Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34683 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – G.M., S.S. e F.A., hanno impugnato per cassazione, con autonomi ricorsi, la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanisetta, deliberata il 22 luglio 2010, che definendo il procedimento promosso nei loro confronti e di altri imputati non ricorrenti, in relazione a plurime violazioni del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti – in parziale riforma della pronuncia emessa il 13 novembre 2009 dal GUP del Tribunale della sede, ne ha affermato la penale responsabilità con riferimento alle imputazioni meglio precisate in sede di illustrazione dei singoli ricorsi.

2. – L’impugnazione proposta da G.M.:

2.1 – G.M. è stato ritenuto colpevole, nel giudizio di primo grado ed in quello di appello: a) di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico illegale di sostanza stupefacente, con il ruolo di organizzazione e direzione del sodalizio criminoso, con l’aggravante del numero di associati superiore a dieci, reato contestato come commesso in (OMISSIS), da epoca imprecisata fino all'(OMISSIS); b) di detenzione illegale e di cessione a terzi di innumerevoli dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con l’aggravante del fatto riguardante quantità ingenti di sostanza stupefacente, reato contestato come commesso in (OMISSIS), in epoca compresa fra l’ (OMISSIS); fatti riuniti sotto il vincolo della continuazione e riconosciuta l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, è stato condannato alla pena complessiva, già ridotta per la scelta del rito, di anni quattro e mesi otto di reclusione.

2.2 – Nel ricorso proposto nell’Interesse del G. – che sin dal momento del suo arresto, eseguito nell’agosto 2006 in flagranza di reato, in quanto trovato in possesso di 104 grammi di cocaina, ha reso ampia confessione – sono enunciati due motivi d’impugnazione.

2.2.1 – Con il primo, si denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per errata applicazione della legge penale e per vizio di motivazione, relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Il ricorrente – muovendo dal rilievo che la richiesta difensiva avanza con l’atto di appello era basata "sulla condotta di vita successiva alla commissione dei fatti", definita "esemplare" a ragione della "scelta collaborativi" mantenuta ferma sin dal momento dell’arresto, dello svolgimento di regolare attività lavorativa e dall’ammissione nel periodo di detenzione ai benefici penitenziari – censura come incongrua ed illogica la motivazione addotta dai giudici di appello a giustificazione del diniego delle generiche, fondata sull’assunto che il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 nella sua massima estensione, per essersi l’imputato efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato, non implicava automaticamente anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto, altrimenti, si finirebbe per valutare due volte uno stesso presupposto e sull’ulteriore considerazione che, nel caso del G., ostavano all’accoglimento della richiesta: sia (a) la reiterazione di gravissime condotte criminose, avendo l’imputato "un precedente per omicidio e precedenti specifici per reati in materia stupefacente";

sia (b) la capacità criminale dallo stesso dimostrata, avuto riguardo all’assoluto suo protagonismo nelle condotte poste in essere; ai non indifferenti quantitativi di cocaina di cui si approvvigionava ed ai diretti contatti intrattenuti con i fornitori di rilevanti quantitativi di droga. In particolare nel ricorso si evidenzia: per un verso, che le due circostanze attenuanti possono in astratto concorrere, avendo le stesse un ambito di applicazione, di tipo specificamente oggettivo, quella ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7, di tipo prevalentemente soggettivo, la seconda riguardando, nel caso di cui trattasi, la valutazione delle condotte di vita antecedenti e successive alla commissione dei fatti per cui è intervenuta condanna.

Orbene, si fa rilevare in ricorso, i giudici di appello non hanno preso in considerazione In alcun modo i dedotti elementi "soggettivi" – quali la l’interruzione di ogni rapporto con gli associati, il radicale e definitivo cambiamento di vita – neppure per escluderne eventualmente la rilevanza, limitandosi a valorizzare, con formula di stile, la presenza di precedenti penali, argomentando che dagli stessi emergeva una "spiccata capacità criminale". 2.2.1.1. – Il motivo è infondato. La giurisprudenza di questa Corte è infatti univoca nell’affermare che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, "il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (così ex multis, Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004, dep. Il 25/1/2005, riv. 230691 ric. Alba).

Orbene a tale obbligo di motivazione la Corte territoriale risulta aver adeguatamente adempiuto, avendo precisato, con corretta e logica argomentazione, di ritenere ostativa alla concessione delle attenuanti di cui trattasi, la negativa condotta antecedente ai fatti giudicati, la obiettiva gravità degli stessi, nonchè la spiccata capacità a delinquere del prevenuto.

