Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 23-09-2011, n. 34703

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto in data 4.5.2010 la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava l’appello proposto da L.G.C.M. avverso il decreto del Tribunale di Reggio Calabria in data 20.4.2007, con il quale era stata applicata al predetto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni tre, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, e disposta la confisca:

dell’impresa individuale avente ad oggetto la rivendita di giornali e riviste; di quote societarie relative alla Ecpgomma s.r.l.;

dell’autovettura Mercedes E 270 CDI tg. (OMISSIS) e dell’autovettura Smart tg. (OMISSIS); del deposito a risparmio nominativo acceso il 26.4.2005 presso il Monte dei Paschi di Siena per l’importo di Euro 30.000,00.

L.G.C.M. era stato condannato dal GUP del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza in data 31.10.2006, per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., quale appartenente a un’associazione di tipo mafioso operante nel locale di S. Giovannello, collegata alla cosca dei De Stefano – Tegano.

Successivamente al menzionato decreto del Tribunale, era intervenuta sentenza del giudice di secondo grado che aveva assolto L.G. dal predetto delitto ascrittogli. La Corte di appello riteneva che l’assoluzione di L.G. dal delitto di cui all’art. 416-bis c.p. non determinasse l’automatico venir meno degli indizi di pericolosità sociale ritenuti sussistenti da parte del Tribunale, stante l’assoluta autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale, tanto più che l’assoluzione era stata in gran parte determinata dalla ritenuta inutilizzabilità per ragioni procedurali delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia F. A. ed era stata pronunciata ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, mantenendo fermi alcuni elementi di considerevole valore sintomatico ai fini del giudizio di prevenzione. In particolare, il giudizio di pericolosità sociale restava ampiamente giustificato da elementi desumibili dalla stessa sentenza di assoluzione, quali le dichiarazioni del collaboratore Fr., il quale aveva confermato le dichiarazioni rese dal collaboratore F. riguardanti i Lo Giudice; il controllo eseguito da forze dell’ordine in data 26.9.2003, durante il quale il predetto era stato sorpreso insieme ad altre due persone con due contenitori di materiale infiammabile che, per come erano stati predisposti, facevano ritenere che i tre stessero preparando un attentato; il contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate; le frequentazioni dell’imputato con appartenenti alla criminalità organizzata. Ai suddetti elementi, a giudizio della Corte di appello, si dovevano aggiungere le dichiarazioni del collaboratore F.A., utilizzabili nel giudizio di prevenzione, che aveva indicato i Lo Giudice di S. Giovannello quali soggetti interni al sodalizio capeggiato dall’ A., e gli esiti dei numerosi controlli di Polizia, menzionati nella sentenza del GUP del Tribunale di Reggio Calabria, ai quali era stato sottoposto anche L.G.C. M.. La Corte di appello confermava anche la misura patrimoniale, in quanto nella formazione dei redditi di L.G. G.M. potevano essere presi in considerazione solo i redditi di comprovata provenienza lecita ed inoltre nessuna prova era stata fornita in ordine alla presunta riconducibilità al predetto dell’attività dell’azienda di servizio taxi intestata al padre.

Peraltro, gli emolumenti versati da Trenitalia sul conto corrente del prevenuto, relativi ad un servizio sostitutivo di corse svolto dalla ditta L.G.F., risultavano pressochè integralmente girati all’effettivo titolare, a riprova che dette somme non erano nella disponibilità di L.G.C.M..

Con riguardo ai redditi della moglie, R.A., la Corte di appello escludeva che gli stessi potessero essere stati destinati, anche solo In parte, all’acquisto dei beni confiscati, in quanto i redditi antecedenti al matrimonio risultavano utilizzati in un’operazione immobiliare e quelli successivi erano necessariamente serviti per la sussistenza del nucleo familiare, poichè lo stipendio del marito risultava assorbito dal pagamento di ben due mutui, con rate mensili per uno di Euro 536,55 e per l’altro di Euro 249,00.

Non vi era alcuna prova che l’auto data in permuta all’atto dell’acquisto della Mercedes fosse stata a suo tempo acquistata con denaro di cui fosse nota la provenienza.

Il ricorso continuo al credito era la prova che L.G. non aveva alcuna capacità di risparmio, e quindi gli investimenti compiuti in beni sottoposti prima a sequestro e poi a confisca risultavano ingiustificati in base ai redditi leciti percepiti dal nucleo familiare del predetto.

Avverso il decreto della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di L.G.C.M., deducendo quale motivo unico la nullità del decreto, del quale ha chiesto l’annullamento, per violazione di legge.

La Corte non aveva tenuto conto che il ricorrente era soggetto incensurato, dedito ad onesta attività lavorativa, e che il procedimento di prevenzione aveva avuto inizio solo perchè il predetto era stato indagato per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, delitto dal quale però era stato assolto dalla Corte di appello di Reggio Calabria.

I collaboratori di giustizia nulla di specifico avevano dichiarato a carico di L.g.C.M..

Una corretta lettura dell’episodio in data 26.9.2002 avrebbe consentito di escludere che i due contenitori di benzina fossero destinati al compimento di un attentato, perchè era invece risultato che le tre persone controllate stavano andando in soccorso del padre del prevenuto, la cui auto era rimasta a secco di benzina.

La Corte distrettuale era pervenuta ad un giudizio di pericolosità qualificata sulla base di mere ipotesi, con la conseguenza che la sottoposizione alla sorveglianza speciale risultava priva di una reale motivazione.

