Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 23-09-2011, n. 34615 Costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Siena, con ordinanza del 10.6.2010, rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di M.C. (legale rappresentante della s.r.l. "Cesarino Immobiliare") e Mi.Ag. (direttore dei lavori) avverso il provvedimento 18.5.2010 con cui il G.I.P. di quel Tribunale – in relazione alle ipotizzate contravvenzioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c), artt. 71, 72 e 95; nonchè ai delitti di cui agli artt. 481 e 479 c.p. – aveva disposto il sequestro preventivo di due edifici di proprietà della s.r.l. "Cesarino Immobiliare" (indicati come "B" e "C"), siti in (OMISSIS), interessati da lavori di demolizione e ricostruzione, e di due garage di nuova realizzazione, non completamente interrati e dotati di opere accessorie: interventi edilizi eseguiti tutti in assenza del permesso di costruire, ritenuto necessario secondo l’impostazione accusatoria.

Il tribunale premetteva che la relazione del consulente tecnico, nominato dal P.M., era stata depositata oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari, ma che il provvedimento di sequestro non era fondato sugli esiti di detta consulenza, "bensì sui numerosi atti acquisiti ed accertamenti eseguiti" prima del decorso di quel termine.

Osservava, quindi, che tutte le opere erano state realizzate, in area dove sono ammessi interventi fino al "risanamento conservativo", mediante la presentazione di numerosi DIA e considerava illegittima tale procedura, evidenziando la necessità del permesso di costruire per ciascun manufatto, in quanto:

– l’edificio denominato "B", prima dei lavori, era un annesso agricolo precario che è stato totalmente demolito e ricostruito con cambio della destinazione d’uso perchè trasformato in abitazione;

– mutamento della destinazione d’uso si era avuto anche per l’edificio denominato "C", che, prima dei lavori, era un "pollaio" e che era stato riedificato con altezza, volume e sagoma difformi da quelli precedenti;

– gli interventi realizzati sui fabbricati non erano riconducibili alla categoria del "risanamento conservativo", nè a quella della "ristrutturazione" assentibile con la procedura di DIA, sia per le riscontrate diversità di volumetria e sagoma rispetto ai manufatti preesistenti sia per l’attuato mutamento della destinazione d’uso originaria;

– l’edificio denominato "B" non poteva costituire oggetto di demolizione e ricostruzione, perchè classificato "di interesse storico";

– per i due edifici non risultano essere stati depositati i progetti strutturali;

– i due garage (uno dei quali avente superficie e volumetria maggiori di quelli indicati nella relativa DIA), avrebbero dovuto essere completamente interrati, mentre risultavano "parzialmente coperti con riporto di terra" e muniti di non previste opere accessoria (scale, vialetti, porticati), sicchè non avrebbero potuto essere realizzati mediante la procedura semplificata prevista dalla L. n. 122 del 1989).

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore degli indagati, il quale ha eccepito:

– la insussistenza del "fumus" degli illeciti contestati, in quanto gli elementi di accusa sarebbero stati ricavati esclusivamente dalla consulenza tecnica, non utilizzabile perchè depositata oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari: tutti gli altri elementi si risolverebbero in impressioni ed approssimazioni che – a fronte delle prove a discarico prodotte dalla difesa e non valutate dal Tribunale – sarebbero inidonee a giustificare la misura di cautela reale adottata;

– la legittimità delle procedure di DIA, utilizzate in concreto con piena conformità alle previsioni della L.R. 3 gennaio 2005, n. 1, art. 79, tenuto conto che i manufatti si trovano "nell’ambito del perimetro urbano" (a seguito della Delib. Consiglio Comunale Siena 18 giugno 1993, n. 1126) e che si deve perciò escludere il regime di salvaguardia previsto per le aree agricole;

– la mancata effettuazione di qualsiasi demolizione, essendo stati i vecchi edifici "recuperati" con utilizzazione della tecnica del "cuci- scuci";

– la rituale osservanza, per i garage, delle prescrizioni della L. n. 122 del 1989, art. 9, sia perchè essi rispetterebbero l’altezza e la quota del terreno sia perchè le previsioni della cd. Legge Tognoli sarebbero state ritenute dalla giurisprudenza amministrativa applicabili anche ai box seminterrati, purchè realizzati entro l’area di pertinenza dell’immobile al quale accedono.