2.2.2 – Con il secondo motivo, si denunzia l’Illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, relativamente al mancato accoglimento della richiesta – formulata nell’atto di appello – di applicazione della disciplina del reato continuato, con riferimento ai reati giudicati dalla sentenza della Corte di Appello di Messina, depositata il 18 dicembre 2007.

Più specificamente da parte del ricorrente si censura tale decisione – che ha valorizzato la disomogeneità esistente tra i diversi delitti, ed in particolare l’apprezzabile lasso temporale esistente tra le violazioni oggetto del presente procedimento e quelle giudicate nella seconda sentenza, commesse tra (OMISSIS) – evidenziando come il percorso argomentativo svolto dalla Corte territoriale si riveli incongruo e non fornisca adeguata risposta alle argomentazioni difensive, che avevano evidenziato come il fatto associativo contestato al G. riguardasse la costituzione, alla fine dell’anno 2000, di un sodalizio organizzato per il reperimento ed il successivo spaccio di sostanze stupefacenti, il quale ha continuato ad operare fino ad (OMISSIS), sicchè era illogico ritenere che la commissione nel 2001 dei reati di spaccio, non fosse espressione "diretta e consequenziale" dell’associazione appena creata, specie ove si consideri che l’unicità del programma criminoso è stata invece ravvisata tra reato associativo ed i reati fine contestati nell’ambito del presente procedimento.

2.2.2.1. – Anche tale motivo risulta infondato, resistendo il provvedimento impugnato, adeguatamente e logicamente motivato, a tutte le censure formulate in ricorso. I giudici di appello, infatti, nell’escludere la configurabilità della continuazione, hanno fatto un puntuale e corretto riferimento a dati circostanziali e giuridici caratterizzanti, in concreto, la disomogeneità della dimensione storico-naturalistica dei diversi delitti, adeguatamente Illustrando le ragioni fattuali, in particolare l’apprezzabile lasso temporale intercorso tra le diverse violazioni e la diversità dei luoghi di commissione, che non consentivano di ravvisare la sussistenza di un unico e preordinato disegno criminoso, risultando le stesse, piuttosto, espressione di una generale tendenza a porre in essere determinati reati, di una "scelta di vita che implica reiterazione di condotte antigiuridiche". 3. – L’impugnazione proposta da S.S..

3.1 – S.S., imputato inizialmente di essersi stabilmente associato ad altre tredici persone – giudicate separatamente – con distinzione di compiti e ruoli, per commettere più delitti fra quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ed in particolare di avere svolto, con il coimputato F., "il ruolo di intermediario tra G. e fornitori milanesi e palermitani di sostanza stupefacente, reato contestato come commesso in (OMISSIS), da epoca imprecisata fino all'(OMISSIS), e condannato, per tale reato, dal giudice di prime cure, all’esito del giudizio di appello è stato invece ritenuto colpevole, unitamente al F., del reato previsto e punito dagli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, così riqualificata l’originaria imputazione, e condannato alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa.

3.2. – Nel ricorso proposto dal difensore del S. sono enunciati quattro motivi d’impugnazione.

3.2.1 – Con il primo, il ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 521 c.p.p., avendo i giudici di appello violato il principio di correlazione tra accusa e difesa. Secondo il ricorrente, una volta constatata la insussistenza dell’associazione per delinquere, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre, a tutto concedere, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, essendo emerso un fatto diverso rispetto a quello enunciato nel capo A) di accusa, rimarcando, al riguardo, l’obbiettiva diversità esistente tra l’imputazione di una condotta associativa consistita in una intermediazione generica nell’acquisto di sostanze stupefacenti, ed il concorso in singoli episodi di spaccio, neppure compiutamente descritti nelle loro componenti soggettive ed oggettive; considerazione questa che rende incongruo, secondo il ricorrente, il richiamo alla nota sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte – la n. 17 del 21/6/2000, imp. Primavera – che si riferiva invece ad una ipotesi In cui risultavano contestati, nel medesimo capo d’imputazione, un reato associativo ed un singolo reato fine, ritenuto attribuibile al sodalizio. In particolare dal ricorrente si sostiene che la modificazione dell’imputazione abbia pregiudicato la possibilità di difesa dell’imputato, chiamato a confutare l’accusa di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico illegale di sostanze stupefacenti, e non già di concorrente in uno o più episodi di acquisto di imprecisati quantitativi di sostanze stupefacenti.

