Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-02-2012, n. 1434 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 13.11.06 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da P.A., titolare dell’omonima ditta individuale, contro la sentenza con cui il Tribunale capitolino ne aveva respinto la domanda di accertamento negativo del credito vantato nei suoi confronti dall’INPS per contributi non versati in relazione al dipendente F. P..

Statuivano i giudici del merito che tale domanda – attraverso la quale il P. lamentava un ingiustificato arricchimento ai propri danni e a favore dell’INPS – era preclusa da precedente giudicato formatosi tra le medesime parti.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il P. affidandosi ad un unico motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso l’INPS.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di doglianza si lamenta omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia laddove la Corte territoriale non ha considerato che il giudicato – formatosi a seguito del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo a suo tempo proposta dall’odierno ricorrente – era viziato dall’essere stato notificato il decreto ingiuntivo al P. anzichè alla Costruedil S.r.l. (il cui legale rappresentante era P. L.), società alle cui dipendenze avrebbe lavorato il F. nel periodo in cui si era verificata l’omissione contributiva.

Il motivo è infondato laddove, in sostanza, deduce non un vizio di motivazione (che può attenere soltanto a vizi della motivazione in fatto e non di quella di diritto, noto essendo che quest’ultima può sempre essere corretta o meglio esplicitata art. 384 c.p.c., u.c., senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire), bensì uno di violazione di norme di diritto.

Sotto quest’ultimo profilo, poi, risulta addirittura improponibile.

Invero, il ricorrente confonde il vizio di notifica (per violazione dell’art. 137 c.p.c., e segg.) con quello di difetto di titolarità del rapporto giuridico sottostante alla pretesa oggetto di lite, che invece – ove mai esistente – sarebbe comunque coperto dal giudicato medesimo, senza possibilità alcuna di essere rimesso in discussione in nuovo ed autonomo giudizio; infatti, contro il giudicato può esperirsi soltanto l’impugnazione straordinaria in via di revocazione ex art. 395 c.p.c., non essendo ammessa nel nostro ordinamento autonoma azione di cognizione meramente finalizzata ad accertare od interpretare il giudicato (cfr., ad es., Cass. 8.6.2005 n. 12013;

Cass. n. 5339/2000) o, peggio, a farne dichiarare una pretesa erroneità (come nel caso di specie).

Ne consegue l’improponibilità di tale profilo di censura (cfr. Cass. 13.12.79 n. 6499).

In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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