T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 12-10-2011, n. 2419 Contratti e convenzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La presente controversia riguarda la realizzazione, in "project financing" (ai sensi degli articoli 37 bis ss. l. 109/94, vigenti ratione temporis), di un parcheggio pubblico interrato nel sottosuolo di area demaniale sita in Milano, tra viale Gorizia e viale Gabriele D’Annunzio (a cui, nel prosieguo, si farà riferimento con la denominazione "Darsena"). Per quanto di interesse, l’aggiudicazione della gara è avvenuta il 21 maggio 2003, il progetto definitivo è stato consegnato il 20 maggio 2004 ed approvato l’11 agosto 2004 mentre, in data 23.09.04, il COMUNE di MILANO (di seguito l’"Amministrazione") e P.D. S.p.A. (di seguito il "Concessionario") hanno sottoscritto una convenzione (di seguito, anche il "contratto") per l’affidamento dell’incarico di progettazione e costruzione di una struttura interrata di due piani sotto lo specchio d’acqua della Darsena, idonea ad ospitare almeno n. 713 posti auto, da concedere in gestione per un periodo trentennale, con il vincolo della destinazione d’uso pubblico "a rotazione" e con sistema di pagamento a tariffa oraria. Il Piano Economico e Finanziario (PEF), asseverato da Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo Spa, prevedeva che l’opera sarebbe stata realizzata a costo zero per l’Amministrazione, la quale avrebbe, per contro, tratto un vantaggio economico sia per la quota parte dei proventi derivanti dall’installazione di impianti pubblicitari lungo il perimetro del cantiere, sia mediante un contributo monetario di Euro 400.000,00 versato dal Concessionario per l’esecuzione di alcune opere di miglioria della viabilità o di arredo dell’area.

1.2. Il parcheggio avrebbe dovuto essere ultimato entro il settembre 2006, e da quella data avrebbe dovuto avere inizio la successiva gestione trentennale. L’opera, tuttavia, non è mai stata realizzata. Piuttosto le parti, pressoché per tutto il periodo nel frattempo trascorso, hanno intrattenuto annose discussioni e carteggi concernenti, fondamentalmente, la pretesa del Concessionario di ottenere il "riequilibrio economicofinanziario" del progetto originariamente assentito e affidato, senza mai addivenire all’effettiva novazione (oggettiva) del rapporto. Il dissidio, in particolare, è sorto quando, a seguito dei ritrovamenti emergenti dagli scavi archeologici (antiche mura spagnole e alcuni reperti archeologici), emergendo l’esigenza, rappresentata dalla Soprintendenza, di modificare il progetto approvato per preservare le preesistenze rinvenute, il Concessionario aveva presentato un nuovo progetto dell’opera che prevedeva, in sintesi, la modifica della sagoma del parcheggio pubblico articolato su tre piani interrati (anziché 2 previsti nel progetto originario) ma, soprattutto, l’aggiunta di un secondo lotto di parcheggi privati per n. 303 box da cedere in proprietà superficiaria novantennale.

1.3. In data 14 dicembre 2009, l’Amministrazione ha deliberato la decadenza dall’aggiudicazione e la conseguente risoluzione, per grave inadempimento del concessionario, della convenzione del 23 settembre 2004. Avverso tale statuizione, il Concessionario ha agito con ricorso depositato il 22 dicembre 2009.

1.4. Con sentenza 21 giugno 2010 n. 2110, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, prima sezione, ha respinto la domanda di annullamento. Tale pronuncia è stata, tuttavia, riformata dal Consiglio di Stato (6 dicembre 2010 n. 8554), ad avviso del quale, a prescindere dal merito delle denunciate violazioni contrattuali, il Comune di Milano, erroneamente, aveva tratto la conclusione giuridica della automatica risoluzione della convenzione accessiva a seguito della dichiarata decadenza dall’aggiudicazione della concessione; per contro, ha statuito il Supremo Consesso, il ritenuto grave inadempimento non poteva essere sanzionato con un provvedimento in autotutela, bensì avrebbe dovuto essere esaminato alla luce della normativa convenzionale, procedendo, se del caso, alla risoluzione della convenzione.

1.5. Nel frattempo, a seguito di diffida, in data 30.04.2010, in presenza dei rappresentanti del Comune, di P.D. S.p.A. e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, l’area demaniale in questione è stata riconsegnata all’Amministrazione, nello stato risultante dalla documentazione fotografica e filmata, allegata al verbale di consegna.

1.6. In data 17.12.2010, il Concessionario, a seguito della sopracitata sentenza di riforma del Consiglio di Stato, ha notificato al Comune atto di intimazione e diffida ad assicurare il riequilibrio economico finanziario della concessione, a predisporre l’atto integrativo della convenzione e a riconsegnare l’area della Darsena per eseguire i lavori di costruzione del parcheggio, avvisando che, in mancanza, la convenzione si sarebbe dovuta ritenuta risolta ex art. 1454 c.c.

2. Con nuovo ricorso, depositato il 12 gennaio 2011, il Comune di Milano, sulla scorta dei medesimi fatti di inadempimento venuti in considerazione nel precedente giudizio vertente sul provvedimento di decadenza, ha chiesto al Tribunale: di dichiarare la risoluzione della convenzione stipulata in data 23.09.2004 per grave inadempimento del concessionario, con ogni conseguente effetto restitutorio, ivi compresi l’inefficacia dell’aggiudicazione, la decadenza della concessione e l’estinzione del diritto di superficie costituito su parte dell’area demaniale; di ordinare al Conservatore dei R.R.II. di provvedere alla cancellazione del diritto di superficie come sopra costituito e trascritto, condannando il Concessionario a sopportare le relative spese e tasse; di condannare il medesimo al risarcimento del danno materiale subito dal Comune, nella somma che risulterà accertata in corso di causa e comunque non inferiore a Euro. 462.271,64, riservandosi di indicare le ulteriori spese sostenute in corso di causa e necessarie per ricondurre la Darsena in pristino stato, nonché di presentare la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione all’immagine nel giudizio penale promosso a carico dei legali rappresentanti della società concessionaria.

2.1. All’udienza camerale del 3.02.2011, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Concessionario ha dichiarato di non contestare il possesso e la detenzione dell’area da parte dell’Amministrazione. Le parti ed il giudice, pertanto, preso atto del venir meno del presupposto del "periculum in mora", hanno concordato la sollecita spedizione del ricorso all’udienza pubblica di merito.

2.2. Il Concessionario, con ricorso incidentale notificato in data 3.03.2011 e depositato il 15.03.2011, ha chiesto il rigetto del ricorso ed, in via riconvenzionale, di dichiarare l’avvenuta risoluzione del rapporto convenzionale ai sensi dell’art. 1454 c.c. o, in subordine, accertato il grave inadempimento del Comune di Milano, di pronunciare la risoluzione del rapporto e della relativa convenzione ex art. 1453 c.c.; inoltre, accertata la avversaria responsabilità contrattuale e/o precontrattuale, di condannare il Comune di Milano al risarcimento di tutti i danni subiti e costi sopportati per un totale di Euro 8.727.196,15, oltre interessi e rivalutazione; in estremo subordine, di condannare comunque il Comune di Milano al pagamento di tutti i costi (per un totale di Euro 6.693.117,55) sopportati dal concessionario nel corso del rapporto contrattuale ex art. 17 della Convenzione, oltre interessi e rivalutazione.