3.2.1.1. – Il motivo è infondato. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare "l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato:

la nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizlonale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, Inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi" (in termini Sez. 4, Sentenza n. 10103 del 15/01/2007, dep. il 9/03/2007, Rv. 236099, imp. Granata). Tale eventualità, orbene, non può fondatamente ritenersi realizzata nel caso in esame, in cui è restato inalterato il fatto naturalistico della condotta criminosa, individuato nell’attività di intermediazione svolta tra il vertice del sodalizio, il G., e i fornitori di sostanza stupefacente (indicato con il nome di R.). Le deduzioni del ricorrente, a ben valutare, denunziano, semmai, una genericità della formulazione del capo di imputazione, in quanto privo di indicazioni spazio-temporali, senza considerare, però, che ai fini della correlazione tra sentenza e accusa contestata, per "fatto contestato" deve intendersi non solo quello enunciato nel capo d’Imputazione, ma tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell’imputato e sui quali questi è stato posto in grado di difendersi, sicchè, anche tale profilo della complessa censura si rivela privo di pregio, ove si consideri che, attraverso il riferimento al contenuto di specifiche intercettazioni telefoniche (la n. 98 e la n. 333 del 2005 e la n. 34, 456, 2384, e 2495 del 2006, ex multis) alle dichiarazioni accusatorie del G. e del collaboratore Fe., l’imputato è stato reso edotto, compiutamente, della specifica attività d’intermediazione a lui di fatto contestata.

3.2.2 – Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p., non comprendendosi dalla motivazione della sentenza l’effettiva gravità della violazione contestata e conseguentemente le ragioni per cui al S. sia stata inflitta una pena "che si distacca notevolmente dal minimo edittale". 3.2.2.1 – Il motivo è privo di fondamento. Premesso che la pena base determinata dai giudici di appello, in concreto, per il delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 72 (anni otto e mesi sei di reclusione), non risulta, invero, discostarsi in maniera particolarmente significativa dal minimo edittale (pari ad anni sei di reclusione), specie ove si consideri che l’attività d’intermediazione svolta dal S. non risulta essersi limitata ad un unico episodio di acquisto di cocaina, le deduzioni svolte dal ricorrente non considerano adeguatamente che l’uso di espressioni sintetiche quale quella utilizzata dai giudici di appello ("avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 133 c.p.") deve ritenersi giustificato allorquando viene irrogata una pena che non si discosti eccessivamente dal minimo edittale (in termini, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 33773 del 29/05/2007, dep. il 3/09/2007, Rv. 237402, imp. Ruggieri).

3.2.3 – Con il terzo motivo d’impugnazione, si denunzla, altresì, la violazione dell’art. 81 c.p., avendo i giudici di appello, ad avviso del ricorrente, operato un aumento della pena base per asserite violazioni in continuazione, da ritenersi senz’altro illegittimo, dal momento che, come già precisato nel primo motivo di ricorso, manca nella sentenza impugnata una specifica indicazione del numero di fatti d’intermediazione in concreto ascritti al S..

3.2.3.1 – Il motivo è infondato. Richiamate le argomentazioni già svolte in sede di trattazione del primo motivo d’impugnazione relativamente alla commissione, da parte del S., quale desumibile dal complesso delle intercettazioni, di plurimi fatti di intermediazione, nessun profilo di nullità è fondatamente ravvisatale nella sentenza impugnata con riferimento alla determinazione dell’aumento di pena ex art. 81 c.p., risultando la decisione impugnata conforme al principio, da ritenersi ormai prevalente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "nel reato continuato non da luogo a nullità l’aumento di pena per i reati satelliti determinato in termini unitari e complessivi, e non distintamente, in relazione a ciascuna delle violazioni" (in termini, Sez. 6, Sentenza n. 2547 del 04/11/1986, dep. il 25/02/1987, Rv.

175233, imp. DE LUCA, nonchè, tra le pronunce più recenti, Sez. 1, Sentenza n. 3100 del 27/11/2009, dep. il 26/01/2010, Rv. 245958, imp. Amatrice; Sez. 2, Sentenza n. 32586 del 03/06/2010, dep. il 1/09/2010, Rv. 247978, imp. Ben Ali).

3.2.4. – Con il quarto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente denunzia l’illegittimità del diniego delle attenuanti generiche, avendo i giudici di appello, nel confermare la statuizione del primo giudice sul punto, omesso di valutare che motivo sufficiente per la concessione delle attenuanti può essere anche quello di adeguare la pena alla reale gravità del fatto e quanto all’argomento addotto (gravità del reato) che la sentenza di primo grado si riferiva ad un’ipotesi associativa, rilevatasi insussistente.

