Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 13-10-2011, n. 677 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al T.A.R. Palermo, il sig. Bi.Da. impugnava la determina dirigenziale n. 28 del 20/1/2010, con la quale il Comune di Lampedusa, sulla scorta di un accertamento di Polizia Municipale risalente al 13 giugno 2007, aveva ingiunto la demolizione parziale di un compendio immobiliare sito in contrada (…) Creta, in quanto alcune opere edilizie sarebbero state realizzate in assenza di permesso di costruire.

In particolare, l’Amministrazione rilevava:

– l’abusivo cambio di destinazione d’uso di un manufatto esistente, da box a civile abitazione, con conseguente realizzazione di due finestre e un portone in legno a variazione dei prospetti originari;

– il rialzo di una parte del muro di recinzione esistente, al fine di adagiarvi un lato della veranda;

– la realizzazione di una veranda di circa 19 mq. avente struttura portante in travi di legno, sovrastante tavolato e copertura a coppi, poggiata al muro sopra descritto e ad un pilastro in muratura;

– realizzazione di un vano, adibito a cucinino.

In ordine a tali opere, il ricorrente sosteneva la loro non assoggettabilità a regime concessorio e la loro risalente vetustà.

Il Comune non si costituiva.

Con sentenza n. 7028/10, resa in forma semplificata, il T.A.R. adito rigettava il ricorso.

Con l’appello in epigrafe l’odierno ricorrente ha impugnato la predetta sentenza per i seguenti motivi:

1) "Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 – Difetto di istruttoria e di motivazione".

Le opere oggetto di contestazione sarebbero state costruite in epoca risalente, ossia nella seconda metà degli anni novanta.

Dai rilievi aero-fotogrammetrici (risalenti al 1994) si evincerebbe che "i fabbricati per cui è controversia risultano perfettamente corrispondenti, in termini di sagoma e di ingombro, all’attuale rappresentazione fotografica aerea satellitare".

L’ordinanza impugnata sarebbe illegittima per palese violazione dell’art. 3 L. n. 241/90, risultando priva di ogni motivazione in relazione ad eventuali ragioni di pubblico interesse che, a distanza di oltre 15 anni di illegittima omessa vigilanza sul territorio da parte del Comune, possano eventualmente imporre il grave provvedimento adottato.

La sentenza appellata sarebbe, altresì, erronea laddove ha stabilito che il ricorso era "palesemente infondato", si da consentirne la definizione con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205/2000, posto che dalla relativa motivazione si evincerebbero dubbi in ordine al convincimento del Collegio su alcuni aspetti della vicenda. Infatti, dalla stessa si legge: "in mancanza di qualsivoglia elemento, che non sia il mero contenuto del ricorso, non è (stato) in grado di stabilire né la circostanza oggettiva della preesistenza dei manufatti né, tantomeno, la data della loro edificazione, al fine di valutare la fondatezza della asserita violazione del legittimo affidamento e del vizio di istruttoria e motivazione prospettati dal ricorrente".

Elementi che, a parere del ricorrente, il Giudice di prime cure avrebbe potuto acquisire mediante l’uso di poteri istruttori;

2) "Eccesso di potere per arbitrio e difetto di istruttoria – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L.R. n. 37/85 in combinato disposto con l’art. 10 della L. n. 47/1985 (oggi art. 37 del D.P.R. n. 380/2001). Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 della L.R. n. 37/85".

Avuto riguardo alla natura ed all’entità delle opere in contestazione, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche perché viene sanzionata con la demolizione la realizzazione di opere che esulano dal regime concessorio.

In particolare:

a) "sulla presunta variazione di destinazione d’uso di un manufatto esistente da originario box a civile abitazione";

ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 10 della L.R. n. 37/85 e 10 della L. n. 47/85, la variazione di destinazione d’uso è intervento assoggettato a mera autorizzazione; pertanto, l’abuso potrebbe condurre all’applicazione di una sanzione pecuniaria e non già alla sanzione demolitoria.