2.3. Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza del 16 giugno 2011.

Motivi della decisione

I. Le contrapposte domande di risoluzione per inadempimento che si fronteggiano nel presente giudizio hanno per oggetto una concessione di costruzione di un parcheggio pubblico e di gestione del relativo pubblico servizio (cfr. Corte giustizia CE, sez. I, 13 ottobre 2005 n. 458, secondo cui costituisce una concessione di pubblici servizi l’attribuzione da parte di un’autorità pubblica della gestione di un parcheggio pubblico a pagamento, per la quale il prestatore riceve come corrispettivo le somme versate dagli utenti,). Sussistono, pertanto, plurimi titoli a fondamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: l’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., in tema di controversie in materia di pubblici servizi, controvertendosi qui della violazione degli obblighi nascenti dalla concessione di affidamento del servizio e coinvolgendo la controversia proprio la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio; l’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., sussistendo tra gli effetti del rapporto anche la concessione di bene pubblico demaniale; l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 2, in tema di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi di provvedimento amministrativo, nel cui alveo (secondo alcune ricostruzioni) sarebbe possibile inquadrare la convenzione accessiva in commento.

II. Le parti si addebitano reciprocamente lo stravolgimento delle tempistiche scandite dalla convenzione ed, effettivamente, l’intera vicenda è caratterizzata da condotte non propriamente coerenti e lineari, da parte di entrambi i soggetti contrattuali.

L’amministrazione contesta al Concessionario le seguenti inadempienze: la mancata ultimazione degli scavi archeologici preliminari; la mancata presentazione del progetto esecutivo del parcheggio pubblico; la mancata realizzazione dell’opera nei tempi previsti; l’avere presentato una serie di modifiche sostanziali del progetto e del P.E.F. originari, dirette alla realizzazione di un’opera diversa da quella oggetto della convenzione, adducendo la sopravvenienza di maggiori costi, senza fornire alcun elemento idoneo a provare quanto asserito; la violazione dell’obbligo di custodia dell’area, che la Società concessionaria avrebbe abbandonato, pur sfruttandola allo scopo di introitare i proventi della pubblicità esposta; la mancanza del finanziamento da parte della Banca indicata nel P.E.F., che non intende nemmeno subentrare nella concessione.

Il Concessionario, a sua volta, lamenta: – il ritardo nella consegna delle aree; – la mancata collaborazione per assicurare la disponibilità dell’area; – l’approvazione solo parziale del nuovo progetto definitivo del 2006, per ragioni che nulla hanno a che vedere col rapporto concessorio e con la posizione del Comune in quanto Ente concedente; – l’occultamento del "provvedimento Albertini" del 2006, che è stato consegnato con nove mesi di ritardo e dopo diffida e azione giudiziaria dell’esponente Società; – la mancata stipulazione dell’atto integrativo della convenzione, così come approvato dal Commissario Albertini nel 2006; – l’assoggettamento a riesame dell’iniziativa relativa alla realizzazione del parcheggio sotto la Darsena; – l’omessa risposta, per oltre tre anni e mezzo, alla richiesta di riequilibrio economicofinanziario della esponente Società ed il persistente rifiuto di raggiungere un nuovo accordo.

II.1. In questo quadro, evitando di addentrarsi nella complessa (quanto, nella specie, sovrabbondante) questione teorica circa la esatta natura giuridica dell’accordo ad effetti "concessori" (non del tutto pacifica in dottrina, sebbene la norma definisca esplicitamente la concessione di lavori pubblici come contratto avente a oggetto la progettazione, l’esecuzione dei lavori pubblici e la loro gestione funzionale ed economica), importa sottolineare, in primo luogo, come la disciplina dello scioglimento del vincolo sia senza dubbio governata dai "principi (più propriamente dalle regole) in materia di obbligazioni e contratti" (art. 11, comma 2, l. 241/1990), i quali sono senza dubbio "compatibili" per quanto concerne gli aspetti prettamente patrimoniali della vicenda. Sotto altro profilo, pur avendo l’Amministrazione a disposizione rimedi speciali di autotutela privatistica (operanti in via dichiarativa e di esecuzione coattiva: si pensi al procedimento ex art. 136 d.lgs. 163/2006 che consente alla stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, di disporre la risoluzione del contratto), tuttavia, qualora la stessa si determini a procedere (come è avvenuto nel caso che ci occupa) per le vie ordinarie, l’accertamento in via giurisdizionale della risoluzione del contratto è regolato dagli art. 1453 c.c. ss. (è pacifico, poi, che con riguardo all’azione risolutoria dell’appaltatore o concessionario, il quadro giuridico di riferimento è offerto dal solo diritto civile).

II.2. Tanto premesso, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento di contratto con prestazioni corrispettive, in caso di asserite inadempienze reciproche, è necessario far luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti (ex multiis, cfr. Cass., sez. II, 3 gennaio 2002 n. 27; Cass., sez. II, 24 settembre 2009 n. 20614). Orbene, alla luce dell’esame analitico e comparativo della condotta dei contraenti, il Collegio, anticipando sin d’ora le conclusioni del discorso che si andranno nel prosieguo a motivare, ritiene, di dover imputare alla colpa del Concessionario l’alterazione dell’equilibrio del contratto; ciò, avuto riguardo sia ad un canone eziologico (che considera, cioè, l’efficienza causale della condotta tenuta rispetto al detrimento delle finalità economiche della convenzione), sia all’importanza delle inadempienze in rapporto alla causa del contratto (canone di adeguatezza).

III. Occorre, da subito, affrontare alcune questioni pregiudiziali.

III.1. In primo luogo, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità, sollevata dal Concessionario, incentrata sulla considerazione secondo cui la parte avversaria, nell’esercitare la domanda costitutiva di risoluzione ex art. 1453 c.c., avrebbe omesso di considerare la preesistente portata giuridica della risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. maturata (in data 17 gennaio 2011) a seguito della diffida di P.D.; quest’ultima circostanza (così, almeno, pare di capire) avrebbe imposto all’Amministrazione di sollevare una specifica contestazione della diffida onde chiederne l’eventuale annullamento. Per la verità, le contrapposte valutazioni giuridiche circa lo scioglimento dell’accordo contrattuale (se esso, cioè, operi di diritto ovvero consegua ad una pronuncia costitutiva) confluiscono tutte nell’accertamento unitario del rapporto devoluto alla cognizione del giudice; cosicché, la parte destinataria della altrui diffida ad adempiere, non è tenuta ad una preliminare ed inusuale "impugnazione" della stessa, ove intenda ottenere dal giudice la declaratoria della infondatezza della pretesa avversaria e della risoluzione del rapporto; nella specie, la questione se il Concessionario si sia o meno precedentemente liberato dal vincolo contrattuale per effetto della diffida attiene al merito del giudizio complessivo sulla imputabilità dell’inadempimento del programma contrattuale, non certo rileva in limine litis quale "atipica" condizione o presupposto dell’azione.

