Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-02-2012, n. 1435 Assicurazioni sociali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 20.4.07 la Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame interposto dall’INPS contro la pronuncia con cui il Tribunale di Velletri aveva dichiarato non dovuti i contributi iscritti a ruolo e indicati nella cartella esattoriale opposta dalla SECOM Soc. Coop. a r.l..

Statuivano i giudici del merito che non risultava provato il presupposto del credito contributivo vantato dall’istituto previdenziale, vale a dire la presenza nella provincia di (OMISSIS), di due sedi secondarie della cooperativa opponente, con conseguente esclusione dell’applicabilità – nella specie – del D.P.R. n. 602 del 1970.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’INPS affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la SECOM Soc. Coop. a r.l., che ha poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1- Con il primo mezzo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha negato che la SECOM Soc. Coop. a r.l. abbia ammesso di aver avuto due cantieri in provincia di (OMISSIS), con conseguente applicabilità, ai fini della contribuzione previdenziale dovuta, dell’imponibile previsto ai sensi del decreto ministeriale di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602, art. 4, per la provincia di Latina, anzichè l’inferiore imponibile previsto per la provincia di (OMISSIS) (ove ha sede – in (OMISSIS) – detta cooperativa); al contrario – prosegue l’istituto ricorrente – tale ammissione è da ravvisarsi a pag. 8 del ricorso in opposizione a cartella esattoriale presentato dalla società, laddove la cooperativa ha dichiarato di "svolgere attività di facchinaggio consistente nella movimentazione merci e, per tutto quel che riguarda l’accertamento ispettivo in questione, nei cantieri che erano ubicati in (OMISSIS)".

Il motivo è inammissibile perchè, essendo stato formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis, vista la data di deposito dell’impugnata sentenza), si sarebbe dovuto concludere, per costante giurisprudenza di questa S.C., con un momento di sintesi del fatto controverso e decisivo, per circoscriverne puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 1. 10.07 n. 20603; Cass. Sez. 3^ 25.2.08 n. 4719; Cass. Sez. 3^ 30.12.09 n. 27680).

Ad analoga conclusione si perverrebbe anche a voler intendere la censura come sostanziale denuncia di errar in procedendo (come pure si legge nel corpo del motivo), difettando anche la formulazione del relativo quesito.

2- Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602, art. 4, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’applicabilità della norma in questione subordinata all’accertamento dell’esistenza di sedi secondarie o stabilimenti, laddove – invece – a tal fine basta il diverso luogo in cui i soci lavoratori della cooperativa sono chiamati a svolgere la propria attività, prescindendosi dalla circostanza che ivi la cooperativa abbia la propria sede legale o sedi secondarie; tale interpretazione – conclude l’istituto ricorrente – oltre che conforme alla giurisprudenza di questa S.C., è rispettosa della ratio legis, che è quella di assicurare pari trattamento contributivo ai lavoratori operanti nel medesimo territorio e a prevenire forme di alterazione della concorrenza da parte di cooperative che, avendo la sede legale in province diverse da quelle in cui lavorano i propri soci, potrebbero permettersi di offrire prezzi più bassi sul mercato.

Il motivo è infondato.

Come già questa Corte Suprema ha avuto modo di precisare, i decreti del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale emessi ai sensi del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602 e in attuazione dell’art. 35 del T.U. approvato con D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, nel determinare ai fini contributivi il salario medio e il periodo di occupazione media mensile convenzionale per i soci delle cooperative e nel prevedere al riguardo eventuali agevolazioni, trovano applicazione esclusivamente con riferimento ai soci operanti nella provincia di riferimento: ciò si desume dal continuo richiamo – operato nelle disposizioni indicate – alle attività e non ai domicili o alle sedi dei soggetti tenuti all’obbligo contributivo (art. 1, art. 4, comma 2, elenco allegato D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602; D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 33; D.M. 18 giugno 1988, artt. 18 e 25; ecc.).

In tal modo si attua un sistema previdenziale improntato al principio della territorialità, consistente nell’assoggettamento alla normativa previdenziale secondo il luogo in cui i destinatari dell’obbligo contributivo svolgono la propria attività.

Ne discende che a predetti fini contributivi non rileva la provincia ove ha sede la singola cooperativa, ma quella della zona ove essa svolge in modo prevalente la propria attività (cfr., ex aliis, Cass. 28.2.06 n. 4421 ; Cass. 28.6.2004 n. 11979).

D’altronde, come evidenziato dalla summenzionata giurisprudenza e sostenuto dall’istituto ricorrente, tale interpretazione è conforme alla ratto delle norme di tutela della cooperazione, che avrebbero effetti distorsivi della concorrenza se le cooperative aventi sede nelle province beneficiane di disposizioni maggiormente favorevoli potessero giovarsene per i servizi resi nel restante territorio nazionale.

Nondimeno, nel caso di specie neppure l’istituto ricorrente ha allegato lo svolgimento, a (OMISSIS), di attività pr e valente da parte della SECOM, limitandosi a sostenere – ma ciò non è conforme alla summenzionata giurisprudenza – che vi erano state eseguite prestazioni lavorative da parte di alcuni soci lavoratori della cooperativa.

In conclusione, se è vero che non è dirimente – ai fini che ne occupa – il luogo della sede legale o di eventuali sedi secondarie (in tal senso si corregge, ex art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione dell’impugnata sentenza), nondimeno è irrilevante quello in cui soci lavoratori abbiano svolto attività che non risulti essere stata prevalente nell’ambito dell’operatività generale della cooperativa.

3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *