Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34668

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Palermo, con ordinanza in data 13-1-2011, confermava quella emessa dal Gip del tribunale della stessa città il 9-12-2010, applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti, tra numerosi altri, di D.M.G., con la contestazione provvisoria del reato di cui all’art. 416 bis c.p. (appartenenza alla famiglia mafiosa di Carini, grazie alla quale aveva ottenuto subappalti nel settore dell’edilizia, ponendosi alla dirette dipendenze di S. e Lo.Pi.Sa.), e di concorso in estorsione aggravata dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno dell’imprenditore S.L., della quale aveva beneficiato ottenendo uno dei subappalti imposti all’imprenditore, utilizzando la forza del vincolo associativo relativo all’organizzazione mafiosa.

Gli elementi che compongono il quadro di gravità indiziaria relativo all’associazione mafiosa, sono rappresentanti, secondo l’ordinanza gravata, dalle convergenti dichiarazioni dei pentiti P. G., F.F. e Sp.Ma., riscontrati da alcuni pizzini, aventi peraltro autonomo valore di prova documentale.

P. aveva indicato D.M. come colui che intratteneva rapporti epistolari diretti con i Lo Piccolo, i quali lo favorivano nell’aggiudicazione dei lavori. In particolare il pentito aveva ricordato uno scambio di pizzini tra l’indagato e L.P. S. avente ad oggetto la compravendita di un terreno di proprietà V., dal quale la famiglia mafiosa di Carini doveva ricavare Euro sessantamila, già riscossi da tale Pi. che aveva curato l’affare con D.M.L., padre dell’indagato.

A richiesta di L.P.S. in merito alla rimanente somma di Euro 40.000, l’indagato aveva risposto che se ne sarebbe occupato personalmente e che, una volta riscossa la somma, l’avrebbe consegnata a L.P., che, secondo il collaborante P., l’avrebbe data a lui.

F. aveva indicato D.M.G. come colui che, dopo l’arresto del padre, ne aveva rilevato tutti i contatti interessandosi di movimento terra e di scavi.

Secondo Sp., l’indagato era vicino a L.P.S. e suo padre gestiva la latitanza di questi.

Il tribunale del riesame ha poi citato una serie di pizzini, evidenziando in particolare quello contrassegnato dalla sigla ZE8 bis, attribuito a L.P.S., da cui risultano, oltre ad altri appunti, due note relative a richieste di informazioni da fare al figlio di L. (diminutivo con cui era chiamato il padre dell’indagato), in ordine tra l’altro ai lavori di protezione ad una ditta che doveva realizzare una bretella autostradale, alla costruzione di appartamenti e quattro ville, e ai soldi della Nissan. In ordine ai gravi indizi di partecipazione all’estorsione aggravata, l’ordinanza richiamava le dichiarazioni della p.o. S., il quale, oltre alla richiesta di somme di denaro, era stato sottoposto ad intimidazioni da parte di tale D.M.G. e poi di Pu.Fr., affinchè si servisse di determinate imprese subappaltatrici, tra cui quella dell’indagato. Nella vicenda erano coinvolti personaggi appartenenti a cosa nostra, quali, oltre a D. M.G., D.M.L. e C.P..

Ricorre D.M. avverso tale ordinanza per il tramite del difensore avv. Alessandro Campo, con unico motivo articolato in due censure.

1) Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi del reato associativo. In sostanza tutti i collaboranti e i pizzini darebbero conto, secondo il ricorrente, soltanto di progetti concepiti dai Lo Piccolo sull’indagato a seguito dell’arresto del padre, senza che peraltro risulti che questi avesse mai dato seguito alle loro richieste (non essendo state rinvenute nè sue risposte nè appunti in ordine ad informazioni da lui fornite), avendo quindi il tribunale confuso tra progetti e realizzazione, tema, quest’ultimo, non affrontato affatto nell’ordinanza gravata. Sp., in particolare, pur riferendo della vicinanza di D.M.G. a L.P.S., aveva tuttavia affermato che non gli risultava che il primo fosse inserito in "Cosa nostra". Anche il pizzino ZE8 bis non indicherebbe affatto che le informazioni erano state effettivamente richieste all’indagato.