Senza fondamento la Corte aveva anche ritenuto che vi fosse sproporzione tra il valore dei beni confiscati e i redditi di L. G.C.M. e che questi beni fossero quindi stati acquisiti con i proventi di attività illecite.

Lo Giudice aveva documentalmente provato la lecita provenienza dei mezzi finanziari utilizzati sia per acquistare l’auto Mercedes sia per costituire un deposito a risparmio di 30.000 Euro presso il Monte dei Paschi di Siena.

In merito alla costituzione di detto deposito, vi era una assoluta mancanza di motivazione nel decreto impugnato, che sul punto neppure aveva richiamato la motivazione del decreto del Tribunale.

L’edicola era stata acquistata in epoca lontana nel tempo (nell’anno 2.000), in un periodo in cui L.G. non era neppure sospettato di essere inserito in ambienti di criminalità organizzata. La Corte di appello non aveva tenuto conto delle buone condizioni economiche della moglie di L.G. nè aveva considerato che il predetto aveva la disponibilità di somme derivanti dall’attività di tassista svolta dal padre, L.G.F., somme che venivano versate sul conto corrente del prevenuto.

Motivi della decisione

La L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma penultimo – applicabile anche nei casi di pericolosità qualificata di cui alla L. n. 575 del 1965 per il richiamo contenuto nell’art. 3-ter secondo comma di questa legge – ammette il ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello solo per violazione di legge, e quindi il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione non può estendersi al controllo dell’iter giustificativo della decisione, a meno che la motivazione sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente (V. Corte Costituzionale, 5.11.2004 n. 321; Cass. Sez. 1 sent. N. 544 del 21.1.1999, Rv. 212946; Cass. Sez. 2 sent. n. 703 del 3.2.2000, Rv. 215556; Cass. Sez. 6 sent. n. 35044 dell’8.3.2007, Rv.

237277; Cass. Sez. 5 sent. n. 19598 dell’8.4.2010, Rv. 247514).

Il ricorrente ha fondatamente denunciato con il ricorso in esame che nel decreto impugnato non era in alcun modo motivata la confisca del deposito a risparmio nominativo acceso il 26.4.2005 presso il Monte dei Paschi di Siena per l’importo di trentamila Euro, ma con tutte le altre doglianze ha sostanzialmente contestato la motivazione del provvedimento impugnato, sostenendo una diversa ricostruzione del fatti da quella operata dal giudice a quo, senza individuare alcuna violazione di legge se non una insussistente assoluta carenza della motivazione.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il procedimento di prevenzione è del tutto autonomo rispetto al procedimento penale, e quindi, l’assoluzione dal delitto di cui all’art. 416-bis c.p. non comporta l’automatica esclusione della pericolosità del proposto.

Correttamente, quindi, la Corte di appello ha fondato il giudizio di pericolosità di L.G. su alcuni elementi che erano stati presi in esame nel processo penale, ritenuti però insufficienti per l’affermazione della responsabilità in ordine al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, e su altri elementi non utilizzabili nel processo penale ma che invece potevano essere presi in considerazione nel procedimento di prevenzione.

Tra i primi vi è l’episodio in data 26.9.2002, ritenuto dalla Corte distrettuale come preparatorio di un tipico attentato mafioso con una motivazione logica che non è sindacabile in questa sede; tra quelli non potuti utilizzare nel processo penale vi sono le complessive dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, criticate inutilmente dal ricorrente essendo il provvedimento impugnato adeguatamente motivato.

Con riguardo alla misura patrimoniale, la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3 stabilisce, per quanto rileva nel presente processo, che la confisca deve essere disposta per due categorie di beni: quelli di cui la persona nei cui confronti è stato instaurato il procedimento abbia la titolarità o la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività, e quelli che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Il ricorrente non contesta che il L.G. fosse l’effettivo proprietario dei beni sequestrati, ma sostiene che detti beni sarebbero stati acquistati in modo lecito in epoca non sospetta e che non vi sia alcuna sproporzione tra il valore degli stessi e i redditi di cui lecitamente disponeva il proposto.

Con riguardo all’epoca dell’acquisizione dei beni, in materia di misure di prevenzione antimafia – secondo la giurisprudenza di questa Corte – sono sequestrabili e confiscabili anche i beni acquisiti dal proposto in epoca antecedente a quella a cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, quando essi risultino sproporzionati al reddito e non ne sia provata la legittima provenienza (V. Sez. 1 sent. n. 39798 del 20.10.2010, Rv. 249012).

La Corte distrettuale ha congruamente motivato la sproporzione tra il valore dei beni posseduti e i redditi a disposizione del L. G., precisando le ragioni per le quali, tra questi, non potevano essere considerati gli emolumenti versati da Trenitalia sul conto corrente del prevenuto nè potevano essere calcolati i redditi della moglie, necessariamente utilizzati per la sussistenza del nucleo familiare.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con esclusione del punto riguardante la confisca del menzionato deposito a risparmio nominativo, poichè in effetti non vi è alcuna motivazione nel provvedimento impugnato sulle ragioni della confisca di detto deposito che il ricorrente sostiene essere stato costituito con un prestito ricevuto dalla banca, prestito rimborsato con uno dei mutui gravanti sullo stipendio del prevenuto dei quali vi è traccia nel provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato limitatamente alla confisca del deposito a risparmio nominativo n. 19652 01 acceso presso il Monte dei Paschi di Siena e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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