Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34665

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Palermo con ordinanza in data 31-12-2010, confermava quella del Gip di quel tribunale (9-12-2010) applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti, tra numerosi altri, di L.S., provvisoriamente indagati del reato di cui all’art. 416 bis c.p. per avere fatto parte della famiglia mafiosa di T.N. occupandosi della gestione delle estorsioni e dell’organizzazione di incontri riservati per conto dell’organizzazione (in Palermo e provincia fino alla data odierna).

I gravi indizi di colpevolezza erano individuati nelle convergenti dichiarazioni dei pentiti F.F. e A. A., riscontrate da conversazioni intercettate tra l’indagato e lo zio Fe. (in particolare quella del 10-6-2000), da cui risultava, al di là di una formale affiliazione, un ruolo dinamico e funzionale di L. per il perseguimento dei fini criminosi dell’ente.

F., affiliato al padrino L.P.S., e reggente della famiglia mafiosa di (OMISSIS), condannato per associazione mafiosa, ha indicato L., da lui chiamato (OMISSIS), e qualificato parente di L.F., di professione autista di autobus, come il referente di L.P.S. per le estorsioni nella zona di (OMISSIS), circostanza appresa dallo stesso L.P..

Avitabile ha dichiarato che L., all’inizio degli anni 2000, era persona a disposizione di "Cosa nostra" e che a casa sua si svolgevano importanti riunioni, alle quali l’indagato non assisteva perchè apriva il cancello e poi andava via.

Ricorre L. avverso tale ordinanza per il tramite dei difensori avv. Saverio Aloisio e Girolamo D’Azzò, con unico motivo con cui deduce violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, basati soltanto sulle propalazioni di pentiti e su una conversazione intercettata.

Ma – si assume – le dichiarazioni di F. sono intrinsecamente contraddittorio in quanto, nella loro evoluzione, identificano il "(OMISSIS)" in un caso con (OMISSIS), in un altro con tale A.;

non sono certe sulla professione del L. di autista di autobus;

dapprima sembrano frutto di conoscenza diretta per aver parlato il F. direttamente con l’indagato di estorsioni, poi de relato per aver appreso la circostanza da L.P.; sono in contrasto con dati oggettivi, in quanto datano al 2005 il subentro dell’indagato allo zio a causa dell’arresto di questi, arresto invece risalente al (OMISSIS).

Quelle di A., mai acquisite agli atti, non sono comunque idonee a riscontrare le dichiarazioni di F. neppure nel loro nucleo essenziale, non essendo oltre tutto chiaro se il collaboratore abbia riconosciuto in fotografia l’indagato, oppure lo zio di questi (neppure l’album fotografico è stato acquisito agli atti).

L’elemento di riscontro, poi, è rappresentato da una conversazione in cui L.F. invita il nipote a non parlare di "queste cose" al telefono e gli chiede quando aveva visto l’ultima volta un soggetto non precisato, che, in ipotesi accusatoria, ma non riscontrata, sarebbe un latitante.

Il ricorrente evidenzia infine come nessuno dei numerosissimi pizzini sequestrati contenga riferimenti all’indagato, del quale neppure hanno parlato i pentiti più accreditati, compresi quelli che avevano trascorso la loro latitanza con L.P.S..

Si chiede quindi l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

La censura dedotta che, facendo leva sull’inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni dei singoli collaboranti, è intesa a sostenerne l’inconvergenza e quindi l’inidoneità a costituire reciproco riscontro, ha scarso spessore limitandosi alla prospettazione, basata su considerazioni di mero fatto, di una ricostruzione alternativa del contenuto delle dichiarazioni di F. e di A..

