Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 23-09-2011, n. 34618

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che con ordinanza del 21 aprile 2010, il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, ha rigettato il ricorso presentato da M.M., S.F.P., A. C., U.R., B.T. ed altri, diretti alla restituzione dei suoli ed immobili, siti in c.da (OMISSIS), "Villaggio degli Ulivi", già confiscati e devoluti all’amministrazione comunale di Ostuni, a seguito di sentenza del pretore di Ostuni del 20 aprile 2001;

che i predetti hanno proposto, tramite i loro difensori, ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi: ricorrenti M.M. e S., F.P.:

1. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in quanto i ricorrenti sono rimasti estranei al processo penale, nè l’immobile di proprietà è stato sottoposto a sequestro preventivo, per cui la confisca è stata disposta in violazione del principio del contraddittorio, senza consentire la difesa; infatti laddove fosse emersa la malafede, gli stessi avrebbero dovuto partecipare quali imputati al processo penale, invece si trovano a rispondere per fatto altrui in violazione dell’art. 27 Cost.;

2. Vizio di motivazione in relazione alle risultanze degli elaborati peritali. Dal supplemento di perizia disposto dal giudice dell’esecuzione sarebbe emerso che le particelle catastali di proprietà dei ricorrenti sono estranee rispetto alla planimetria dell’area oggetto di sequestro indicata nel provvedimento del G.I.P. in data 14 luglio 1998, area alla quale va estesa la confisca, ma l’ordinanza impugnata non ha motivato sufficientemente sul punto;

3. Violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e vizio di motivazione in ordine al requisito della buona fede. Recentemente la Corte di cassazione, a seguito della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha modificato il proprio orientamento (sin da sentenza n. 42178 del 2009 e altre) affermando che deve almeno essere ravvisabile una condotta colposa in capo al terzo acquirente perchè possa essere eseguita la confisca in caso di lottizzazione abusiva. Il G.E. non ha indicato nessun elemento dal quale emerga che le condotte di ciascuno dei ricorrenti possano essere suscettibili di rimprovero, ma ha semplicemente presunto la mancanza di buona fede. Deve invece essere considerato errato l’orientamento che assegna al terzo l’onere di fornire la prova della buona fede, trattandosi di probatio diabolica e contraria al principio "in dubio pro reo", anche perchè nel diritto penale tale requisito è sconosciuto. In realtà era immediatamente evidenziabile dalle prospettazioni difensive la condizione di ignoranza incolpevole della M. e del S. circa la destinazione urbanistica degli immobili acquistati, risultando di contro provato l’inganno dei venditori circa la legittimità urbanistica dei beni acquistati. L’ordinanza impugnata non cita espressamente nè la posizione della M., nè quella del S., pur esaminando le posizioni di quelli che avevano prodotto i contratti di acquisto. ricorrente A.C.:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 192 e 526 c.p.p., difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale di Ostuni si è discostato dalla regola probatoria di cui all’art. 192 c.p.p., in quanto non ha esaminato la documentazione prodotta dal ricorrente, per cui non ha motivato sugli elementi di prova offerti che dimostrano la buona fede dell’ A. nell’acquisto del bene e la sua estraneità ai reati. Nè il giudice ha reso palese sulla base di quale elementi avrebbe ritenuto negligente ed imprudente la condotta del ricorrente, atteso che l’immobile acquistato era stato sanato dal Comune di Ostuni con il rilascio della concessione in sanatoria n. 2174/95. 2. Violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, degli artt. 1148 e 2697 c.c. e difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione ( art. 606 c.p.p., lett. b) ed e). il giudice dell’esecuzione avrebbe escluso la buona fede del ricorrente seguendo un ragionamento non condivisibile e facendo improprio richiamo all’onere della prova ex art. 2697 c.c.. Inoltre, il richiamo alla giurisprudenza in materia di contrabbando non pare calzante, non conciliandosi con la disposizione espressamente prevista per la materia dalla L. n. 47 del 1985, art. 40. Quindi poichè in base a tale norma non tutti gli acquisti di beni immobili edificati in difetto di concessione edilizia sono illeciti, è chi sostiene l’illegittimità dell’acquisto che ha l’onere di provare l’elemento soggettivo della malafede dell’acquirente. La giurisprudenza della Cassazione, adeguandosi alla sentenza della Corte di Strasburgo (come è necessario a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale, da ultimo la n. 239 del 2009, ha affermato la necessità di accertare profili di colpa per poter procedere alla confisca. Il ricorrente è invece rimasto estraneo al reato e non è stato parte nel procedimento penale, nè elementi di prova della sua condotta colpevole risulterebbero acquisiti nel procedimento di esecuzione, per cui l’affermazione del Tribunale, che egli avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza la natura illegale del bene, anche perchè a conoscenza che l’immobile era irregolare e suscettibile di sanatoria, risulta apodittica. Infatti non sussiste l’obbligo di trascrizione del sequestro preventivo, per cui il controllo che deve essere svolto dall’acquirente, ed è stato compiuto, si deve ritenere satisfattivo del dovere di diligenza. Anzi il tenore della concessione in sanatoria, che faceva riferimento agli strumenti urbanistici in vigore è dimostrativo della assoluta buona fede del ricorrente.