III.2. Del pari, non è condivisibile la prospettazione secondo cui la domanda avversaria sarebbe ulteriormente inammissibile nella parte in cui l’Amministrazione pretende di ottenere l’inefficacia dell’aggiudicazione a fronte della definitiva valenza della pronuncia del Consiglio di Stato, che ha puntualmente dichiarato, quanto all’aggiudicazione, "che invece era stata legittimamente disposta". Deve replicarsi che l’amministrazione, al di là delle espressioni utilizzate (quali "inefficacia della aggiudicazione" e "decadenza della concessione") non solleva, tra i motivi di ricorso, alcuna questione circa la legittimità della aggiudicazione, ma agisce esclusivamente per sentir dichiarare lo scioglimento del rapporto concessorio per i medesimi fatti di inadempimento che si pretende travolgano il rapporto contrattuale.

IV. Veniamo ora rapidamente al merito.

Il programma negoziale è rimasto del tutto ineseguito con riguardo alle obbligazioni del Concessionario. Questi, infatti,: – non ha ultimato gli scavi archeologici preliminari (iniziati ad agosto 2005 e interrotti a marzo 2006); – non ha mai redatto e consegnato all’Amministrazione il progetto esecutivo del parcheggio pubblico, che si era obbligato a realizzare; – non ha, conseguentemente, mai iniziato i lavori, condizionando, vedremo con quali giustificazioni di fatto e di diritto, l’esecuzione della propria prestazione alla previa modificazione dell’assetto contrattuale prefigurato e posto a base di gara. Prima di precisare tali singoli aspetti, è utile, preliminarmente, osservare che, se in ipotesi, l’eventuale sospensione dei lavori può avvenire anche per iniziativa dell’appaltatore, resta fermo che l’obbligo di disporre la sospensione compete soltanto all’Amministrazione, non potendo mai il primo, per sua autonoma determinazione, interrompere l’esecuzione dell’opera o rallentarne l’andamento, avendo l’obbligo di procedere in via continuativa sino alla relativa ultimazione: nella specie, non risulta essere intervenuta alcuna legittima causa di sospensione.

IV.1. L’obbligo di esecuzione degli scavi archeologici, indispensabili per ottenere il nulla osta della Soprintendenza ai Beni Archeologici e necessari per la redazione del progetto esecutivo, è previsto dall’art. 3, comma 2, del contratto. E’ incontestato tra le parti che l’intera area interessata dall’intervento è stata consegnata al concessionario quantomeno in data 27.07.2005 (può prescindersi, infatti, come si specificherà meglio a breve, dal precedente ritardo di qualche mese con il quale l’Amministrazione ha consegnato l’area, a causa del preliminare spostamento temporaneo della Fiera di Senigallia). Gli scavi archeologici sono iniziati ad agosto 2005 e, da subito, sospesi nel marzo 2006 (lo documenta bene la nota della Direzione Regionale per i Beni Culturali della Lombardia del 17 settembre 2009). Il rappresentante della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, all’atto della consegna, ha dichiarato di non avere mai ricevuto la documentazione relativa all’attività archeologica svolta dal concessionario e ha rilevato che i reperti archeologici rinvenuti sono rimasti non protetti dal 2006 ad oggi e necessitano di interventi di protezione e messa in sicurezza. La Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia, con lettera in data 7.06.2010, dopo aver ribadito che la Società non ha mai consegnato la documentazione di scavo, ha indicato gli interventi necessari per la conservazione dei reperti archeologi rinvenuti, che il concessionario non ha mai eseguito.

A questo punto, ritiene il Collegio che, al fine di imputare l’interruzione dell’indagine archeologica al Concessionario, non occorra dilungarsi sulla questione se la società incaricata da quest’ultimo non abbia ultimato l’attività archeologica a causa o meno del mancato pagamento del corrispettivo. Tale circostanza, affermata dal Comune (il quale deduce che il 30 maggio 2006 la Soprintendenza per i Beni Archeologici chiedeva alla Società Lombarda di Archeologia di inviare la relazione di scavo con la documentazione relativa alla prima parte dello scavo conclusa da tempo e la Società rispondeva con nota del 1 giugno dicendo di non poter procedere con la stesura della relazione e di non poter dare inizio alle operazioni di postscavo archeologico perché erano rimaste insolute fatture prestazionali per Euro 74.837,70) ma contestata dal Concessionario (il quale replica di aver pagato integralmente tutti i lavori effettuati; detto importo risulterebbe corrisposto con due bonifici successivi, rispettivamente di Euro 26.842,20 e di Euro 47.995,50), è irrilevante: difatti, il Concessionario, risponde comunque del fatto dei suoi ausiliari ( art. 1228 c.c.), restando egli il titolare del rapporto obbligatorio.

IV.2. L’interruzione degli scavi archeologici assumeva una importanza determinante nel programma negoziale, avendo la convenzione ancorato alla loro conclusione il termine contrattuale ultimo per la presentazione del progetto esecutivo. Difatti, il concessionario si era obbligato a redigere il progetto esecutivo, in conformità al progetto definitivo approvato, e a consegnarlo all’Amministrazione "entro 90 giorni dalla sottoscrizione della convenzione e, comunque, se in data successiva, entro 60 giorni dalla ultimazione degli scavi archeologici" (art. 4 convenzione). La fase della progettazione, dopo cinque anni (20042009), non si è mai conclusa.

IV.3. L’art. 8, comma 1, del contratto assegnava al concedente 20 giorni dall’approvazione del progetto per la consegna definitiva dell’area e al concessionario 30 giorni dalla consegna per iniziare i lavori; il comma 5 prevedeva che il completamento dell’opera dovesse avvenire entro 540 giorni dall’inizio dei lavori. La somma dei suddetti termini, era dunque il periodo temporale fissato contrattualmente dalle parti per dare esecuzione alla progettazione ed esecuzione lavori (ovvero a due terzi del programma convenzionale); tali termini sono decorsi inutilmente.

IV.4. Tra gli inadempimenti di particolare rilevanza del Concessionario deve citarsi anche il venir meno del finanziamento dell’opera da realizzare (trattandosi di condizione di rischio integralmente a suo carico). Difatti, l’istituto finanziatore, a seguito dei ritardi accumulati, ha negato la sua proroga e ha dichiarato di non voler subentrare nella concessione (la concedente, con nota in data 24.12.2009, ha chiesto chiarimenti all’Istituto finanziatore invitandolo, nel caso in cui avesse inteso prorogare il finanziamento, a comunicare l’eventuale interesse a designare un nuovo concessionario per subentrare nella concessione, ai sensi dell’art. 37 octies l. n. 109/1994; l’Istituto finanziatore, con nota in data 11.01.2010, ha dichiarato di non aver concesso alcuna proroga del finanziamento e di non voler esercitare la facoltà suddetta).

