Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 23-09-2011, n. 34624 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.M. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il tribunale di Trento, accogliendo l’appello del pubblico ministero, disponeva l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui all’art. 572; art. 609 bis, commi 1 e 2, n. 1 anche in relazione all’art. 609 octies, comma 2; artt. 582, 585 e 612 bis c.p..

Il procedimento trae origine dalla querela sporta da B.B., moglie dell’imputato, in data 3.2.2011 in relazione a fatti commessi sin dal (OMISSIS). La originaria richiesta di emissione della misura cautelare era stata rigettata dal gip sul presupposto dell’esistenza di una sentenza di patteggiamento del 26.3.09 per i reati di cui agli artt. 572 e 609 bis per fatti narrati nella querela commessi fino all'(OMISSIS) e che nei fatti già giudicati di maltrattamento fosse compresa la totalità delle pregresse condotte di penale rilevanza in pregiudizio della moglie; che il S. ha espiato la pena dal 17 giugno 2009 al 13 gennaio 2011; che per i fatti commessi quando il S. stesso era in carcere difettavano gli indizi in ordine alla giuridica configurabilità degli atti persecutori e che per i fatti successivi alla scarcerazione del 13 gennaio non sussistevano le esigenze cautelari. Aggiungeva che il S. aveva espiato la pena nel carcere dal 17 giugno 2009 al 13 gennaio 2011 e che si tratterebbe di un uomo malato, psichicamente disturbato, rigido nelle sue ossessioni e che più appropriata appare l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva di tipo psichiatrico.

Nell’accogliere l’appello del PM, il tribunale faceva rilevare come solo i fatti commessi sino al (OMISSIS) potevano ritenersi ricompresi tra quelli di maltrattamenti per i quali era intervenuta la sentenza di patteggiamento; che successivamente alla sentenza del 26.3.09 vi erano stati altri fatti contestati dal PM sia di violenza sessuale per il (OMISSIS), sia sussumibili sotto le fattispecie degli artt. 582, 585 e 612 bis cod. pen., questi ultimi in parte certamente successivi anche alla scarcerazione, come documentato tra l’altro dal certificato medico del (OMISSIS) e dalle annotazioni di polizia giudiziaria del (OMISSIS); che era stata disposta consulenza psichiatrica successiva all’episodio del (OMISSIS) in cui si era riscontrato il rifiuto di qualunque proposta di collaborazione e che la minaccia di farsi male veniva utilizzata dall’indagato per pretendere attenzione della moglie; che B. B. aveva ottenuto dal tribunale civile un ordine di protezione ex art. 342 bis – ter del codice civile ma che l’ordine, a causa dei comportamenti del marito che minacciava gesti di autolesionismo, era rimasto ineseguito. Aggiungeva anche il tribunale che l’unica consulenza psichiatrica agli atti, quella del (OMISSIS), concludeva con la diagnosi che l’indagato è affetto da disturbi comportamentali reattivi e che lui e la moglie erano stati semplicemente invitati al servizio di psicologia per una terapia di coppia senza ulteriori prescrizioni. Rilevava inoltre che nulla in atti deponeva per l’incapacità di intendere è di volere del soggetto; che in ordine alle esigenze cautelari appariva evidente il pericolo di reiterazione dei reati e che l’unica misura proporzionata appariva quella della custodia cautelare in carcere, tanto più che la misura dell’allontanamento dalla casa familiare alla quale pure era stato sottoposto il S. nel (OMISSIS), era stata revocata a causa della violazione delle prescrizioni e che proprio in tale periodo l’indagato aveva preteso con la forza a rapporti sessuali dalla donna. Infine riteneva sussistere, altresì, il pericolo di inquinamento probatorio. Nei motivi di ricorso S.M. deduce:

1) errata applicazione di legge nella ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al contestato il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis;

2) assenza, contraddittorietà della motivazione in ordine alla necessità dell’applicazione della custodia cautelare in carcere, anzichè di misure meno afflittive; errata applicazione di legge nella valutazione del presupposto cautelare del pericolo di reiterazione del reato;

3) errata applicazione di legge nella valutazione del presupposto cautelare del pericolo di inquinamento probatorio.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Con il primo motivo il ricorrente ha sostenuto che i reati ipotizzabili dopo il 17 giugno 2009 sono solo quelli di cui agli artt. 582, 585 e 612 bis c.p. e che solo in ordine al contestato delitto di atti persecutori, è prevista la possibilità di applicazione della misura cautelare.

Si fa rilevare inoltre che anche tale reato, in assenza di prove di condotte minacciose in danno della moglie durante la detenzione sarebbe comunque ipotizzabile solo dopo la scarcerazione avvenuta il 13 gennaio 2011 in quanto non vi è prova di atteggiamenti persecutori in quel periodo ai quali si fa peraltro rilevare che la moglie avrebbe potuto comunque sottrarsi e che, residuerebbero, pertanto, solo due episodi che non possono essere definiti come atti persecutori tenuto anche conto del fatto che sarebbe stata la moglie a non volersi allontanare dal marito temendo atti dia autolesionismo da parte di quest’ultimo.

Al riguardo occorre tuttavia premettere che l’inesistenza di atti di violenza sessuale successivi alla sentenza di patteggiamento è meramente assertiva avendo lo stesso gip ritenuto ricompresi nel patteggiamento solo i fatti commessi sino all'(OMISSIS) e non essendo stato contestato per contro sul piano argomentativo quanto affermato in premessa dal tribunale e, cioè, che nella querela si faccia riferimento ad episodi relativi al periodo (OMISSIS) e, quindi, anche successivi all'(OMISSIS).

Vero è invece che, successivamente al (OMISSIS) è il reato di cui all’art. 612 bis ad assumere valenza centrale e che su di esso si sviluppano essenzialmente le motivazioni del tribunale soprattutto per quanto concerne il carattere recidivante della condotta e, conseguentemente, sotto il profilo delle esigenze cautelari.

In relazione a tale fattispecie va tuttavia ribadito, rispetto alle considerazioni del ricorrente, che il delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. – è un reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Sez. 5, n. 34015 del 22/06/2010 Rv.

248412).

Ciò posto si deve rilevare che le considerazioni sviluppate dal ricorrente sul punto attengono piuttosto al merito della valutazione sostanzialmente ponendosi in discussione la verosimiglianza delle dichiarazioni della vittima e la capacità offensiva degli atteggiamenti posti in essere dall’indagato – anche quando era detenuto.

Ribadito in questa sede che in tema di misure cautelari personali, le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, ancorchè costituita parte civile, possono integrare i gravi indizi necessari per l’applicazione della custodia cautelare in carcere – nella specie in ordine al delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen.) – senza necessità di riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione di attendibilità estrinseca (Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010 Rv.

247883), si deve rilevare come la motivazione correttamente e logicamente valorizzi una serie di elementi in precedenza indicati in chiave di riscontro alle dichiarazioni della p.o., citando al riguardo, tra l’altro, anche le annotazioni di PG e la certificazione medica, per affermare la condotta prevaricatrice dell’indagato.

Anche sulle esigenze cautelari vi è adeguata motivazione tenuto conto del carattere continuato e recidivante della condotta dell’indagato per il quale in precedenza, come detto, si sono rivelati infruttuosi altre misure di cautela.

Appare, infine, correttamente indicato anche il pericolo di inquinamento probatorio in ragione della influenzabilità della vittima.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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