Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Messaggero s.p.a. impugnava le sentenze non definitiva e definitiva, con cui il Tribunale di Frosinone dichiarò che il rapporto di lavoro intrattenuto con lo I., iscritto all’albo dei pubblicisti, dal 21 gennaio 1988 al 31 marzo 1998, era un rapporto di lavoro subordinato giornalistico, con diritto di quest’ultimo al trattamento economico spettante al redattore ordinario, condannando la società al pagamento delle conseguenti differenze retributive, quantificate in complessivi Euro 308.524,36, oltre accessori.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 2 luglio 2009, respingeva il gravame della società editrice.
Riteneva la corte che dalle testimonianze escusse risultava provato lo stabile inserimento dello I. presso la redazione di (OMISSIS), ove si recava quotidianamente con l’osservanza di un orario di lavoro, assicurando la copertura giornalistica della cronaca nera; respingeva la riproposta eccezione di prescrizione e confermava la pronuncia del Tribunale.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Il Messaggero, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste lo I. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia una insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e della connessa manifestazione di una volontà novativa rispetto al rapporto di collaborazione autonoma ed occasionale inizialmente instaurata.
Lamenta che lo I. era dipendente della Provincia di (OMISSIS); che in tale contesto venne instaurato un rapporto di collaborazione autonoma, come evincevasi dalla forma dei compensi in parte formalmente versati alla moglie, ancorchè all’insaputa della società; che una più attenta valutazione delle risultanze istruttorie avrebbe dovuto indurre la corte territoriale a ritenere insussistente la subordinazione di cui non erano emerso gli indici rivelatori.
Il motivo è inammissibile per sottoporre alla Corte un riesame dei fatti di causa.
Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non equivale infatti alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500).
Inoltre è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata (Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Nella specie la corte capitolina ha congruamente e logicamente motivato che, prevalendo l’effettivo atteggiarsi del rapporto rispetto alla iniziale qualificazione formale, dalle prove raccolte era emerso lo stabile inserimento dello I. nella redazione di (OMISSIS), ove operava quotidianamente e con il rispetto di un orario di lavoro, assicurando la copertura giornalistica della cronaca nera, circostanza nota all’editore, essendo i suoi articoli pubblicati regolarmente sulla cronaca locale e nazionale del giornale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e cioè il riconoscimento allo I. della qualifica di redattore ordinario e la conseguente attribuzione allo stesso del corrispondente trattamento economico previsto dal c.c.n.l.g..
Lamenta la società editrice che la corte territoriale non aveva adeguatamente valutato l’inserimento dello I. nella redazione di (OMISSIS), la realizzazione di servizi riguardanti particolari avvenimenti, la partecipazione all’attività organizzativa, di programmazione e formazione del prodotto finale, essendo irrilevante il numero di articoli pubblicati.
Lamenta ancora la contraddittorietà della sentenza impugnata laddove da una parte aveva accertato la maggiore affidabilità dei giornalisti professionisti all’interno della redazione, e d’altro canto aveva parimenti riconosciuto allo I. il trattamento economico collettivo spettante al redattore ordinario.
Si duole inoltre che il rapporto di lavoro giornalistico con chi non risulta iscritto all’albo dei giornalisti professionisti deve intendersi nullo, con diritto del lavoratore, ex art. 2126 c.c., unicamente ad una equa retribuzione ex art. 36 Cost., senza possibilità di applicazione integrale del trattamento economico previsto dal c.c.n.l..
Mentre le prime due censure risultano inammissibili per sottoporre al giudice di legittimità un riesame delle circostanze di causa e delle risultanze istruttorie attraverso un diretto apprezzamento delle stesse da parte della Corte di Cassazione, l’ultima censura risulta fondata.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, "per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti" (Cass. 22 novembre 2010 n. 23638; Cass. 1 luglio 2004 n. 12095). Ne consegue che "il contratto giornalistico concluso con il redattore – intendendosi per tale il giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, la cui attività è caratterizzata dall’autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse – che non sia iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, a norma dell’art. 2126 c.c., detta nullità non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, periodo in relazione al quale il redattore ha diritto, ex art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice del merito" (ex plurimis, Cass. 22 novembre 2010 n. 23638; Cass. 10 marzo 2004 n. 4941).
Tali principi vanno qui riaffermati ex art. 384 c.p.c., e tanto basta per accogliere in parte qua il secondo motivo e cassare con rinvio l’impugnata sentenza.
3. Con il terzo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 2948 c.c. per avere la corte territoriale escluso la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto, pur lavorando lo I. per una impresa avente più di quindici dipendenti, il cui rapporto lavorativo era dunque assistito dalla stabilità reale, che peraltro derivava anche dalla circostanza che lo I. era anche dipendente dall’amministrazione provinciale di (OMISSIS).
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte affermato che la decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica di "metus" del lavoratore e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto (ex plurimis, Cass. 13 dicembre 2004 n. 23227; Cass. 23 agosto 2007 n. 17935; Cass. 19 gennaio 2011 n. 1147).
Proprio con riferimento all’attività giornalistica da parte di soggetto iscritto nell’elenco dei pubblicisti, comportante la nullità del contratto e il riconoscimento della prestazione di fatto, questa Corte ha affermato che, ai sensi dell’art. 2948 cod. civ., n. 4 (nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale), la prescrizione quinquennale resta sospesa durante l’esecuzione del rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità, e che nelle ipotesi di prestazioni di fatto con violazione di legge – incompatibili con il licenziamento, ma comportanti la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione – è radicalmente esclusa la situazione di stabilità, sicchè i relativi crediti, spettanti "ex" art. 2126 cod. civ., restano sospesi durante il rapporto (Cass. 12 novembre 2007 n. 23472).
Per tali ragioni deve anche escludersi il rilievo dell’esistenza di altro rapporto di lavoro stabile intrattenuto con altro datore di lavoro.
4. In conclusione deve accogliersi il secondo motivo di ricorso inerente la quantificazione del credito dello I., la sentenza impugnata conseguentemente cassarsi in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà ai principi di cui sopra.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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