IV.5. Gli inadempimenti appena passati in rassegna hanno, senza dubbio, carattere definitivo, dal momento che, considerato il lungo periodo di tempo intercorso tra la stipula della convenzione e la sua risoluzione (cinque anni), l’inesecuzione della prestazione è perdurata fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione e alla natura dell’oggetto, l’Amministrazione creditrice non aveva certamente più interesse a conseguirla (1256 c.c.).

V. A questo punto, stante l’inesecuzione delle prestazioni contrattuali dovute dal Concessionario, era onere di quest’ultimo dare la prova della causa non imputabile (cfr. Cass., sez. un., 30 ottobre 2001 n. 13533, secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte, negoziale o legale, del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento). Sennonché il Concessionario convenuto per la risoluzione non solo controdeduce cause impeditive (1218 c.c.), ma anche eccepisce reiterati inadempimenti del Comune, determinanti, a suo dire, ai fini della risoluzione del rapporto concessorio. Risultando, in parte qua, invertiti i ruoli delle parti in lite, questa volta è il debitore eccipiente (il Concessionario) a potersi limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, mentre è onere del creditore agente (il Comune) dimostrare il proprio adempimento.

Orbene, le ragioni giustificative addotte dal Concessionario appaiono del tutto insufficienti ad escluderne la responsabilità, prospettandosi eventi che, nella ripartizione dell’assetto di interessi propria del tipo contrattuale in esame, rappresentavano rischi integralmente a suo carico. Così come appare destituita di fondamento anche la domanda riconvenzionale.

V.1. In primo luogo, non pare possano integrare una causa impeditiva dell’obbligo di esecuzione degli scavi, i riversamenti di acqua nel bacino della Darsena. Nel silenzio del contratto, alla stregua del canone della buona fede ermeneutica (funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento che ciascuna parte deve poter porre nel significato della dichiarazione dell’altra), deve ritenersi che le opere idrauliche, necessarie per garantire l’arresto dei riversamenti di acqua nel bacino interessato dai lavori, costituissero adempimento propedeutico rientrante nel contenuto della prestazione costruttiva, quale aspetto della diligenza e della cura preliminare richiesta nell’esecuzione dell’opus; non a caso, sia il progetto preliminare che quello definitivo del parcheggio erano stati accompagnati da una relazione idrogeologica, idraulica e sismica, redatta dal progettista del concessionario, che avrebbe dovuto anche prevedere le misure necessarie per evitare il riversamento delle acque. A ciò si aggiunge che il predetto riversamento nell’area Darsena (delle acque del fiume Olona e di altri fonti) non era sopravvenienza imprevista, bensì una circostanza ben conosciuta dal Concessionario, quantomeno dall’ottobre del 2003 (difatti, il gestore del servizio idrico integrato della città di Milano, con nota in data 8.10.2003, quindi ancor prima della sottoscrizione della convenzione e quando era ancora in corso la redazione del progetto definitivo, aveva informato la Società della necessità di predisporre "uno sbarramento in prossimità dello sbocco del ramo Darsena e di un adeguato impianto di aggottamento per il trasferimento delle acque al sistema Navigli a valle della tura prevista"). Da ultimo, è dirimente osservare come l’impedimento in questione, al più, avrebbe potuto giustificare un ritardo negli scavi, ma non certo la loro definitiva sospensione (tanto più che l’amministrazione era intervenuta in ausilio del Concessionario per interrompere il flusso d’acqua: cfr. nota Settore Arredo Urbano del 4 ottobre 2005).

Anche l’argomento speso dal Concessionario, secondo cui i predetti scavi furono sospesi nel 2006 a causa della concomitante redazione e approvazione del nuovo progetto e in attesa di una completa formalizzazione e sottoscrizione della convenzione modificata a seguito della delibera del Commissario Albertini, non è affatto condivisibile; la modifica del progetto definitivo non aveva certo avuto l’effetto di elidere l’obbligazione di esecuzione degli scavi che continuava a persistere nel pieno vigore del contratto stipulato nel 2004 (su tale aspetto giuridico si ritornerà nel prosieguo).

V.2. Il Concessionario eccepisce, poi, che il Comune non avrebbe consegnato l’area per l’esecuzione degli scavi archeologici fin dal 29.09.04, come era stato previsto, bensì con quasi un anno di ritardo dovuto al fatto che, in modo del tutto ingiustificato, il Comune non si era mai posto il problema di dove collocare, per tutto il tempo dei lavori, la "Fiera di Senigallia", insistente proprio su una parte dell’area dove doveva essere allestito il cantiere.

Invero, rispetto alla predetta inesecuzione delle prestazioni del Concessionario, alcuna efficienza causale può ricollegarsi a tale circostanza, la quale non ha in alcun modo alterato l’economia del contratto. Difatti, d’intesa con l’Amministrazione, il Concessionario ha eseguito i lavori per lo spostamento della Fiera nell’area dell’ex stazione di Porta Genova, utilizzando l’importo dovuto al Comune, a titolo di contributo previsto nella convenzione (in sostanza, i costi dei lavori di sistemazione del sito furono portati a scomputo del contributo di Euro. 400.000,00 previsto nella convenzione). Inoltre, come sopra specificato, ai fini della imputabilità dell’inadempimento è sufficiente assumere come "dies a quo" la nuova consegna dell’intera area avvenuta nel luglio 2005 (ricapitolando: l’area è stata consegnata dal Comune al Concessionario l’8 giugno 2005 che ha ultimato le opere il 23 luglio 2005 e ha riconsegnato l’area il 27 luglio; lo stesso giorno il Comune ha consegnato l’intera area per la cantierizzazione con effetto novativo anche rispetto alle consegne parziali già avvenute).

V.3. Circa la mancata consegna del progetto esecutivo conforme al progetto definitivo approvato, il Concessionario assume come ciò non possa essergli imputato, in quanto il progetto originario del parcheggio era stato sostituito da un progetto definitivo diverso (anche formalmente approvato dal Commissario Albertini); progetto, in particolare, articolato su tre piani interrati anziché su 2, con modifica della sagoma per preservare l’assito ligneo emerso dagli scavi archeologici. Cosicché, si assume, non vi sarebbe stato un progetto definitivo sulla base del quale avrebbe dovuto essere redatto il progetto esecutivo: tale non potendosi intendere il progetto originario, in quanto superato dal nuovo e diverso progetto approvato dal Commissario Albertini; né quest’ultimo, visto che all’approvazione non era seguita la sottoscrizione dell’atto integrativo della Convenzione.

Tale prospettazione non può essere condivisa.