Non è superfluo ricordare che la giurisprudenza di questa corte è pervenuta alla conclusione che un collaboratore può essere ritenuto credibile, quando ha acquisito le notizie propalate nell’ambito della sfera di criminalità organizzata in cui sia inserito, purchè venga accertata l’intrinseca attendibilità delle sue dichiarazioni, nonchè la sussistenza di riscontri esterni, i quali, in caso di più chiamate, possono anche consistere nella idoneità delle stesse a riscontrarsi reciprocamente nell’ambito della c.d. "convergenza del molteplice" (Cass. 1560/06, 13473/2008, 31695/10). In altre parole è sufficiente che le dichiarazioni riconducano il fatto all’imputato, confluendo sui comportamenti riferitigli dalle imputazioni, senza che se ne possa pretendere la completa sovrapponibilità, ma dovendo privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere.

Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il giudice di merito ha nella specie indicato, con motivazione congrua ed esaustiva, le ragioni della sicura identificazione nell’indagato, da parte di F., del referente di L.P.S. per le estorsioni nella zona di (OMISSIS), sulla scorta di plurimi elementi convergenti verso la sua persona (l’appellativo di (OMISSIS), la parentela con L.F., la probabile professione di autista di autobus). Tenuto conto che le propalazioni del collaborante si assestano su un alto livello di conoscenza del tessuto malavitoso, trattandosi di affiliato al padrino L.P. S., e reggente della famiglia mafiosa di (OMISSIS), condannato per associazione mafiosa, sono di scarsa rilevanza le contraddizioni evidenziate nel ricorso, senza peraltro il supporto dell’allegazione dei relativi verbali, a fronte del dato certo rappresentato dal fatto che la persona chiamata in correità è il "(OMISSIS)" parente di L.F., cioè L.S., conosciuto da F. nel periodo di frequentazione per l’appunto dello zio Fe., il che conferma ulteriormente l’idoneità identificativa del legame di parentela tra i due.

Nè è ravvisarle la distonia, dedotta nel ricorso, tra conoscenze dirette e de relato del pentito, il quale, come risulta dal provvedimento impugnato, ha ben distinto tra quanto, da un lato, appreso da L.P. che, dopo l’arresto di L.F. – evento idoneo a contrassegnare di per sè il periodo temporale, al di là della data precisa-, lo aveva invitato a rivolgersi a (OMISSIS), suo referente nella zona del (OMISSIS), e il frutto, dall’altro, di contatti diretti con l’indagato con il quale – a conferma delle conoscenze acquisite de relato – aveva avuto modo di parlare anche di estorsioni.

Ben si affiancano a tale quadro ricostruttivo, realizzando la sopra richiamata convergenza del molteplice, le dichiarazioni del collaborante A., il quale, sempre facendo richiamo al rapporto di parentela tra i L., zio e nipote (al di là dell’esatto nome di battesimo di quest’ultimo), ha riconosciuto al nipote, quindi all’indagato, il ruolo di soggetto "a disposizione" di "Cosa nostra", senza che peraltro ciò sia significativo di una condizione meramente statica, avendogli attribuito la funzione di supporto logistico all’organizzazione, mediante la messa a disposizione della propria casa, dove anche A. si era recato, per riunioni degli affiliati, alle quali peraltro L. non partecipava, limitandosi ad aprire il cancello per poi allontanarsi.

Il compendio indiziario è quindi nel complesso contrassegnato dalla chiamata di F., intrinsecamente attendibile, riscontrata da quella di A., convergente sul ruolo di mafioso di L., e quindi sul nucleo centrale e significativo dell’imputazione, anche se non sovrapponibile circa la condotta di referente nel settore delle estorsioni, evidentemente successiva, in quanto determinata dall’arresto per la medesima imputazione dello zio dell’indagato, alle conoscenze di A..

La valutazione globale di tale compendio, arricchito anche dalla sussistenza di contatti telefonici, di sospetto tenore, tra i due L. – pure evocati nell’ordinanza impugnata -, evidenzia pertanto, secondo quanto ritenuto dal tribunale del riesame, la riconducibilità dell’una e dell’altra condotta, successive nel tempo, all’appartenenza dell’indagato alla famiglia mafiosa, realizzando la convergenza del molteplice sul nucleo centrale della prospettazione accusatoria, e determinando il raggiungimento della soglia della gravità indiziaria. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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