Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 23-09-2011, n. 34707 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con decreto del 1 aprile 2010, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto nell’Interesse di V.S. avverso il decreto del 30 gennaio 2007 del Tribunale di Napoli, che aveva applicato allo stesso la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre e aveva ordinato la confisca delle quote sociali, allo stesso intestate e nella sua diretta disponibilità, delle società Gruppo V s.r.l., con sede in (OMISSIS), Il Millennio s.r.l., con sede in (OMISSIS), e Vicos s.r.l., con sede in (OMISSIS), del deposito titoli allo stesso intestato presso la Banca di credito popolare di Torre del Greco, filiale di (OMISSIS), e delle quote sociali, nella sua indiretta disponibilità e intestate a O.A., della società Gruppo V s.r.l., con sede in (OMISSIS).

1.1. La Corte, esaminate le doglianze svolte con i ricorsi riuniti, e illustrati i principi di diritto in materia di autonomia fra procedimento di prevenzione e procedimento penale, di sufficienza degli elementi indiziari e di semplificazione probatoria in materia di prevenzione, riteneva che il provvedimento impugnato, richiamato per relationem, andava confermato.

Secondo la Corte, le misure, personale e patrimoniale, erano state disposte sulla base di fatti concretamente accertati:

– esistenza dell’associazione camorristica "alleanza di Secondigliano", fondata su plurimi provvedimenti giudiziari, già richiamati dal Tribunale ed elencati nella sentenza della Corte d’appello di Napoli del 20 ottobre 2009, a partire dalla sentenza del 17 novembre 1994 del Tribunale di Napoli, che aveva descritto Vescalation criminale del clan Licciardi, pervenuto a creare un’aggregazione tra i vari gruppi criminali, detta alleanza di Secondigliano, interessata a investire guadagni illeciti nella commercializzazione di beni di consumo e in particolare nella produzione e nella esportazione di capi in pelle, con cassa comune dei proventi delittuosi, gestita da un direttorio, operante con lo scopo di acquisire il controllo di settori imprenditoriali e commerciali. In detto settore commerciale dei capi in pelle erano versati per tradizione familiare V.C. e figli, e tra questi il proposto V.S., dei quali era stata accertata l’appartenenza alla indicata associazione;

– emergenze dell’ordinanza di custodia cautelare del 5 luglio 2004 del G.i.p. del Tribunale di Napoli nei confronti, tra gli altri, di C.E. e L.V., capi del sodalizio, per associazione camorristica, contraffazione di marchi e segni distintivi di prodotti industriali, riciclaggio, in merito alle plurime attività commerciali riferibili alle associazioni dell’Alleanza di Secondigliano nel settore del commercio, con criteri monopolistici, dell’abbigliamento e di trapani contraffatti, e in merito al direttorio, ai componenti e ai ruoli, e nei confronti anche di V.S., individuato come amministratore unico e socio della Gruppo V s.r.l., avente a oggetto il commercio all’ingrosso di capi di abbigliamento, calzature, pelletteria e altro;

– risultanze della sentenza del 22 luglio 2005 del G.u.p. del Tribunale di Napoli di condanna di V.S. per associazione camorristica e per contraffazione di marchi e segni distintivi di prodotti industriali, aggravata per aver favorito la predetta associazione, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e in particolare di G.G., che aveva spiegato che tutte le "fabbriche" di (OMISSIS) e provincia che realizzavano giubbini in finta pelle, e quindi anche quelle del V., erano sotto il controllo dei clan;

1.2. La Corte riteneva, pertanto, corretto il giudizio di pericolosità qualificata del prevenuto, inserito nell’alleanza di Secondigliano che aveva consentito allo stesso e alla famiglia di estendere l’attività, anche oltre l’abbigliamento, nel settore dei trapani contraffatti, e insita nella stessa appartenenza all’associazione camorristica l’attualità della pericolosità sociale.

1.3. In ordine alla misura patrimoniale, la Corte rilevava che le società Gruppo V s.r.l., Il Millennio s.r.l. e Vicos s.r.l. erano inserite nel contesto criminale cui apparteneva V. S., attesa la provenienza illecita dei relativi redditi, l’operatività della società Gruppo V nel settore al quale era interessato il direttorio dell’alleanza di Secondigliano, il contenuto delle conversazioni intercettate richiamate nella sentenza del 20 ottobre 2009, l’incremento dei profitti delle predette società in coincidenza del coinvolgimento del V. nell’ambito operativo dell’alleanza di Secondigliano, l’ininfluenza sulla questione della illiceità della fonte dei proventi del calcolo dei redditi del predetto negli anni 1977-2003, il risalente inserimento dei V. nell’ambito dell’alleanza di Secondigliano con il compito di gestione del settore imprenditoriale e commerciale dei capi di abbigliamento e dei trapani, la costituzione della società Vicos negli anni ’90 con la partecipazione di personaggi di spicco dell’alleanza di Secondigliano e il suo inserimento nel programma dell’associazione, la provenienza illecita del deposito titoli e della quota societaria del V. nella società Il Millennio costituita nel 1999, in un momento di piena operatività dell’Alleanza, come modalità di reimpiego di arricchimenti illeciti.

