Cass. civ. Sez. VI, Sent., 01-02-2012, n. 1453 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S. e B.G. ricorrono per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 1.650,00 per ciascuno per anni uno e mesi otto di ritardo, ha accolto parzialmente il loro ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale di Firenze dal novembre 1999 al 10.2.2003, in secondo grado avanti alla Corte d’appello dall’aprile 2003 ai 13.9.2004 e quindi avanti la Corte di Cassazione dal gennaio 2005 al 17.9.2008.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione

Il primo e il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione e in subordine di chiede sollevarsi questione di costituzionalità deducendosi che la corte d’appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte europea sono infondati alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui "In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata "ordinario" e "ragionevole", non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo" (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008), nonchè dell’ulteriore arresto a mente del quale "in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, è manifestamente infondata la questione di costituzionalità della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile ai periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo; diversamente opinando, poichè le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati. Nè a conclusioni diverse perviene la stessa giurisprudenza della predetta Corte internazionale che – nei precedenti Martinetti e Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – ha osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla L. n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di calcolo previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla Corte EDU, non è in sè decisivo, purchè i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili" (Cass. Civ., Sez. 1, Ordinanza n. 478 del 11/01/2011).

Con il terzo motivo si censura l’errore in cui sarebbe incorso il giudice del merito nel quantificare solamente in un anno e otto mesi il periodo eccedente quello di ragionevole durata.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse in quanto pur calcolando più correttamente la durata complessiva del giudizio, con esclusione dei periodi inutilmente intercorsi tra i vari gradi, in anni otto e mesi 5 e quindi determinando l’irragionevole durata in anni 2 e mesi cinque, dal calcolo dell’equo indennizzo in base alla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) non deriverebbe un importo apprezzabilmente maggiore di quello già liquidato, rientrando la modesta differenza nell’ambito di discrezionalità del giudice del merito.

E’ invece fondato il quarto motivo con il quale ci si duole dell’integrale compensazione delle spese, essendo la relativa statuizione del tutto immotivata.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto, previa compensazione nella misura della metà delle spese di primo grado in considerazione della drastica riduzione dell’importo riconosciuto rispetto alla domanda, condannato il Ministero al rimborso del residuo.

La stessa statuizione per le medesime considerazioni può essere assunta per la regolazione delle spese di questa fase.

P.Q.M.

la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione alla rifusione della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 873,00, di cui Euro 445,00 per onorari e Euro 378,00 per diritti, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo, nonchè della metà delle spese di questa fase che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo.

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