Conseguentemente, posto che la sanzione della riduzione in pristino sarebbe comunque illegittima, nella fattispecie verrebbe in considerazione un mutamento d’uso giuridicamente irrilevante, che non può dar luogo nemmeno all’applicazione di sanzione pecuniaria. Il ricorrente afferma, inoltre, che, trattandosi di variazione di destinazione d’uso riguardante un "box", ossia un locale di pertinenza dell’edificio principale, nel caso di specie sarebbe applicabile l’art. 18 della L.R. n. 4/2003 che, in deroga alle norme vigenti, consente "il recupero volumetrico a solo scopo residenziale (…) delle pertinenze, (…)";

b) sul presunto "rialzo di una parte del muro di recinzione esistente in pietra locale, avente una lunghezza di mt. 4,90 ed un’altezza media di cm. 66"; al riguardo sarebbe illegittima la sanzione demolitoria, posto che anche l’intervento in questione esula dal regime concessorio, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 5 L.R. n. 37/85 e 10 L. n. 47/85;

c) sulla presunta realizzazione di una "veranda di complessivi mq. 18,57, avente un’altezza media di mt. 2,55 circa e struttura portante in travi di legno, soprastante tavolato, carta catramata e coppi siciliani";

si tratta di una tettoia aperta su due lati e come tale non idonea a creare aumenti di volume e/o superficie utile. Anche in questo caso l’opera sarebbe esclusa dal regime concessorio, in quanto di natura pertinenziale.

Nel caso di specie, essa è posta al servizio del fabbricato con vincolo di accessorietà ed evidente collegamento funzionale e, pertanto, essa abbisogna di una semplice autorizzazione, in mancanza della quale sarebbe passibile unicamente di una sanzione pecuniaria;

d) sulla presunta realizzazione di un "vano di complessivi mq. 4,34, altezza mt. 2,30, realizzato in muratura, ricavato dalla chiusura di una parte della veranda esistente ed adibito a cucinino";

si tratta di un vano aperto su un lato e perciò inidoneo a creare nuovi volumi, rientrante nella nozione di pertinenza urbanistica, come tale non assoggettabile a concessione ma a semplice autorizzazione.

Parte appellante, infine, con riferimento ai superiori rilievi di cui sopra alle lettere b), c) e d), rilevato che nel provvedimento impugnato in prime cure non è stata contestata l’abusiva realizzazione del "box", bensì la relativa variazione di destinazione d’uso, e che, pertanto, detto "box" va considerato legittimamente realizzato, ha osservato che l’oggetto del contendere riguarda la sanzione da applicarsi per la realizzazione di una veranda antistante e di un piccolo manufatto aperto da un lato (mq. 4) destinato a cucinino, in relazione al quale, tra l’altro, il Giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che esso sia stato ricavato sotto la tettoia appena costruita mentre, in realtà, esso è stato realizzato sotto una tettoia preesistente e regolarmente assentita.

Sarebbero, pertanto, errate le conclusioni cui è pervenuto il Giudice di prime cure laddove ha ritenuto di valutare l’intervento edilizio nel suo complesso, mentre, nella fattispecie, verrebbero in considerazione singoli manufatti, ciascuno dei quali avrebbe autonome caratteristiche di accessorietà e pertinenzialità.

In ordine alla veranda, premesso che una tettoia di 19 mq. sarebbe da considerare di dimensioni ridotte, assimilabile al regime delle pertinenze, per le quali valgono i rilievi sopra formulati con riferimento alle superiori lettere b), c) e d), l’appellante sostiene che essa, non essendo idonea a creare aumenti di volume o di superficie utile, non possa essere sanzionata con la demolizione.

Il ricorrente ha, conclusivamente, chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, previa sospensione della stessa, con vittoria di spese.

Con ordinanza n. 264/11 di questo C.G.A., l’istanza cautelare è stata respinta. Alla pubblica udienza del 30 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

Il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine alle sue asserzioni circa la vetustà delle opere in argomento.

Non può condividersi, pertanto, l’asserita violazione di cui all’art. 3 L. n. 241/90, risultando priva di consistenza l’obiezione di parte ricorrente secondo cui l’impugnato provvedimento di demolizione sarebbe illegittimo per difetto di motivazione in quanto non sussisterebbero le ragioni di pubblico interesse che hanno indotto il Comune di Lampedusa a provvedere a distanza di oltre 15 anni di illegittima omessa vigilanza sul territorio. Di contro, risulta, invece, che il Comune ha emesso il provvedimento in data 25/3/2010 a seguito del verbale con cui la Polizia Municipale, il 13 giugno 2007, aveva rilevato l’abuso.

Privo di consistenza risulta, altresì, il rilievo dell’appellante, secondo cui il Giudice di prime cure avrebbe definito la controversia in argomento con sentenza succintamente motivata, ritenendo il ricorso "palesemente infondato", pur in assenza dei prescritti presupposti, posto che dalla relativa motivazione si evincerebbero dubbi in ordine al convincimento del Collegio su alcuni aspetti della vicenda.

I "dubbi" palesati dal T.A.R. scaturiscono, invero, dal fatto che l’appellante non è stato in grado di dimostrare "né la circostanza oggettiva della preesistenza dei manufatti né, tantomeno, la data della loro edificazione, al fine di valutare la fondatezza della asserita violazione del legittimo affidamento e del vizio di istruttoria e motivazione prospettati dal ricorrente".