2) In ordine all’estorsione aggravata, il tribunale ha trascurato la parte delle dichiarazioni della p.o. Sp. in cui lo stesso affermava di conoscere l’indagato in quanto figlio di D.M. L., che aveva realizzato il movimento terra presso il cantiere di (OMISSIS), e di aver avuto con lui soltanto un rapporto di lavoro, senza indicare le ragioni per le quali l’indagato avrebbe dovuto essere consapevole beneficiario di un’estorsione solo perchè un altro esecutore dei lavori, accusato da S., aveva richiesto la sua collaborazione.

Si chiede quindi l’annullamento dell’ordinanza con riferimento ad entrambi i reati.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) Con la prima censura il ricorrente prospetta in sostanza un’interpretazione alternativa del contenuto dei pizzini, ritenuti significativi soltanto di progetti di collaborazione accarezzati da L.P. sul conto dell’indagato, dopo l’arresto del padre D. M.L., detto L., ma senza alcun concreto seguito.

Per contro l’interpretazione offerta dal tribunale del riesame, incentrata sul subentro del ricorrente nei contatti prima intrattenuti dal padre per conto dell’associazione mafiosa, si sottrae alla dedotta censura del vizio di motivazione se si considera il chiaro tenore dei pizzini -un promemoria del boss latitante-, evidenziato nel provvedimento, secondo il quale l’indagato doveva essere interpellato non già per accertare se fosse informato sugli affari in corso, o se intendesse collaborare al riguardo, ma per ottenere informazioni sull’andamento di tali affari, specificamente individuati (bretella autostradale, appartamenti di (OMISSIS), quattro ville, soldi della Nissan, lavori Enel), nel presupposto che egli ne fosse edotto e partecipe. Con ciò riscontrando l’affermazione del pentito F. secondo cui D.M. G. aveva rilevato i contatti paterni. Pari riscontro si trae dai pizzini alla propalazione del collaborante P. relativa alla vicenda della compravendita del terreno di proprietà V., dal quale la famiglia mafiosa di Carini aveva già ricavato Euro 60.000, riscossi da tale Pi. che aveva curato l’affare con D.M.L., padre dell’indagato; sempre secondo P., a richiesta epistolare di L.P.S. in merito alla rimanente somma di Euro 40.000, l’indagato aveva risposto, con lo stesso mezzo, che se ne sarebbe occupato personalmente e che, una volta riscossa la somma, gliel’avrebbe consegnata, somma, secondo il collaborante, destinata a lui. La circostanza, sopra ricordata, che D.M. gestisse, quale sostituto del padre detenuto, una serie di affari della famiglia mafiosa, avvalora anche il suo intervento, in prima persona, e con autorevolezza, nella vicenda del terreno V., arricchendo il quadro di gravità indiziaria.

2) Senza alcun fondamento, poi, il ricorrente si duole, tentando così di gettare il dubbio sulla propria consapevolezza di essere stato imposto come subappaltatore dall’estorsore di S., della mancata valorizzazione, da parte del tribunale del riesame, della sua individuazione da parte della p.o. come mera controparte di rapporti di lavoro, non diversamente dal padre L.. Invero, mentre da quanto sopra emerge in tutta chiarezza il calibro di D.M. L. nell’ambito del sodalizio, è pure evidente come S. non potesse che qualificare di lavoro il rapporto intercorso con l’indagato, avendo questi operato quale suo subappaltatore, ma ciò non significa affatto che il subappalto non gli fosse stato imposto.

Dal che discende pure che D.M. non poteva ignorare che la sua scelta come subappaltatore fosse stata del pari oggetto di imposizione, non essendo altrimenti spiegabile il motivo per il quale essa avesse riguardato proprio lui, e non altri.

Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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