Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-02-2012, n. 1427 Assicurazioni sociali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 19.10.2000 avanti al Tribunale di Bologna, P.L., premesso di essere socia accomandataria di una società in accomandita semplice esercente attività agricola, convenne in giudizio l’Inps per sentir dichiarare l’illegittimità della cancellazione del proprio nominativo dagli elenchi degli imprenditori agricoli a titolo principale (ed IATP) operata dall’Istituto e per sentirlo condannare alla reintegra e, comunque, all’inserimento del suo nominativo nei predetti elenchi, nell’affermato presupposto che la gestione in forma collettiva dell’attività agricola non sarebbe stata ostativa al riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale del singolo socio.

Costituitosi in giudizio, l’Istituto resistette alla domanda, precisando di non aver mai disposto la cancellazione della P. dagli elenchi nominativi degli IATP, avendone invece negato l’iscrizione a seguito della domanda presentata dalla medesima, quale rappresentante della società in accomandita semplice.

Il Giudice adito accolse la domanda, condannando l’Inps all’iscrizione della ricorrente negli elenchi anzidetti. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza in data 23.1 – 31.5. 2007, accogliendo il gravame proposto dall’Inps, rigettò la domanda osservando, a fondamento del decisum, quanto segue: – doveva ritenersi chiarito e incontroverso che la P. non era mai stata iscritta nell’elenco IATP e che la domanda era quindi volta alla prima iscrizione in tale elenco;

– per quanto di rilievo in causa, doveva farsi riferimento alle norme di cui alla L. n. 153 del 1975, artt. 11 e 13, invocate ratione temporis, non potendosi utilizzare le disposizioni sopravvenute all’instaurarsi del contenzioso e contenenti condizioni di applicazione che non avevano formato oggetto di confronto processuale;

– in base al tenore della L. n. 153 del 1975, art. 13, doveva escludersi il diritto all’iscrizione per il socio accomandatario, non potendo attribuirsi alla norma, in via interpretativa, una portata più ampia di quella letteralmente espressa;

– nè a diverse conclusioni poteva giungersi in forza delle disposizioni comunitarie e delle decisioni della Corte di Giustizia CE, atteso che quest’ultima aveva espressamente statuito (Corte giustizia CE, sez. 6^, 11.1.2001, n. 403) l’impossibilità di far valere davanti al giudice nazionale l’art. 2, n. 5, u.c. regolamento del Consiglio n. 797/85 e art. 5, n. 5, u.c. regolamento del Consiglio n. 2328/91 al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorchè il legislatore dello Stato membro non ha adottato le misure necessarie per a loro esecuzione nell’ordinamento interno;

– doveva essere esclusa la portata retroattiva della disciplina normativa sopravvenuta che aveva esteso la qualifica in esame anche alle società di persone.

Avverso fa suddetta sentenza della Corte territoriale, P. L. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

L’Inps ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 153 del 1975, artt. 12 e 13, nonchè vizio di motivazione, deducendo che il riferimento contenuto nella disposizione predetta alle associazioni di imprenditori giustificherebbe la sua applicazione anche alle società di persone, in linea con la decretazione ministeriale e con le disposizioni regionali emanate al riguardo. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 153 del 1975, artt. 12 e 13, della direttiva comunitaria n. 72/159 e del regolamento CEE n. 797/85, nonchè vizio di motivazione, deducendo la prevalenza della normativa comunitaria su quella dei singoli Stati membri e richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (in particolare la decisione n. 162/92) al fine di poter ricomprendere nel novero dei soggetti di cui alla L. n. 153 del 1975, art. 13, anche le società a base personale.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 10, nonchè vizio di motivazione, assumendo il carattere interpretativo e, perciò, retroattivo, della norma anzidetta.

Con il quarto motivo, deducendo violazione di plurime norme di diritto (L. n. 233 del 1990, art. 13; artt. 35 e 38 Cost.; art. 2060 c.c.), nonchè vizio di motivazione, la ricorrente assume che l’attività lavorativa dell’IATP deve ricevere eguale tutela previdenziale, sia che il lavoro sia svolto in forma individuale, sia che ciò avvenga in una organizzazione societaria a base personale.

3. La disamina del terzo motivo è logicamente prioritaria.

Il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 10, sotto la rubrica "Attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale", al comma 1 prevede che "Alla L. 9 maggio 1975, n. 153, art. 12, è aggiunto, in fine, il seguente comma: Le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, ed inoltre: a) nello caso di società di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale. Per le società in accomandita semplice la percentuale si riferisce ai soci accomandatari; b) nel caso di società cooperative (…); c) nel caso di società di capitali (…); Omissis".

Il dato testuale non contiene alcun espresso riferimento all’eventuale carattere interpretativo ovvero, comunque, retroattivo della norma, che, anzi, esplicitamente viene "aggiunta" alla normativa previgente; nè la contemplazione delle specifiche condizioni a cui il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale è subordinato, a seconda della tipologia societaria, consente di ritenere che il dettato legislativo risponda ad un’eventuale interpretazione già resa plausibile alla stregua delle precedenti disposizioni in materia.

Deve quindi escludersi la retroattività della suddetta normativa (cfr, altresì, in tal senso, Cass., nn. 10226/2003; 17934/2007) e, con ciò stesso, la fondatezza del motivo all’esame.