3.2.4.1 – Anche tale motivo d’impugnazione risulta infondato, ove si consideri, in diritto, che l’orientamento consolidato di questa Corte è nel senso di ritenere che "ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (così, ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004, riv. 230691) e che tale obbligo di motivazione, nel caso in esame, deve ritenersi adeguatamente assolto, avendo i giudici di appello rigettato la richiesta dell’appellante, in base ad argomentazioni congrue, valorizzando al riguardo, la gravità dei fatti, quale desumibile dallo svolgimento di attività d’intermediazione con riferimento a quantitativi non minimali di cocaina, trattandosi in effetti di condotta che, seppure non riconducibile con certezza ad una attività svolta nell’ambito di un sodalizio criminale, conserva comunque inalterati evidenti profili di gravità tali da giustificare il diniego delle invocate attenuanti.

4 – L’impugnazione proposta da F.A..

4.1. – F.A., al pari del coimputato S. – la cui posizione, salvo che per il trattamento sanzionatorie risulta, sotto molti profili, analoga – condannato in primo grado per il reato assodativo, a lui contestato per avere svolto "il ruolo di intermediario tra il G. e fornitori milanesi di sostanza stupefacente", è stato invece ritenuto colpevole, all’esito del giudizio di appello, del reato previsto e punito dagli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, così riqualificata l’originaria imputazione, e condannato alla pena complessiva di anni cinque di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa;

4.2 – Nel ricorso proposto dal difensore di F. sono enunciati tre motivi d’impugnazione.

4.2.1 – Con il primo, si denunzia l’Illegittimità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 521 c.p.p., avendo i giudici di appello violato il principio di correlazione tra accusa e difesa, contestandosi in ricorso, anche a ragione della "laconica formulazione dell’accusa", che in forza del principio di continenza, possa fondatamente ritenersi "che il fatto contestato ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) comprenda In ogni caso, il (riqualificato) reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73", evidenziandosi, in particolare, che la riqualificazione del fatto contestato ha comportato "un mutamento anche della competenza territoriale dell’organo giudicante" e che le uniche condotte di intermediazione contestate al F. sì collocano temporalmente tra il (OMISSIS), e risultano per ciò suscettibili dell’applicazione del beneficio dell’indulto.

4.2.1.1 – Il motivo è infondato. Per esso valgono infatti le stesse considerazioni svolte con riferimento all’analoga censura prospettata dalla difesa del S., con la sola ulteriore precisazione che per il principio della perpetuatici jurisdictionis la questione relativa alla competenza per territorio non può essere proposta oltre i limiti temporali costituiti dalla conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, dal compimento per la prima volta dell’accertamento della costituzione delle parti nel corso degli atti introduttivi al giudizio, sicchè restano privi di rilievo eventuali, successivi, eventi istruttori o derisori, di significato diverso rispetto ai dati prima valutati ai fini della fissazione della competenza per territorio (in tal senso, ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 33435 del 04/05/2006, dep. il 5/10/2006, Rv. 234347, imp. Battistella).

4.2.2 – Con il secondo motivo d’Impugnazione il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., in quanto i giudici di appello si sono limitati a richiamare, sul punto, le motivazioni del giudice di prime cure, omettendo di fornire adeguata e corretta risposta alle deduzioni difensive e di valutare circostanze essenziali, quali: a) la marginalità della condotta del F., posto che l’attività di intermediazione contestata concerne solo due episodi, in relazione ai quali non vi è prova del quantitativo di droga trattato; b) l’episodicità dei fatti contestati, riconosciuta del resto anche dai giudici di appello; c) l’incensuratezza e la positiva condotta processuale tenuta dall’imputato, che attraverso l’interrogatorio reso dopo la sentenza di primo grado, non limitandosi a fornire dichiarazioni solo auto- accusatorie, ha invece contribuito, con diverse chiamate in correità, a far luce sui fatti.

