Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Palermo con ordinanza in data 29-12-2010, confermava quella emessa dal Gip del tribunale della stessa città il 9-12-2010, applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti, tra numerosi altri, di Z.F., con la contestazione provvisoria di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per avere gli esponenti mafiosi L.P.S. e L.P. S., in concorso con l’indagato, nonchè con L.C.G. e L.A. e M., attribuito fittiziamente a L. A. la titolarità di un’impresa edile individuale, al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione, con l’aggravante di aver operato al fine di avvantaggiare l’organizzazione mafiosa "Cosa Nostra". Fatto commesso il (OMISSIS), data di iscrizione della ditta alla Camera di Commercio.

La gravità del quadro indiziario della fittizia interposizione dei Lucia nell’impresa di costruzioni di fatto gestita da Z. e L. C., era fondata sui seguenti elementi:

a) Dichiarazioni del pentito F.F., affiliato al padrino L.P.S., e reggente della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, secondo le quali L.C.G. e Z. F. effettuavano lavori edili, su richiesta della famiglia mafiosa, in società con i L., padre e figlio, i quali volevano affrancarsi da tale vincolo sentendosi sfruttati perchè esclusi dalla partecipazione agli utili. b) Documentazione sequestrata in occasione della cattura dei L. P. ((OMISSIS)). In particolare una lettera scritta da L. M., datata 5-6-2006, e diretta a L.P.S., nella quale il predetto L., anche a nome del padre A., riconosceva che l’attività formalmente intestata a quest’ultimo costituiva la copertura di una società con Z. e L.C., i quali però non avevano mai distribuito utili, sottintendendo che una parte di essi era inviata a L.P. ("come saprai mio padre ed io negli anni passati lavoravamo in società con Z.F. e L. C., però questa società esistita solo a parole. Noi abbiamo aperto la ditta e l’abbiamo messa a disposizione").

L.M. concludeva che per questo essi non volevano avere più niente a che fare con L.C., ma che erano a disposizione del destinatario L.P..

Una seconda missiva di autore non identificato, pure sequestrata, dava conto della notorietà, nell’ambiente, del contrasto insorto tra i L. e L.C.. La gravità degli indizi in ordine alla consapevolezza e finalità dell’indagato di eludere le misure di prevenzione patrimoniali attraverso l’interposizione fittizia, era desunta dal fatto che, al momento della costituzione dell’impresa, Z. era affiliato al sodalizio mafioso diretto da L.P. S. (sarebbe stato di lì a poco arrestato, e poi condannato con sentenza passata in giudicato, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., con permanenza fino al 2004), con conseguente prevedibile applicazione nei suoi confronti di misure di prevenzione patrimoniali ( Z. era uomo di fiducia dei L.P., e a lui era riferibile la Giorgia srl, nella quale i predetti avevano interessi).

I gravi indizi in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 erano ravvisati in particolare nel "pizzino" diretto a L.P., in cui L.M., anche per conto del padre A., faceva riferimento al fatto che parte degli utili della società (di cui era socio di fatto Z., imprenditore di fiducia dei L.P.) era destinata appunto ai L.P..

In punto di esigenze cautelari il tribunale riteneva non superata la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, indicando comunque gli elementi che portavano a concludere per la ricorrenza di tutti e tre i tipi delle predette esigenze.

Ricorre Z. avverso tale ordinanza per il tramite del difensore avv. Rosanna Velia, con due motivi.

1) Violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza, sotto il profilo materiale, della fattispecie criminosa, in assenza dell’indicazione dei beni o altre utilità per i quali sarebbe stata creata una situazione di titolarità apparente, non essendo qualificabile bene o altra utilità l’apertura di un’impresa individuale, che non richiede l’esistenza di un capitale.

2) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7, da un lato collegata alla qualità di Z. di organico al sodalizio mafioso – il che tuttavia non implica necessariamente la finalità di agevolare l’intero sodalizio -, dall’altro alla destinazione ai L.P. di parte degli utili dell’impresa, circostanza però in contrasto con la ritenuta insufficienza, da parte del Gip, di elementi idonei ad ascrivere il reato di cui all’art. 12 quinquies ai predetti L. P. – dei quali è stata ritenuta indimostrata la cointeressenza nell’impresa intestata al L., con conseguente rigetto della richiesta cautelare avanzata nei loro confronti in relazione a tale reato.

Si chiede quindi l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) Invano si contesta la ricorrenza dell’elemento materiale del reato oggetto di provvisoria contestazione, sull’assunto che non sarebbe qualificabile come bene o altra utilità l’apertura di un’impresa individuale, dal momento che non richiede l’esistenza di un capitale.

A parte l’opinabilità di tale impostazione, va infatti considerato che nella specie, secondo quanto puntualmente evidenziato nel provvedimento impugnato, sotto lo schermo dell’impresa individuale di L.A., era svolta in realtà un’attività edilizia in forma societaria, della quale erano soci occulti L.C. e Z., che, come risulta inconfutabilmente dalla missiva di L. M. – e non è contestato neppure dal ricorrente -, ne percepivano gli utili, versando ai L. soltanto il corrispettivo delle ore di lavoro svolte.

Poichè il trasferimento fraudolento di valori può essere integrato, secondo consolidato approdo giurisprudenziale di questa corte (Cass. 6939/2011; 43049/2003), tanto dalla costituzione di una società le cui quote vengano intestate a soggetti diversi dai reali intestatari, quanto dall’acquisto della qualità di socio occulto in società già esistente, partecipando alla gestione e agli utili derivanti dall’attività imprenditoriale, l’elemento oggettivo del reato risulta in fatto realizzato.

2) La soglia della gravità indiziaria appare raggiunta, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, anche sotto il profilo della sussistenza dell’aggravante della finalità di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso.

Nello stesso ricorso non si contesta che Z. fosse, all’epoca, organico alla famiglia mafiosa, nell’articolazione di questa diretta da L.P.S., con conseguente prevedibile applicazione nei suoi confronti di misure di prevenzione patrimoniali.

Z. sarebbe stato infatti di lì a poco arrestato, e poi condannato con sentenza passata in giudicato, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., con permanenza fino al 2004.

E’ peraltro da escludere che la società occulta fosse finalizzata a favorire soltanto lui.

Infatti, essendo egli l’imprenditore di fiducia dei L.P. (a lui era tra l’altro riferibile la Giorgia srl, in cui i predetti avevano interessi), come evidenziato nell’ordinanza gravata, il suo collegamento con costoro nel settore edilizio, riscontra l’affermazione del collaborante F. secondo cui lui e L. C. erano preposti all’esecuzione dei lavori edilizi su richiesta della famiglia mafiosa. Di qui la conseguente, e condivisibile, conclusione, di cui al provvedimento impugnato, dell’oggettiva funzionalità della condotta di Z. all’agevolazione dell’attività posta in essere dal sodalizio criminoso. Conclusione obiettivamente avvalorata dalla circostanza, documentale, che, quando si trattò di dirimere il contrasto insorto con L.C., L. M., nello scritto sequestrato nel covo dei Lo Piccolo, si rivolse, facendosi portavoce anche del padre, proprio al capo della famiglia, e, nel ribadire che l’impresa era stata creata per metterla, genericamente, "a disposizione" -il che sottintende non di singoli soggetti, ma della famiglia-, chiese di eliminare l’anello della catena rappresentato da L.C., rivelatosi economicamente gravoso, e di rapportarsi direttamente alla dirigenza del gruppo.

Il che conferma che la società occulta L. – L.C.Z. era al servizio dell’associazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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