I ricorrenti U.R. e B.T.:

1. Violazione di legge, in quanto il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che incombesse alle ricorrenti, rimaste estranee al processo penale all’esito del quale è stata disposta la confisca, l’onere di dimostrare la loro buona fede, richiamando erroneamente la fattispecie di contrabbando, quando invece l’inversione dell’onere della prova non è prevista in tema di confisca c.d. urbanistica se non sia stato accertato un profilo di colpa, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità. Invece le ricorrente, in violazione del principio del giusto processo, si trova discriminato, non avendo potuto difendersi nel processo penale e dovendo invece provare la propria buona fede nel processo di esecuzione.

2. Incongruità ed insufficienza della motivazione, in quanto il giudice è partito dall’errato presupposto dell’onere della prova a carico delle ricorrenti, limitandosi ad affermare che poichè erano a conoscenza del fatto che si trattasse di un manufatto abusivo, per il quale era il corso il procedimento amministrativo di sanatoria, non era possibile addurre la buona fede. Ma in verità la buona fede non deve essere posta in riferimento alla costruzione abusiva, ma al reato di lottizzazione abusiva. Inoltre il fatto che l’immobile fosse accatastato deve far presumere l’esistenza della buona fede, anche perchè la compravendita era stata stipulata dalle ricorrenti ben quattro mesi prima del provvedimento di sequestro preventivo.

L’immobile inoltre era munito di autorizzazione in sanatoria, da altri richiesta prima dell’acquisto (1987) e poi concessa successivamente (1998). Se pure le indagini della polizia municipale di Ostuni, risultano coeve agli atti 81993), il sequestro preventivo è stato eseguito dopo l’acquisto dell’immobile, in relazione al quale le ricorrenti avevano accertato, con diligenza, che fosse stata presentata istanza di condono, con pagamento dell’oblazione.

Considerato che i ricorsi risultano infondati in quanto il giudice dell’esecuzione ha fatto buon uso dei principi che la giurisprudenza di legittimità ha affermato in materia;

che è necessario premettere che in tema di incidente di esecuzione, "il ricorso per cassazione non può devolvere questioni diverse da quelle proposte con la richiesta e sulle quali il giudice di merito non è stato chiamato a decidere" (così Sez. 5, n. 9 del 4/1/2000, Rotondi, Rv. 215976), peraltro la parte potrà far valere la diversa questione con altra richiesta, dal momento che il divieto del "ne bis in idem" non opera per nuove istanze, fondate su presupposti di fatto e motivi di diritto prima non prospettati;

che, inoltre, non possono essere avanzate al giudice di legittimità censure di fatto, quale quella che adombra un’erronea inclusione delle proprietà immobiliari acquistate nelle zone oggetto dei provvedimenti ablatori: il Tribunale di Ostuni ha fornito esaustiva motivazione delle risultanze della perizia e del supplemento della stessa che hanno consentito di confermare la corretta inclusione degli immobili di proprietà degli istanti tra quelli oggetto del reato di lottizzazione abusiva;

che la giurisprudenza di questa Sezione, ormai consolidata, ha escluso l’applicabilità della confisca nei confronti dei terzi acquirenti che effettivamente risultino in buona fede in ordine alla abusività della lottizzazione, ossia nel caso in cui non venga accertato nei loro confronti alcun profilo di colpa, anche sotto gli aspetti della imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza (tra te altre, Sez. 3, n. 42178 del 29/9/2009, Spini e altro, Rv.