A seguito del ritrovamento dei reperti archeologici e delle conseguenti prescrizioni della Soprintendenza, la Concessionaria, in luogo di azionare la facoltà di recesso dalla convenzione (art. 10, ultimo comma), contemplata per il caso in cui i ritrovamenti avessero imposto la riduzione dei posti auto e compromesso il risultato economico finanziario dell’opera, ha invece ritenuto di proporre una nuova soluzione progettuale. A questo punto, l’approvazione del nuovo progetto definitivo (ad opera del Commissario Albertini, su proposta conforme del RUP) non ha significato affatto l’estinzione dell’obbligazione contrattuale (di redigere il progetto esecutivo) sorta con la convenzione del 2004, bensì soltanto la parziale novazione del suo oggetto. In particolare, la suddetta proposta del Concessionario e la sua approvazione da parte dell’organo politico e tecnico gestionale (titolare del potere rappresentativo negoziale: direttore del settore e responsabile unico del procedimento), in termini civilistici è valso quale accordo modificativo del precedente contratto (per il quale, si osserva, il codice dei contratti pubblici, art. 11, comma 13, ritiene sufficiente anche la sola scrittura privata); a questa stregua, lo schema di atto modificativo allegato al provvedimento "Albertini" costituiva, al più, ripetizione e formalizzazione di una volontà negoziale già perfezionatasi e vincolante "inter partes". In ogni caso, qualora pure (nella ipotesi non condivisa dal Collegio) si ritenesse l’atto integrativo come costitutivo dell’effetto novativo dell’oggetto contrattuale (lettura che, inopinatamente, sembrerebbe fatta propria anche dalla Amministrazione, nella nota comunale del 16 ottobre 2009), la posizione del Concessionario non muterebbe, restando soltanto a lui imputabile l’interruzione della trattativa per la conclusione del contratto modificativo, non avendo egli sottoscritto lo schema appositamente approvato e sottoposto dall’amministrazione alla sua adesione.

V.4. Si dice ancora che il Comune avrebbe atteso quasi un anno per la nomina di un nuovo Responsabile del procedimento, indispensabile per il seguito della procedura. Osserva il Collegio che, in mancanza di nomina espressa, la responsabilità del procedimento è attribuita ex lege (art. 5 l. n. 241/90) al dirigente dell’unità organizzativa competente; in ogni caso, alla richiesta del concessionario del 12.02.2007, il Comune ha dato riscontro in data 27.03.2007, comunicando il predetto nominativo.

V.5. Denuncia, altresì, il Concessionario che la nuova Amministrazione si sarebbe rifiutata di trasmettere o consegnare al proprio Concessionario copia della citata determina n. 611/06 del Commissario straordinario (di approvazione del lotto I del progetto definitivo presentato in data 28.04.2006) portante la data del 25.5.2006, costringendo la parte interessata ad assumere varie iniziative per la consegna del documento, ottenuta con un ritardo di ben otto mesi. Orbene, il provvedimento commissariale in questione è stato richiesto in data 24.11.2006 ed è stato consegnato in data 22.01.2007; non si vede, dunque, perché successivamente a tale data siano seguiti altri tre anni di inerzia del Concessionario (che anzi, nell’ottobre 2007, presentava l’ennesima proposta di variante progettuale).

V.6. Da ultimo, non è prospettabile alcuna violazione dell’art. 17 della convenzione da parte del Comune, dal momento che l’ente finanziatore (come sopra ricordato) ha dichiarato di non avere concesso alcuna proroga e di non avere interesse a subentrare nella concessione. Sul piano processuale, neppure doveva il giudizio di risoluzione essere esteso all’ente finanziatore, in quanto interessato alla controversia: difatti, il creditore del contraente inadempiente, convenuto in una causa di risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 1453 c.c., non è litisconsorte necessario ( art. 102 c.p.c.).

VI. La questione più delicata, avanzata in via riconvenzionale dal Concessionario, è quella in forza della quale questi imputa all’Amministrazione di non aver dato seguito alla sua istanza di riequilibrio finanziario. Si offre un’estrema sintesi dei fatti. Dagli scavi archeologici, iniziati ad agosto 2005 e interrotti a marzo 2006, erano emerse le antiche mura spagnole e alcuni reperti archeologici. Da qui, era sorta l’esigenza di modificare il progetto approvato per renderlo conforme alle prescrizioni disposte dalla Soprintendenza, alla cui stregua occorreva garantire: la conservazione delle mura spagnole (con conseguente spostamento verso sud del perimetro dell’opera); la conservazione dell’assito ligneo quattrocentesco rinvenuto (con conseguente diversa articolazione del perimetro dell’opera, diretta a circondare, ma non a sovrapporsi all’area di circa 600 mq, ove era stato rinvenuto detto assito ligneo); che il perimetro del parcheggio fosse posizionato lungo lo sviluppo lineare delle mura ottocentesche della Darsena (in guisa tale che lo specchio d’acqua sovrastante, che avrebbe dovuto essere ripristinato, corrispondesse a quello dell’Ottocento).

Sulla base di tali sopravvenute prescrizioni, il Concessionario intendeva giustificare l’elaborazione di svariate proposte (comunicate in data 5.08.2005, 28.04.2006, 6.08.2009, 2.10.2009) contenenti modifiche sostanziali degli elementi della convenzione già stipulata. I ritrovamenti archeologici, si assume, comportavano maggiori oneri (maggiori scavi, maggiore impermeabilizzazione, maggiori fondazioni, ecc.), cosicché, in un’opera di project financing, occorreva individuare risorse ulteriori (e senza oneri per il Comune), rispetto a quelle originariamente preventivate. Le proposte di riequilibrio erano incentrate: sulla realizzazione di un parcheggio diverso da quello originario convenzionato quanto a sagoma e perché disposto su 3 piani interrati anziché su 2 piani (lotto I); sulla costruzione di un limitrofo parcheggio privato (lotto II) con 372 posti auto, da concedere in diritto di superficie per anni 90. Si può dire che, per tutto il tempo (quantomeno dal marzo 2006, data in cui ha sospeso gli scavi archeologici senza mai più completarli), la realizzazione dell’opera pubblica è stata dal Concessionario subordinata all’affidamento della concessione di un altro lotto di parcheggio. Con nota in data 25.11.2008, lo stesso ha chiesto all’Amministrazione di stabilire "un procedimento idoneo a definire le linee di un nuovo equilibrio del rapporto contrattuale, nelle forme di una intesa da raggiungere e consacrare ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 e segg. della L. n. 241/90 sul procedimento amministrativo, sulla base di dati ed elementi tecnici e di fatto obiettivamente riscontrabili". La mancata risposta da parte del Comune, per ben quattro anni, costituirebbe, secondo il Concessionario, inadempimento contrattuale dello stesso.

Orbene, ritiene il Collegio che la pretesa di riequilibrio finanziario, nei termini avanzati dal Concessionario, non fosse sorretta né dal fatto né dal diritto.

