Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34669

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Palermo con ordinanza in data 5-1-2011, confermava quella emessa dal Gip di quella sede del 9-12-2010, applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti, tra numerosi altri, di C.P., con la contestazione provvisoria del reato di concorso in estorsione aggravata dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno dell’imprenditore S.L., della quale aveva beneficiato ottenendo uno dei subappalti imposti all’imprenditore, utilizzando la forza del vincolo associativo relativo all’organizzazione mafiosa. Gli elementi a sostegno del quadro di gravità indiziaria relativo al reato, sono rappresentanti in primo luogo da un pizzino attribuito a D.M.G. (indicato dal pentito P.G. come reggente della famiglia per conto di L.P.S.), in cui questi rendicontava a L.P. le attività del 2006, citando tra l’altro l’importo di Euro 8500 per lavoro scuola, che l’apporto del pentito B. F. consentiva di attribuire alla realizzazione di una scuola materna in (OMISSIS), risultata aggiudicata all’imprenditore S. L.; questi riferiva di intimidazioni ricevute affinchè corrispondesse somme di denaro e affidasse lavori in subappalto a determinate imprese del luogo, quale, per i lavori elettrici, quella del C. (riconosciuto in fotografia), impostagli da D.M. L..

Il C., come sottolineato nell’ordinanza al fine di evidenziarne la caratura mafiosa, risulta condannato in primo grado per i reati di cui all’art. 416 bis c.p., di estorsione aggravata e di cui al L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, quale imprenditore colluso con gli esponenti mafiosi L.P.S. e Sa., che gli procuravano lavoro con l’intesa che una quota degli utili sarebbe stata di loro spettanza, come confermato dai pentiti P. e F. secondo i quali i L.P. esigevano che, laddove vi fossero lavori elettrici, questi dovevano essere affidati a C..

Ricorre personalmente l’indagato avverso tale ordinanza con unico motivo, con il quale deduce violazione di legge, contestando la prova sia della collusione tra lui e "Cosa nostra", non essendo emerso che l’attività estorsiva avesse riguardato l’imposizione della sua impresa, sia della propria consapevolezza dei meccanismi che avrebbero portato alla scelta della sua impresa.

Motivi della decisione

Il ricorso è tardivo essendo stato proposto, ex art. 123 c.p.p., dalla casa circondariale dove C. si trovava ristretto, il 15.3.2011, mentre il termine di dieci giorni per l’impugnazione era scaduto il giorno precedente, non festivo, per effetto della notifica del provvedimento al difensore in data 4-3-2011 (quella all’indagato era antecedente, risalendo all’8-1-2011). L’inammissibilità del gravame è peraltro determinata anche dalla genericità della doglianza proposta, sterilmente riproduttiva di censure già puntualmente disattese in sede di gravame di merito, e comunque concentrata su profili di mero fatto, estranei al rigoroso perimetro entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità.

Infatti la censura relativa alla mancanza di prova circa l’imposizione dell’impresa di C. all’imprenditore S., è smentita dal forte elemento indiziario, che il provvedimento impugnato non ha mancato di evidenziare, costituito dalle dichiarazioni dell’estorto S. (tra l’altro individuato grazie al pizzino attribuito a D.M., e non già autore di spontanea denuncia), secondo le quali l’indagato – riconosciuto in fotografia – gli era stato imposto, mediante intimidazioni, da D.M. L..

D’altro canto l’asserita inconsapevolezza dei meccanismi che avevano portato all’individuazione, quale subappaltatrice, dell’impresa del ricorrente, è contrastata, come pure ineccepibilmente osservato dal tribunale del riesame, dalle convergenti propalazioni dei collaboratori di giustizia P. e F., indicanti l’affidamento dei lavori elettrici al C., nell’ambito degli appalti controllati da "Cosa nostra", come un fatto consueto, imposto dai capi clan Lo Piccolo. I quali, secondo gli esiti di altro procedimento a carico dell’indagato, definito in primo grado, pure oggetto di richiamo nell’ordinanza gravata, avevano concordato con C. che una quota degli utili ricavati da quest’ultimo, fosse di loro spettanza. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende di una somma che si determina in Euro 1000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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