245170, n. 39078 del 13/7/2009, Apponi e altri, Rv. 245345). Ciò in ossequio al dovere di dare alla disposizione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 – secondo cui all’accertamento definitivo del reato di lottizzazione abusiva consegue "la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite" – una interpretazione conforme alla CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (come affermato in via generale dalla Corte costituzionale con le sentenze c.d. gemelle nn. 348 e 349 del 2007 e, con riferimento specifico al citato D.P.R. art. 44, comma 2, con la sentenza n. 239 del 2009), che ha affermato (sentenze 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009 relative alla confisca della c.d. Punta Perotti) che la confisca conseguente a lottizzazione abusiva deve essere considerata una pena e pertanto presuppone necessariamente l’esistenza di un elemento soggettivo di responsabilità nella condotta del partecipante alla lottizzazione che sia destinatario della confisca, per cui l’applicazione della confisca in danno di un soggetto di cui non sia stata accertata una condotta dolosa o colposa di partecipazione alla lottizzazione abusiva violerebbe l’art. 7 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo n. 1;

che è stato quindi affermato che l’acquirente non può essere considerato, solo per tale qualità, terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli "dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè – pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza – di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione. Quando, invece, l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento – o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza – la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio" (si veda parte motiva dell’appena citata Sez. 3, n. 42178 del 2009), mentre le posizioni sono separabili se risulta provata la malafede dei venditori, nel senso che gli stessi, con l’inganno, hanno convinto gli acquirenti della perfetta legittimità delle opere;

che non ha pregio il motivo di ricorso che richiama gli istituti di diritto civile dell’acquisto di buona fede, infatti nell’ambito penalistico non può essere fatto ricorso ad istituti giuridici civilistici, che dovrebbero essere applicati sic et simpliciter all’interno del processo penale e, nel caso di specie, nel processo di esecuzione, in quanto le regole dell’accertamento richieste traggono origine dalla specifica disciplina dettata dal legislatore, come del resto precisato nella parte motiva della sentenza delle Sezioni Unite Sez. n. 9 del 28/4/1999, Bacherotti, Rv. 213511 (che ha affermato il principio di diritto che "l’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole"); che difatti, ben si può prescindere dal richiamo che l’ordinanza impugnata effettua all’art. 2697 c.c., in quanto è l’art. 666 c.p.p. a dettare le regole di svolgimento e di valutazione dell’incidente di esecuzione e la giurisprudenza, in via generale, ha affermato il principio della sussistenza di un "onere di allegazione, il dovere, cioè, di prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all’autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti" (in tal senso, da ultimo, Sez. 1, n. 34987 del 22/9/2010, Di Sabatino, Rv. 248276);

che proprio in relazione ai possibili contrasti tra confisca e diritti di terzi, la sopra richiamata decisione delle Sezioni Unite ha precisato "che i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di "appartenenza" e di "estraneità al reato", dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato. Ai terzi fa carico, pertanto, l’onere della prova sia relativamente alla titolarità dello "ius in re aliena", il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore alla confisca e – nel caso in cui questa sia stata preceduta dalla misura cautelare reale ex art. 321 c.p.p., comma 2 – anteriore al sequestro preventivo, sia relativamente alla mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa o, nell’ipotesi in cui un simile nesso sia invece configurabile, all’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza";