Il difensore ha poi trasmesso memoria, in data 15.6.2011, alla quale ha allegato copie dei frontespizi dei progetti strutturali presentati per i due fabbricati.

Il ricorso deve essere rigettato, poichè infondato.

1. Va premesso che la misura di cautela reale non risulta adottata attraverso l’utilizzazione di elementi di prova dedotti dalla tardiva consulenza tecnica del P.M., poggiando invece sui rilievi della polizia municipale, sulla documentazione fotografica (anche aerea) acquisita, sugli accertamenti operati presso l’ufficio tecnico comunale, sulle fotografie prodotte dal marito della proprietaria confinante e riferite alla situazione dei luoghi antecedente all’esecuzione dei lavori.

Trattasi di elementi che coerentemente il Tribunale del riesame ha ritenuto sufficienti per la verifica ad esso demandata della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura.

2. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema con le specificazioni indicate dalla Sezioni Unite con la sentenza 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una "plena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale.

Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un nuovo preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non-consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento.

L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.

Il Tribunale del riesame, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.

3. Nella fattispecie in esame il Tribunale di Siena risulta essersi correttamente attenuto a tali principi, dal momento che quel giudice – non ignorando le prospettazioni difensive ma non essendo tenuto ad un preventivo pregnante accertamento sul "meritum causae" – ha evidenziato che, a fronte della presentazione di denunzie di inizio attività per opere di sostanziale recupero di fabbricati esistenti, erano stati effettuati invece ingenti (se non totali) interventi demolitori a cui aveva fatto seguito una ricostruzione non fedele dell’esistente, con sicuro aumento di volumetria e sagoma per il fabbricato "C" (realizzazione di un piano in più) e mutamento della destinazione d’uso per entrambi gli edifici.

L’intervento demolitorio, inoltre, non era consentito per il fabbricato "B", perchè classificato di interesse storico.

3.1 Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. c) identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che – nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso – ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili".

Tali interventi, in particolare, possono comprendere:

– il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio;

– l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso;

– l’eliminazione di elementi estranei all’organismo edilizio.

La finalità è quella di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata – poichè si tratta pur sempre di conservazione – nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".

Ne deriva che non possono essere mutati:

– la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;

– gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l’immagine caratteristica di esso;

– gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio.

Nella fattispecie in esame invece, allo stato degli atti, non è ravvisabile un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi con stravolgimento di elementi tipologici e formali e creazione "ex novo" di volumetria.

3.2 Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d) – come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 – definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti".

Il D.Lgs. n. 301 del 2002 ha modificato tale disposizione riconducendo nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche "quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

L’art. 22, comma 3, lett. a, stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, prevede che – a scelta dell’interessato – gli interventi di ristrutturazione edilizia possono essere realizzati anche in base a denunzia di inizio attività (alternativa al permesso di costruire).

Volumetria e sagoma, tuttavia, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione.

Nella fattispecie in esame – non essendo consentita la demolizione per il fabbricato "B" ed essendo stato realizzato un piano ulteriore per il fabbricato "C" – non può configurarsi "ristrutturazione" e le opere realizzate sono da qualificare come "nuove costruzioni", assoggettate al permesso di costruire. Ciò anche in relazione alle non-contrastanti previsioni della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, art. 79. 4. Secondo la più recente e consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, la realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie "nuove costruzioni" fuori terra (vedi C. Stato, sez. 4, 23.2.2009, n. 1070;

26.9.2008, n. 4645).

Le argomentazioni riferite in ricorso alla necessità di sbancare previamente il terreno e poi ricoprire di terra il manufatto riportando il piano di campagna alla quota preesistente introducono censure in fatto che non possono essere valutate in relazione ad un procedimento incidentale di riesame e meno che mai in sede di legittimità; le opere accessorie (scale, vialetti, porticati) di cui viene rappresentata la presenza, comunque, sicuramente non avrebbero potuto essere realizzate mediante la procedura semplificata prevista dalla L. n. 122 del 1989, art. 9, commi 1 e 2, con le integrazioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 137. 5. L’ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi di segno positivo, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie affermazioni dei ricorrenti non valgono certo ad escludere la configurabilità del "fumus" dei reati ipotizzati.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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