VII.1. Occorre opportunamente premettere che l’amministrazione non ha mai assentito la realizzazione del secondo lotto. Difatti, il 3 marzo 2006, la Soprintendenza ai Beni Architettonici esprimeva parere di massima favorevole alla modifica del perimetro di intervento e all’abbassamento di un altro piano; in data 14 marzo 2006, la Direzione Regionale per i Beni e le Attività Culturali della Lombardia esprimeva parere di massima favorevole al lotto 1 del progetto; il 25 maggio 2006, con provvedimento n. 611, il Commissario per l’emergenza del traffico e della mobilità, nella persona del Sindaco di Milano, aveva approvato l’allegata relazione del RUP che proponeva l’approvazione del lotto 1 della variante progettuale presentata il 9 maggio 2006 da P.D. s.p.a. Per contro, la pretesa di ottenere l’affidamento diretto di una nuova concessione di un diritto di superficie per 90 anni, per realizzare un parcheggio per residenti, non ha mai ottenuto il consenso del Comune, ciò almeno stando agli atti ufficiali assunti dagli organi competenti (provvedimenti del Commissario, deliberazioni di Giunta Comunale, atti dirigenziali: cfr. lettere 27.01.2009, 3.08.2009, 22.09.2009, 16.10.2009).

VII.2. Sono, poi, necessarie alcune riflessioni ricostruttive. La disciplina delle varianti in corso di esecuzione costituisce un istituto fondamentale ai fini della ricostruzione della causa dell’appalto (sia pubblico che privato); esso è teso al contemperamento di due opposti interessi: da un lato, la rigorosa applicazione del contratto (a tutela sia dell’interesse del committente a non sopportare spese impreviste, sia dell’appaltatore ad eseguire prestazioni coincidenti con il progetto e adeguatamente remunerate); dall’altro, il necessario adeguamento delle prestazioni agli eventi (anche normativi) sopravvenuti. Se nel codice civile la nozione di variante segna il limite entro cui le modificazioni delle prestazioni rientrano ancora nell’oggetto dell’originario contratto (accanto alla invariabilità che impedisce all’appaltatore di eseguire varianti non concordate, 1659 c.c., si pone il diritto del committente di imporre variazioni al progetto che non superino il sesto del valore del contratto, mentre oltre questo limite l’impresa può rifiutare le varianti richieste e recedere, art. 1660 c.c.), anche nell’appalto di opere pubbliche il c.d. "quinto d’obbligo" costituisce limite al diritto potestativo della p.a. di prevedere varianti in corso di esecuzione, a tutela della libertà contrattuale del privato appaltatore.

Nel settore delle commesse pubbliche, tuttavia, la trama normativa soccorre anche l’ulteriore preoccupazione (estranea al sistema civilistico) che l’accordo di variante, mutando sostanzialmente i termini del contratto originario, possa pregiudicare la parità di trattamento tra le imprese concorrenti chiamate a presentare le migliori offerte in relazione alle condizioni di bando. Numerose norme speciali sono poste proprio a presidio del pericolo di "svalutazione" del procedimento di gara e di eventuali pratiche corruttive (non a caso, le stesse varianti progettuali in sede di offerta, art. 76 del codice di contratti, sono ammesse con molte cautele). Particolarmente sensibile al problema, è proprio la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui, al fine di assicurare la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento degli offerenti, le modifiche sostanziali apportate alle disposizioni essenziali di un contratto di appalto devono ritenersi equivalenti ad una nuova aggiudicazione quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto iniziale e siano, di conseguenza, atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto (Corte giustizia CE grande sezione, 13 aprile 2010, n. 91); in particolare, si dice, la modifica di un contratto di concessione di servizi in corso di validità deve ritenersi "sostanziale" qualora introduca condizioni che, se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito l’ammissione di offerenti diversi rispetto a quelli originariamente ammessi o avrebbero consentito di accettare un’offerta diversa rispetto a quella originariamente accettata (anche la giurisprudenza nazionale avverte che, con lo svolgimento della procedura di evidenza pubblica e con la conseguente cristallizzazione, negli atti di gara, delle condizioni del contratto alla cui conclusione essa risulta preordinata, l’ente perde la disponibilità del contenuto del rapporto contrattuale che resta regolato inderogabilmente alle risultanze della gara e perde correlativamente la capacità di convenire con la controparte condizioni diverse da quelle già esternate e conosciute dai partecipanti al confronto concorrenziale; a questa stregua, è stata dichiarata illegittima la rideterminazione di un elemento essenziale del contratto, ossia del suo oggetto, dopo la chiusura della procedura di evidenza pubblica: cfr. T.A.R. Brescia Lombardia, 12 gennaio 2007 n. 12).

In definitiva, occorre distinguere le varianti (consentite) in corso di esecuzione dalla rinegoziazione (non consentita). A questa stregua, le modifiche dell’opera sono vietate nella misura in cui abbiamo attitudine a mutare in modo significativo il regolamento negoziale conducendo alla realizzazione di opere differenti rispetto a quelle poste a base di gara. Gli atti aggiuntivi sottoscritti dalle parti per l’esecuzione di lavori del tutto diversi da quelli indicati nella convenzione originaria ed in variante ad essi, costituiscono contratti nuovi ed autonomi di cui (sempre che possano considerarsi validi) sarà possibile l’affidamento diretto solo ricorrendo i presupposti stringenti della trattativa privata.

VII.3. Tanto premesso e venendo al caso che ci occupa, il rischio connesso al ritrovamento di reperti archeologici, ben conosciuto dal concessionario (difatti, l’eventualità di modificare il perimetro del parcheggio per la presenza di reperti archeologici era stata prevista sin dallo studio di fattibilità posto a base di gara dove si afferma che la struttura del parcheggio è flessibile ed adattabile in funzione di eventuali presenze archeologiche), avrebbe potuto portare ad una modifica dell’opera affidata soltanto nel rispetto della legge e delle clausole contrattuali.

E’ dirimente osservare come, sulla scorta delle notazioni svolte al punto precedente, la pretesa al riequilibrio avanzata dal Concessionario fosse assolutamente contraria a norma imperativa e come, dunque, l’illiceità dell’oggetto avesse correttamente indotto l’amministrazione (sebbene forse non con la subitanea perentorietà che la questione avrebbe meritato) a non dare corso alla richiesta.

Le varie proposte di modifica del progetto presentate dal Concessionario, lungi dal limitarsi a riequilibrare l’investimento, risultavano dirette a realizzare un’opera diversa da quella aggiudicata e convenzionata, in palese violazione delle regole di concorrenza e di parità di condizioni tra i partecipanti alle gare pubbliche, cui è informato l’intero impianto del codice dei contratti; principi che impongono che l’oggetto del contratto posto a base di gara non possa essere modificato, né tantomeno stravolto dopo l’aggiudicazione, potendo (se del caso) la stazione appaltante solo agire in autotutela procedendo all’annullamento d’ufficio della procedura.

