimostrare un effettivo ed inconfutabile travisamento delle emergenze processuali, si risolvono nella prospettazione di una "ricostruzione alternativa" dell’episodio e meramente "congetturale" (artata predisposizione della ferita lacerocontusa al mento, al fine di ottenere un risarcimento del danno in realtà non dovuto), non consentita in sede di legittimità.

In particolare, la circostanza che il giudice d’appello non abbia riconosciuto alle dichiarazioni del P. relative alla esclusione di una "reciprocità" delle ingiurie, il valore di elemento da solo sufficiente per affermare la responsabilità dell’imputato anche relativamente a tale specifica condotta a lui attribuita dalla persona offesa, e riconosciuto una diversa rilevanza probatoria alle dichiarazioni dei testi T. e R. rispetto ai diversi "segmenti" dell’azione dell’imputato, non può fondatamente interpretarsi come l’effetto di un giudizio di complessiva inattendibilità delle suddette dichiarazioni e conseguentemente come un chiaro indice di contraddittorietà della pronuncia di condanna del D.M. in relazione alle ulteriori condotte di cui pure è stato ritenuto responsabile, sempre in base alle dichiarazioni della persona offesa.

Ed invero la decisione impugnata, lungi dal palesare effettive insanabili contraddizioni risulta, al contrario, pienamente logica ed aderente a criteri di valutazione della prova testimoniale, assolutamente consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Ed invero questa Corte ha da tempo chiarito che nell’ipotesi in cui l’accusa sia fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, che non può essere equiparata al testimone estraneo, "il giudice ha l’obbligo di valutarla con il massimo rigore alla luce di tutti gli elementi probatori processualmente acquisiti" (in termini, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 11186 del 20/09/1995, dep. il 15/11/1995, Rv.

203155, Imp. Azingoli), sicchè nessun effettivo profilo di contraddittorieta può essere fondatamente ravvisato nella decisione impugnata, se eseguita ogni utile indagine, il giudice, valutate in particolare le deposizioni dei testi T. e R., abbia maturato il convincimento dell’esistenza quanto meno di un ragionevole dubbio circa la sussistenza della causa di non punibilità, ritenendo, invece, pienamente credibile la parola della persona offesa medesima, relativamente alla causa della ferita al mento ed all’autore delle minacce subite, avendo la stessa trovato adeguato riscontro nelle dichiarazioni della T. e nel certificato medico. Nè infine profili di illegittimità possono venire fondatamente ravvisati, con riferimento alla contrastante valutazione attribuita dal giudice di merito alle dichiarazioni del teste R., ove si consideri, che a prescindere dal contenuto meramente "negativo" delle stesse quanto alla percezione di un "sanguinamento" della persona offesa segnalato dalla difesa della parte civile, in tema di prova testimoniale, trova applicazione il principio della "scindibilità" della valutazione, da intendersi nel senso che il giudice può ritenere veritiera una parte della deposizione e, nel contempo, disattendere altre parti di essa (in termini Sez. 6, Sentenza n. 7900 del 22/04/1998, dep. il 6/07/1998, Rv. 211376, imp. Martello) e che il giudicante ha fornito adeguata e plausibile motivazione delle ragioni che lo hanno indotto a tale diversa valutazione, valorizzando al riguardo: a) la circostanza che il suddetto teste era stato il solo a riferire che l’unico contatto tra il D.M. ed il P. era avvenuto all’interno del bar, allorquando l’Imputato aveva dato uno "spintone" alla persona offesa, venendo in ciò smentito non solo dal P. ma anche dalla T.; b) che quanto riferito dal teste, era in contrasto con il dato fattuale della ferita lacero-contusa, refertata al P.;

c) che quanto riferito dal R., circa un suo intervento sul D.M. per "trattenerlo", mal si conciliava con l’affermazione del teste secondo cui fuori dal locale, non vi furono azioni materialmente aggressive dell’imputato nei confronti della persona offesa.

2. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in Euro 1000,00. 2.1 – Nessuna condanna del ricorrente D.M. al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile va invece adottata nel presente giudizio, dal momento che la stessa, dopo aver depositato una memoria, non è intervenuta nella discussione in pubblica udienza.

Come questa Corte ha già avuto occasione di precisare, infatti, "non competono nel giudizio per cassazione le spese processuali alla parte civile che, dopo avere depositato memorie, non intervenga nella discussione in pubblica udienza nel giudizio per cassazione, come desumibile in virtù del rinvio disposto dall’art. 168 disp. att. c.p.p. alle norme che disciplinano la condanna dell’imputato soccombente alle spese in favore della parte civile" (in termini, Sez. 6, Sentenza n. 17057 del 14/04/2011, dep. il 3/05/2011, Rv.

250062, imp. Melis).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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