Ad avviso della Corte, anche la quota societaria della Vicos s.r.l. di O.A., moglie del proposto, era nella disponibilità di quest’ultimo, tenuto conto delle vicende della società e della carenza di prova che la stessa fosse possidente.

2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, V.S., che ne chiede l’annullamento, denunciando, con unico motivo, mancanza o manifesta illogicità della motivazione, al sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e mancata assunzione di prova decisiva, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).

Il ricorrente, in particolare, deduce che ricorre vizio di motivazione per essere le ragioni esposte in decreto scarne e insufficienti, prive di riscontro alle decisive osservazioni difensive, illogiche insanabilmente sul piano argomentativo, incoerenti e improbabili nella ricostruzione fattuale degli eventi, e per avere la Corte proceduto a una motivazione per relationem, omettendo di rilevare che il decreto di primo grado era apodittico nelle sue argomentazioni.

Nè, ad avviso del ricorrente, la Corte ha tenuto conto del novum costituito dalla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 1 aprile 2010, che ha dissequestrato i beni del padre V. C. e che la stessa Corte ha acquisito ritenendola utile al fini della ricostruzione dei fatti, delle richieste avanzate con la memoria difensiva e della richiesta difensiva di nominare un consulente tecnico per evidenziare gli ingenti debiti delle società cui si riferiscono le quote sequestrate e di verificare dalle origini l’intestazione del deposito titoli.

L’illogicità della motivazione attiene, secondo il ricorrente, anche al giudizio di pericolosità per non avere egli mai violato la misura applicata, per essere i fatti In contestazione risalenti e per non poter egli dare il suo contributo all’associazione camorristica, che per i disposti sequestri delle aziende e dei patrimoni mobiliari degli associati, non può operare, senza che sia, in ogni caso comprensibile il diverso trattamento riservato al coimputato C. G. e al padre, nei cui confronti la misura è stata revocata per insussistenza della pericolosità sociale.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre premettere che il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso nel procedimento di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge in forza della generale disposizione di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, applicabile anche nei casi di pericolosità qualificata di cui alla L. n. 575 del 1965 in base al richiamo operato dall’art. 3-ter, comma 2, della detta ultima legge.

Nel concetto di violazione di legge, come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata all’inosservanza da parte del giudice di merito dell’obbligo, previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, di provvedere con decreto motivato (tra le altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6 n. 35044 del 08/03/2007, dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277), mentre non vi rientrano anche la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, suscettibili di denuncia nel giudizio di legittimità soltanto attraverso lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. 6, n. 21250 del 04/06/2003, rie. P.M. in proc. De Palo, Rv.

225578).

2.1. Tali principi, che il Collegio condivide, sono coerenti con i parametri costituzionali, come affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 321 del 2004, nel giudizio di legittimità costituzionale della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, promosso da questa Corte con ordinanza del 26 novembre 2003. La Corte Costituzionale con la predetta sentenza, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., ha, in particolare, rilevato che il presupposto Interpretativo secondo cui la suddetta norma, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della corte d’appello che abbia applicato la misura di sicurezza della sorveglianza speciale, esclude la sua ricorribilità in cassazione per vizio di manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non si traduce nella violazione delle norme costituzionali invocate, posto che il procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia sul terreno processuale sia nei presupposti sostanziali, e non sono quindi comparabili, e le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento, quando di tale diritto sono comunque assicurati lo scopo e la funzione, con la conseguenza che i vizi della motivazione possono essere variamente considerati a seconda del tipo di decisione cui ineriscono.

3. Tanto premesso, si rileva che i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente sono tutti riconducibili, per l’espresso richiamo fatto in ricorso e per il loro contenuto, a censure attinenti alla logicità della motivazione e al merito delle valutazioni, che la Corte ha espresso con riguardo alle risultanze processuali, specificatamente descritte e logicamente ricostruite e interpretate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.

Le censure consistendo, pertanto, in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge nei confronti del decreto in esame, sono inammissibili.

4. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei motivi e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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