Per di più ne risultava stravolto anche il tipo contrattuale, in quanto, come correttamente lamentato dal Comune, per effetto dell’ottenimento in diritto di superficie dell’affidamento della costruzione di 372 posti auto da vendere a privati, in concessione per 90 anni, l’alea della gestione tipica della finanza di progetto sarebbe stata sostituita da una redditività certa nell’an ed assai più elevata nel quantum.

La conferma dell’assunto appena svolto è offerta anche dalla specifica disciplina della concessione di lavori pubblici. L’art. 143, comma 8, d.lgs. 163/2006 consente (nel caso in cui l’Amministrazione apporti delle variazioni ai presupposti e alle condizioni che hanno determinato l’equilibrio economico finanziario della concessione ovvero qualora norme legislative e regolamentari stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività, che modificano l’equilibrio economico finanziario della concessione) la revisione del P.E.F., da attuare "mediante nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza della concessione". Orbene, tale disposizione, da interpretarsi coerentemente al principio di concorrenza, consente modifiche dei soli termini regolamentari della gestione finanziaria (quali appunto la fissazione di un prezzo ovvero l’allungamento della durata della gestione) senza intaccare le caratteristiche essenziali dell’opus.

Ancora, l’art. 147, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, consente l’affidamento diretto al concessionario dei soli lavori complementari, che siano divenuti necessari a seguito di una circostanza imprevista, quando gli stessi non possano essere tecnicamente o economicamente separati dall’appalto iniziale, o quando i lavori siano strettamente necessari al perfezionamento dell’opera; in ogni caso, l’importo dei lavori complementari non deve superare il 50% dell’importo dell’opera oggetto di concessione. Nel caso in esame, la realizzazione del parcheggio per residenti non è affatto necessaria per il perfezionamento del parcheggio pubblico, ma è un’opera aggiuntiva strutturalmente e funzionalmente autonoma. Al di fuori, pertanto, di tale ambito, non è possibile alcun affidamento diretto.

Ulteriore conferma si trae dall’art. 143, comma 5, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di cedere in proprietà o in diritto di godimento beni immobili nella propria disponibilità, o allo scopo espropriati, a titolo di prezzo, ma soltanto con riguardo a beni la cui utilizzazione sia strumentale o connessa all’opera da affidare in concessione. La norma presuppone che tale tipologia di "prezzo" (rectius, di corrispettivo) sia prevista in sede di gara.

Gli stessi motivi mettono fuori gioco anche l’art. 3.3 della convenzione che richiama l’art. 19, comma 2 bis della L. n. 109/94 (ora art. 143, comma 8, sopra citato).

VII.4. In ogni caso, anche secondo i termini del contratto, i fatti addotti dal concessionario a giustificazione di tali modifiche progettuali e del P.E.F., potevano giustificare una modifica del perimetro del parcheggio pubblico, ma non certo la realizzazione di un parcheggio per residenti in aggiunta al primo, con diversa durata e redditività.

L’art. 10, con riguardo alla possibilità di oneri imprevisti dovuti a ritrovamenti archeologici, prevedeva in favore del concessionario il diritto ad una proroga del termine di ultimazione dei lavori oltre ad una proroga della durata della concessione idonea ad assicurare il riequilibrio economico del rapporto e compensare i maggiori oneri comunque sostenuti. Qualora, poi, i ritrovamenti, per estensione e importanza, avessero imposto una riduzione dei posti oltre il 5%, si prevedeva la rinegoziazione della convenzione fatto salvo anche il diritto di chiedere e conseguire, in sede di intesa, il recupero dei posti auto mancanti mediante estensione del parcheggio sulle aree non interessate dai ritrovamenti archeologici e ciò mediante variante al progetto esecutivo.

Come si vede, la facoltà di rinegoziazione, al più, era limitata alle modifiche necessarie a garantire la realizzazione del numero di parcheggi preventivato; condizione quest’ultima assicurata già dall’aggiunta di un terzo piano del parcheggio pubblico (che, in conformità alle prescrizioni della Soprintendenza per la tutela dei reperti archeologici, manteneva al Concessionario il numero di posti auto a rotazione, 713, previsto nel progetto originario).

VII.5. In estremo subordine, quantunque non fosse esistito il divieto di legge, si osserva che il Concessionario, pur adducendo la sussistenza di maggiori costi di costruzione del parcheggio pubblico, non ne aveva mai fornito idonea giustificazione e documentazione.

In primo luogo, il fatto che la proposta di realizzare il parcheggio per residenti risalga al 5.08.2005, prima dell’inizio degli scavi archeologici, porterebbe ad escludere, già sul piano della buona fede, che essa fosse sorta per la sopravvenuta necessità di recuperare i maggiori costi di costruzione del parcheggio pubblico dovuti ai ritrovamenti archeologici; a quella data (5 agosto 2005), infatti, non era intervenuta alcuna prescrizione della Soprintendenza (difatti, le prescrizioni sono intervenute soltanto il 14 marzo 2006: doc. 17 all. amministrazione).

Inoltre, ai predetti fini, non sarebbe stato sufficiente il P.E.F. asseverato (doc. 25 – all. amministrazione), presentato in data 9 maggio 2006 (circostanza che, tuttavia, l’amministrazione assume non risultare in nessun atto del procedimento e sicuramente non approvato), dal momento che esso avrebbe dovuto enunciare analiticamente i maggiori costi sopravvenuti per la realizzazione del parcheggio pubblico e la necessità di recuperare tali maggiori costi mediante modifiche progettuali; diversamente, quello in questione si limitava a rappresentare esclusivamente la fattibilità economico finanziaria del parcheggio per residenti (lotto II), quale iniziativa esplicitamente definita "indipendente" rispetto al parcheggio pubblico (lotto I).

VII.6. Per completezza, si osserva che neppure è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 10 bis della legge 241/90, per non aver eccepito preventivamente le ragioni di rifiuto di detta approvazione, non trattandosi di procedimento amministrativo.

VII.7. Da quanto riferito discende l’infondatezza dell’inadempimento ascritto al Comune per non aver disposto il riequilibrio economico finanziario. Pur dovendosi riconoscere che, a tratti, è probabilmente mancato da parte della stessa Amministrazione un adeguato e coerente impulso alla realizzazione dell’opera (si pensi che, in data 27 marzo 2007, sebbene non a firma del RUP, il Comune di Milano rassicurava che "per l’eventuale sottoscrizione dell’Atto integrativo si chiede di attendere l’atto di approvazione della quota residenziale, che dovrebbe avvenire quanto prima, nel rispetto del Provvedimento del Commissario del 25.5.2006, in tal caso verrà approvato un atto integrativo che, oltre a prevedere la nuova conformazione del parcheggio, comprenderà anche la quota residenziale"), il comportamento del concessionario, nel condizionare l’adempimento delle proprie obbligazioni ad una proposta di riequilibrio economico finanziario manifestamente contro la lettera della legge e del contratto, si è posto in aperto contrasto con i principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto; principi che onerano il debitore, pur in presenza di difficoltà sopravvenute, al compimento di tutte le attività necessarie affinché possa essere realizzato il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio.