che quindi il concetto di estraneità al reato, nell’ambito in esame, deve essere inteso – in piena conformità alla citata giurisprudenza – in senso ampio ed in connotazione funzionale alla confisca, non solo come mancanza di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ma anche come mancato ottenimento di vantaggi ed utilità da esso – "non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto- reato" – sempre che non sussista la buona fede (ossia non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – del rapporto di derivazione del proprio diritto di proprietà dal reato commesso dal condannato) e l’affidamento incolpevole, elementi di carattere soggettivo che devono essere inclusi nella nozione di estraneità al reato, in linea con l’interpretazione fornita in tema dalla Corte costituzionale; che il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, nell’affermare che la confisca conseguente a lottizzazione abusiva va disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti dell’immobile lottizzato che non versino in buona fede, ha pertanto interpretato il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, in modo corretto e conforme a detti principi, seguendo l’indirizzo interpretativo posto dalla già citata decisione di questa Sezione n. 39078 del 2009;

che quanto al primo motivo di ricorso presentato da M. e S., in parte ripreso da U. e B., l’ordinanza ha ricordato, con ampia e diffusa motivazione, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia valutato la compatibilita con i principi costituzionali richiamati della confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, una volta scelta la via interpretativa dell’istituto in linea con i principi affermati sia dalla Corte EDU che dalla Corte costituzionale; che tutti gli altri motivi di ricorso censurano la verifica effettuata dal giudice dell’esecuzione sull’accertamento della buona fede degli acquirenti circa la legittimità del bene rispettivamente acquistato, in relazione al quale è stata disposta la confisca;

che nella specie il giudice dell’esecuzione ha preso in esame gli argomenti addotti a sostegno dell’addotta buona fede nell’acquisto, che i ricorrenti avevano l’onere di provare come affermato dalla giurisprudenza, mentre dalle risultanze acquisite, sia quelle ricomprese nell’ambito oggettivo della sentenza passata in giudicato, sia quelle riferite o prodotte (per la sola ricorrente B. T. si da atto della produzione del contratto di compravendita, contenente la clausola che evidenziava il carattere abusivo del manufatto) risultavano profili di condotta colposa, che il giudice ha ravvisato nella mancanza di quell’ordinaria diligenza che ciascun normale acquirente deve usare quando decide l’acquisto di un bene immobile, stipulando il relativo contratto, assicurandosi della legittimità della sua realizzazione e per alcuni dei ricorrenti, anche nella consapevolezza che l’immobile era irregolare dal punto di vista urbanistico e che per lo stesso stata presentata istanza di sanatoria;

che, con un itinerario logico condivisibile, il giudice ha ritenuto che tale consapevolezza compromettesse del tutto la asserita buona fede dei ricorrenti, collegata in via principale all’estraneità al processo penale, in quanto la consapevolezza della pendenza dell’iter amministrativo da ultimo citato avrebbe dovuto spingere ad una più specifica diligenza, al fine di verificare la conformità dell’immobile agli strumenti di regolamentazione urbanistica e del territorio della zona;

che correttamente il giudice dell’esecuzione ha ritenuto irrilevante, ai fini della buona fede, la circostanza che al momento dell’acquisto il sequestro preventivo non fosse stato trascritto, in quanto la trascrizione dello stesso è stata prevista solo con la novella dell’art. 104 disp. att. c.p.p., per cui la mancata trascrizione non può rivestire alcuna efficacia ai fini dell’affidamento incolpevole, e che del resto è evidente che il terzo acquirente di un immobile deve assumere tutte le informazioni opportune e necessarie sullo stesso, in particolare sulla esistenza del titolo abilitativo e sulla conformità del manufatto con gli strumenti urbanistici e di tutela paesaggistica vigenti (in tal senso anche Sez. 6, n. 45492 del 23/11/2010, Muralo, Rv. 249215), avendo questa Corte precisato che neppure il ruolo di garanzia del notaio rogante (tenuto anche conto della possibilità di dispensa dalle verifiche espressamente conferibile dagli interessati) è in grado di determinare, di per sè, una situazione di immediata evidenza di buona fede da parte dell’acquirente, che versa in una situazione quanto meno di colpa, penalmente rilevante, quando non sia stato cauto e attento a verificare le previsioni urbanistiche e pianificazione della zona (Cfr. sez 3., n. 18537 del 16/3/2010, Pellis, Sez.3, n. 37472 del 26/6/2008, Belloi e altri, Rv 241098 e, da ultimo, Sez. 3, n. 26728 del 23/11/2011, Venditti);

che pertanto attesa l’esaustività e correttezza della motivazione dell’ordinanza impugnata, il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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