4. La Corte di Giustizia CE, ancorchè con espresso riferimento alle società di capitali, ha dapprima indicato che "…nella misura in cui conferisce agli Stati membri il compito di definire la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, l’art. 2, n. 5, del citato regolamento n. 797/85, non consente di escludere da detta nozione le società di capitali per il solo motivo della loro forma giuridica" (cfr. Corte Giustizia CE, n. 162 del 15/10/1992, punto 17). Con successiva pronuncia ha tuttavia precisato che: "26 Si deve rilevare al riguardo che, se, in conseguenza della natura stessa dei regolamenti e della loro funzione nel sistema delle fonti del diritto comunitario, le disposizioni dei detti regolamenti, producono, in genere, effetti immediati negli ordinamenti giuridici nazionali, senza che le autorità nazionali debbano adottare misure di attuazione, talune loro disposizioni possono tuttavia richiedere, per la loro applicazione, l’adozione di misure di esecuzione da parte degli Stati membri.

"27 Ciò si verifica nel caso dell’art. 2, n. 5, u.c., del regolamento n, 797/85 e art. 5, n. 5, u.c., del regolamento n. 2328/91, i quali prevedono che, per le persone diverse da quelle fisiche, gli Stati membri definiscono la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale tenendo conto dei criteri usati per le persone fisiche.

"28 Infatti, considerato il margine di valutazione di cui dispongono gli Stati membri per l’applicazione di tali disposizioni, non si può ritenere che i privati possano far valere diritti sulla base di tali disposizioni in assenza di misure di esecuzione adottate dagli Stati membri.

"29 Da quanto precede risulta che l’art. 2, n. 5, u.c. del regolamento n. 797/85 e art. 5, n. 5, u.c., del regolamento n. 2328/91 non possono essere invocati davanti a un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorchè il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno" (cfr., Corte Giustizia CE, n. 403 del 11/01/2001).

Ne consegue che lo status di imprenditore agricolo a titolo principale, anche alla luce del diritto comunitario, può essere invocato davanti ad un giudice nazionale solo in quanto – e nella misura in cui – il legislatore dello Stato abbia adottato, nel proprio ordinamento giuridico, le necessarie misure esecutive.

Deve quindi escludersi la possibilità di disapplicare, in parte qua, le disposizioni legislative nazionali rilevanti, ratione temporis, nella presente controversia o, comunque, di attribuire alla legislazione nazionale una portata diversa da quella evincibile in base agli ordinari criteri ermeneutici.

Con il che anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

5. A mente della L. n. 153 del 1975, art. 12, comma 1, "Si considera a titolo principale l’imprenditore che dedichi alla attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall’attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale".

Il successivo art. 13, comma 1, prevede poi che "Possono beneficiare delle provvidenze previste dal presente titolo, oltre alle persone fisiche: le cooperative agricole, costituite ai sensi della legislazione sulla cooperazione; le associazioni di imprenditori agricoli che presentino un piano comune di sviluppo per la ristrutturazione e l’ammodernamento aziendale o interaziendale anche per la conduzione in comune delle aziende, semprechè i soci ritraggano dalla attività aziendale ed associata almeno il 50 per cento del proprio reddito ed impieghino nella attività aziendale ed in quella associata almeno il 50 per cento del proprio tempo di lavoro". Richiamando quanto già rilevato in ordine al carattere innovativo delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 10, deve convenirsi che le suddette disposizioni di legge riservano la qualifica di IATP alle persone fisiche, estendendo peraltro le provvidenze alle cooperative agricole e, nella ricorrenza degli indicati presupposti, alle associazioni di imprenditori agricoli.

Atteso che nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, merce l’esame complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma così come inequivocabilmente espressa dal legislatore (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3359/1975; 5128/2001; 12136/2011), non può ritenersi che le norme sopra indicate e, in particolare, l’art. 13, comma 1, cit., attribuiscano anche alle società commerciali, ancorchè di persone, le provvidenze previste dalla legge, stante l’inequivoca differenza (giuridica e lessicale) esistente tra le stesse e le "associazioni di imprenditori agricoli" contemplate dalla norma, nè, a fortiori, che tali società commerciali possano ottenere, in persona dei loro soci, l’iscrizione agli elenchi degli IATP. Nè a diverse conclusioni può condurre la decretazione ministeriale in data 12 settembre 1985 (Disposizioni recanti criteri e modalità di ordine generale per l’applicazione del regolamento CEE n. 797/85 del Consiglio in data 12 marzo 1985 relativo al miglioramento dell’efficienza delle strutture agrarie) che, all’art. 2, comma 2, prevede espressamente che "il requisito di imprenditore agricolo a titolo principale e quello relativo alla capacità professionale di cui all’art. 2, paragrafo 1, lett. a) e b), del regolamento sono accertati sulla base delle disposizioni legislative regionali, emanate in applicazione della direttiva n. 72/159/CEE. In mancanza, si applicano alla L. 9 maggio 1975, n. 153, artt. 12 e 13".

La ricorrente non ha infatti invocato la violazione o falsa applicazione di norme legislative emanate al riguardo dalla Regione Emilia Romagna, limitandosi a richiamare nello svolgimento del motivo una non meglio precisata "Delib. Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna 30 luglio 1992" (di cui peraltro, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, neppure ha ivi riportato il contenuto), con il che resta confermato che la fonte regolatrice della questione all’esame resta la già esaminata disciplina nazionale.

Anche il primo motivo di ricorso non può quindi trovare accoglimento.

6. Parimenti infondato è anche il quarto motivo, stante l’assorbente rilievo che le lamentate differenze di tutela previdenziale si fondano sul possesso della qualifica di IATP, ossia su un presupposto che, in base alla normativa applicabile ratione temporis e alla stregua delle considerazioni che precedono, non può essere riconosciuto ai soci di società di persone.

7. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delie spese, che liquida in Euro 50,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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