4.2.2.1 – Il motivo d’impugnazione è infondato. Ribadito quanto già osservato con riferimento ad analoga censura prospettata nel ricorso del S., e cioè che rappresenta principio di diritto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, che "al fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (così, ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004, riv. 230691) questo Collegio deve rilevare che tale obbligo di motivazione, nel caso in esame, risulta adeguatamente assolto, avendo i giudici di appello rigettato la richiesta dell’appellante, in base ad argomentazioni congrue, valorizzando al riguardo, la obiettiva gravità dei fatti, quale desumibile dallo svolgimento di attività d’intermediazione svolta, sia pure in due soli occasioni e verosimilmente nella prospettiva di ottenere qualche dose della sostanza, con riferimento a quantitativi non minimali di cocaina (duecento grammi), così come riferito del resto, dallo stesso coimputato G..

4.2.3 – Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 5 e art. 114 c.p..

Nel premettere che la Corte territoriale ha ritenuto ragioni ostative alla concessione delle attenuanti "la natura non irrilevante delle quantità di cocaina trattate e l’intensità del contatti con il territorio milanese e dell’elemento soggettivo", avendo precisato, al riguardo, che il riferimento a somme di denaro ingenti (contenuto nelle telefonate intercettate), faceva ritenere che il G. non trattasse quantità minimali di cocaina", in ricorso si evidenzia il carattere apodittico di tale apparato motivazionale, per quanto attiene la "natura non irrilevante" del quantitativo di droga, in quanto valutazione non ancorata ad alcun dato numerico. Da parte del ricorrente si fa rilevare, altresì, che "l’intensità dei contatti con il territorio milanese" dell’imputato, all’epoca residente nella città lombarda, non può costituire argomento valido a giustificare l’esclusione delle attenuanti e che il riferimento a "somme di denaro ingenti" deve ritenersi incongruo e contraddittorio, avendo gli stessi giudici di appello riconosciuto espressamente che il F. non ricavava alcun "provento in denaro" dall’attività d’intermediazione.

4.2.3.1 – Anche tale ultimo motivo di imputazione, è infondato. Ed invero, con specifico riferimento all’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il collegio deve infatti rilevare che le valutazioni espresse dai giudici di appello sulla qualità e quantità della sostanza stupefacente oggetto dell’imputazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non posso ritenersi incongrue ed arbitrarie, basandosi le stesse, al contrario, su inequivoche ammissioni del coimputato G., che in sede d’interrogatorio ha precisato – come evidenziato a pag. 17 della sentenza impugnata – che le conversazioni con il F. erano finalizzate a concordare con certo R. l’acquisto di duecento grammi di cocaina, poi realmente perfezionatosi. In particolare, In tale contesto motivazionale, anche l’argomento relativo "a somme di denaro ingenti", risulta assolutamente pertinente e logico, ove si consideri che esso deve intendersi come riferito non già al corrispettivo riconosciuto al F. per l’attività d’intermediazione da lui svolta, come opinato in ricorso, ma come ulteriore elemento indiziario indicativo che il quantitativo di cocaina acquistato dal G. era tutt’altro che modesto.

Quanto poi al diniego dell’attenuante ex art. 114 c.p. nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile, nel pur scabro percorso argomentativo sviluppato sul punto dai giudici di appello.

Al riguardo, non è superfluo rammentare che questa Corte ha più volte affermato, come, "in tema di concorso di persone nel reato, la circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1, è configurabile solo quando l’opera del concorrente sia stata non solo minore rispetto a quella dei correi, ma abbia avuto minima importanza nella preparazione ed esecuzione del reato" (Sez. 4, Sentenza n. 12811 del 08/02/2007, dep. il 29/03/2007, Rv. 236198, imp. Muggeri), precisando altresì "in positivo", che "la circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza si applica nei casi In cui il ruolo di taluno dei concorrenti, o nella fase preparatoria o in quella esecutiva, abbia avuto un’efficacia eziologica del tutto marginale nella causazione dell’evento, nel senso che il reato sarebbe stato ugualmente compiuto anche senza l’attività del correo (in termini, ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 18582 del 07/04/2009 dep. il 5/05/2009, Rv. 244445, imp. Zedda).

Orbene è agevole rilevare che la Corte territoriale, nella sua valutazione sul punto, risulta essersi attenuta a tali principi, dovendo in particolare interpretarsi, il contestato riferimento all’intensità dei contatti con il territorio milanese del F. che rispetto al G., residente in Caltanisetta, all’epoca dei fatti. Invece, viveva e lavorava nel capoluogo lombardo, proprio come un argomento indicativo della rilevanza certamente non minimale e significativamente agevolatrice che ha assunto l’attività di intermediazione svolta dal ricorrente, sul piano della commissione del delitto contestato.

5. – All’infondatezza di tutti i motivi d’impugnazione dedotti, consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge ( art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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