Concludendo sul punto, non può che essere respinta l’istanza dell’appellante volta ad ottenere che sia questo Collegio a dimostrare, mediante l’uso di poteri istruttori, la vetustà dell’abuso, invero solo labialmente sostenuta dallo stesso.

In merito al motivo di cui sopra al punto 2), lett. a), del "fatto", il ricorrente afferma che "trattandosi di variazione di destinazione d’uso riguardante un "box", ossia un locale di pertinenza dell’edificio principale, nel caso di specie sarebbe applicabile l’art. 18 della L.R. n. 4/2003 che, in deroga alle norme vigenti, consente "il recupero volumetrico a solo scopo residenziale (…) delle pertinenze".

Orbene, a parere del Collegio, dalla superiore affermazione emerge l’equivoco di fondo che caratterizza l’odierna controversia.

Non esiste un edificio principale di cui il box costituisca una pertinenza.

Il Collegio reputa, comunque, che sia utile richiamare qui di seguito le norme di interesse ai fini della risoluzione del contenzioso in argomento.

Le disposizioni di cui all’art. 10 della L.R. n. 37/85, in combinato disposto con l’art. 10 della L. n. 47/1985 (oggi art. 37 del D.P.R. n. 380/2001), sopra richiamate dal ricorrente, secondo cui la variazione di destinazione d’uso è intervento assoggettato a mera autorizzazione, stabiliscono che:

– "In sede di formazione degli strumenti urbanistici generali devono essere previsti i casi in cui è consentita la variazione d’uso degli immobili (…);

– la variazione della destinazione d’uso, ove consentita, è autorizzata dal sindaco (…)".

Orbene, al fine di stabilire quando è consentita la variazione di destinazione d’uso, si richiamano le seguenti norme.

L’art. 18 della L.R. n. 4/2003, invocato dal ricorrente, presuppone in ogni sua parte l’esistenza di un edificio regolarmente realizzato.

Esso dispone, infatti, che: "La Regione promuove il recupero ai fini abitativi (…) delle pertinenze, (…) degli edifici esistenti e regolarmente realizzati alla data di approvazione della presente legge (…)".

Il secondo comma della norma testé richiamata stabilisce, inoltre, che: "Negli edifici destinati in tutto o in parte a residenza è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale (…) delle pertinenze esistenti, fatta eccezione delle pertinenze relative ai parcheggi di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765, come integrato e modificato dall’articolo 31 della L.R. 26 maggio 1973, n. 21 (…)".

L’art. 18 L. n. 765/67, mediante il quale all’art. 41 della legge n. 1150/1942 è stato aggiunto l’art. 41 sexies, stabilisce che: "Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi (…)".

Inoltre, l’art. 40 della L.R. n. 19/72 ha ulteriormente prescritto: "L’obbligo di dotare gli edifici accessibili dalle vie carrabili di parcheggi, ai sensi dell’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, è stabilito all’atto del rilascio della licenza di costruzione con una dichiarazione di vincolo permanente delle aree o locali destinati allo scopo (…)".

Dal quadro normativo sopra delineato si evince, senza alcun dubbio, che:

– nella proprietà del ricorrente non esiste alcun edificio di cui il box possa essere considerato pertinenza;

– il box è permanentemente vincolato a parcheggio e, quindi, non può avere altra destinazione.

Con riferimento ai rilievi di cui sopra al punto 2), lettere b), c) e d) del "fatto", il Collegio osserva che, indubbiamente, col provvedimento comunale impugnato in primo grado non viene contestata la legittima realizzazione del box, bensì la relativa variazione di destinazione d’uso, e tuttavia non può convenire sulla ulteriore deduzione dell’appellante, secondo cui l’oggetto del contendere riguarderebbe, quindi, soltanto la sanzione da applicarsi per la realizzazione di una veranda antistante e di un piccolo manufatto aperto da un lato (mq. 4), destinato a cucinino.

Infatti, non può essere consentita, visto il quadro normativo sopra esposto, la realizzazione di pertinenze in funzione di un’altra pertinenza, tra l’altro soggetta a vincolo permanente come parcheggio, in assenza dell’edificio principale.

In definitiva, deve concludersi per la legittimità del provvedimento comunale impugnato, con il quale è stata ingiunta la demolizione parziale delle opere abusive.

Conclusivamente, per i motivi suddetti, l’appello va respinto.

Il Collegio ritiene che ogni altro motivo od eccezione possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Nulla si dispone per le spese di giudizio, non essendosi costituito il Comune intimato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Nulla spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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