VIII. Sussistono, senza dubbio, gli estremi del grave inadempimento tale da determinare la risoluzione del rapporto convenzionale ai sensi dell’art. 1453 c.c. La mancata conclusione dopo 4 anni dei lavori, ovvero il doppio del termine stimato sufficiente per la progettazione e la realizzazione dell’opera, concreta un inadempimento di non scarsa importanza, ciò avuto riguardo: al superamento di ogni ragionevole limite di tolleranza in relazione all’oggetto e alla natura del contratto; alla totale incisione dell’economia complessiva del rapporto; al pregiudizio effettivamente causato all’intera cittadinanza; all’atteggiamento colpevole ed ingiustificato dell’appaltatore.

IX. Veniamo ora al risarcimento del danno. Della inesecuzione delle prestazioni e della sua imputabilità a colpa del concessionario abbiamo già ampiamente detto sopra.

Quanto al danno risarcibile, il Collegio ritiene fondata la domanda di condanna della società resistente al risarcimento del pregiudizio consistente nelle spese sopportate ai fini del ripristino dell’area demaniale nelle condizioni antecedenti alla sua consegna al Concessionario. Si tratta, in particolare, degli interventi necessari per la conservazione dei reperti archeologi rinvenuti, alla rimozione del materiale abbandonato, alla riqualificazione dell’area mediante interventi di ripristino della pavimentazione dei parapetti e della recinzione, alla sistemazione del verde e dell’impianto di irrigazione, alla posa di arredi, all’installazione dell’impianto di illuminazione, alla posa di tubazioni per il deflusso delle acque. Costi che, ove il contratto avesse avuto fisiologica esecuzione, sarebbero rimasti a carico del Concessionario.

A riprova dei danni sofferti rileva la lettera della Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia del 7.06.2010, in cui si indicano gli interventi necessari per la conservazione dei reperti archeologi rinvenuti, che il concessionario non ha mai eseguito (consistenti nello sfalcio della vegetazione, sostituzione dell’impianto di irrorazione della struttura lignea, chiusura e reinterro, previa protezione con rete non metallica, delle antiche sponde).

Quanto alla quantificazione, risulta che l’Amministrazione ha già sopportato i seguenti oneri: Euro 150.754,03, per interventi di pulizia e ripristino; Euro 311.517,61, per interventi di riqualificazione; per un totale di Euro 462.271,64. Tale documentazione non è stata oggetto di specifica contestazione.

IX.1. Le eccezioni sollevate dal Concessionario in punto di danno risarcibile sono infondate.

Questi deteneva la Darsena nel proprio interesse, con il relativo obbligo di custodia ( art. 1177 c.c.); non ha, pertanto, fondamento la difesa secondo cui sarebbe impensabile che lo stesso Comune, in qualità di proprietario dell’area, abbia potuto permettere che l’asserito "abbandono" si protraesse per quasi cinque anni.

Irrilevante, per gli stessi motivi, è anche la notazione della difficile gestione dell’area in questione per la sua ubicazione, limitrofa ad una zona di mercato rionale e posta nel cuore della vita notturna milanese.

Sotto altro profilo, avendo l’amministrazione riacquistato il possesso dell’area il 30 aprile 2010, si lamenta che, per sostenere che il concessionario ha omesso la custodia, si sarebbero dovute allegare circostanze e fatti non successivi alla riconsegna, ma inerenti gli anni 2004/2010; a tale deduzione, è sufficiente replicare che quelli imputati sono costi (derivanti dalla eliminazione dei rifiuti abbandonati, dello sfalcio dell’erba, della deratizzazione e della disinfestazione, di reinterro dei reperti) che non sarebbero stati sopportati dall’Amministrazione, ove il contratto fosse giunto ad esecuzione nei termini concordati.

IX.2. Nell’atto introduttivo, il Comune si riservava di indicare le ulteriori spese che sarebbero state sostenute in corso di causa e necessarie per ridurre la Darsena in pristino stato. Nel prosieguo del giudizio, l’Amministrazione, sul presupposto di non aver potuto restituire alla Darsena l’assetto originario (perché le sponde sono state distrutte o gravemente danneggiate e non consentono di reimmettere l’acqua senza provocare ulteriori danni, nonché occorrendo opere di consolidamento dei fondali e delle sponde ed idrauliche), ha chiesto la condanna del Concessionario al pagamento delle ulteriori spese stimate necessarie per consentire la reimmissione dell’acqua nel bacino, che ammontano a Euro 1.940.000,00.

Sennonché, tale richiesta è supportata solamente da una valutazione delle spese da affrontare (cfr. nota di M.M. S.p.A. del 22.03.2011, doc. n. 87), senza alcuna allegazione (prima ancora della prova) circa la imputabilità di tali danni al Concessionario. Il mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova del danno comporta, secondo la regola di giudizio contemplata dall’articolo 2967 c.c. (ora analogamente l’art. 63 c.p.a.), irrimediabilmente il rigetto della domanda in parte qua.

IX.3. La risoluzione del contratto, essendo esclusivamente imputabile al Concessionario, comporta il rigetto della domanda con cui questi chiedeva di condannare comunque il Comune di Milano al pagamento di tutti i costi (per un totale di Euro 6.693.117,55) sopportati dal concessionario nel corso del rapporto contrattuale. L’art. 17 della Convenzione (tramite il rinvio all’art. 16, comma 1, lett. a), del resto, si riferisce al solo rimborso del valore delle opere realizzate che, nella specie, fanno completamente difetto.

IX.4. Dal deposito della presente sentenza (che rappresenta il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta), sulla somma totale riconosciuta all’amministrazione a titolo di risarcimento danni sono dovuti gli interessi legali fino all’effettivo soddisfo. Non spetta alcuna rivalutazione, poiché la liquidazione è stata effettuata sulla base dei costi quantificati all’attualità.

X. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso principale e RESPINGE il ricorso incidentale e tutte le domande ivi formulate. Per l’effetto:

– DICHIARA la risoluzione della convenzione stipulata in data 23.09.2004 per grave inadempimento del concessionario P.D. SPA;

– DICHIARA l’estinzione del diritto di superficie costituito sulla parte dell’area demaniale così indicata nella convenzione stessa e nella nota di trascrizione: area individuata nel N.C.T. del Comune di Milano, nel foglio 474 ai mappali: 269, 275, 277, 295 parte, 300 parte, 328, 321, 322, 323, 324, 325 parte, 326, 336, 351, 373 parte, 374, 375 parte, 377 parte, 379 parte;

– ORDINA al Conservatore dei R.R.II. di provvedere alla cancellazione del diritto di superficie come sopra costituito e trascritto;

– CONDANNA P.D. S.P.A., a titolo di risarcimento del danno, al pagamento di Euro 462.271,64, oltre accessori stabiliti nei termini di cui in motivazione;

– CONDANNA P.D. SPA al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Milano che si liquida in Euro 10.560,00, oltre IVA e CPA come per legge;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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