Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione VI Sentenza n. 29550 del 2006 deposito del 04 settembre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto

P.P. era tratto a giudizio avanti il Tribunale di Latina (sez. distaccata di Terracina) per rispondere del delitto di furto

aggravato consistito nell’impossessamento di denaro contenuto all’interno di apparecchi video-gioco di proprietà di M.B..

Egli era condannato in data 27/05/2002.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 3/03/2006, confermava la penale responsabilità, riducendo la sanzione inflitta.

Ricorre personalmente il P. avverso detta sentenza eccependo:

1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) per la mancata assunzione del teste M., persona offesa, per il quale

era intervenuta rinuncia da parte del P.M. che ne aveva richiesto l’esame, nonostante il mancato consenso della difesa, che aveva richiesto controesame in seno alla lista testimoniale, prova che il ricorrente qualifica come decisiva e per la cui omessa assunzione i giudici di merito non hanno espresso alcuna motivazione;

2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) avendo il M. avanzato denuncia e non querela sicchè il P. doveva

esser prosciolto non essendo stata provata effrazione degli apparecchi e, dunque, la ricorrenza dell’art. 625 c.p. n.2 che

consente la procedibilità ufficiosa: invero, soltanto la persona offesa M. avrebbe potuto affermare lo stato delle macchinette dopo l’episodio e confermare l’eventuale traccia di effrazione;

3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) poichè il sequestro operato non assume valore probatorio, attesa

l’illegittimità della perquisizione che era stata attuata di iniziativa della p.g. al fine di reperire sostanza stupefacente e non denaro provento del furto, pur essendo emerso che l’operazione di p.g. era stata disposta in forza dei sospetti di furto, causale che non consentiva iniziative d’ufficio ma richiedeva il previo decreto del P.M.; inoltre, carente è la prova che le banconote rinvenute presso P. fossero provento del furto ascritto all’imputato;

4) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) per l’utilizzazione delle dichiarazioni di D.V.D., coimputato in reato connesso, per il quale vi era stata carente annotazione nella lista del P.M. ed esame ex art. 507 c.p.p., esame per il quale era mancato l’apprestamento delle garanzie difensive di cui agli artt. 197 bis e 210 c.p.p..

5) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) per la carente motivazione sul mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

6) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) per l’eccessività della pena, in considerazione del mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti e per la mancanza di adeguata motivazione;

7) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), e) poichè la pena doveva essere parametrata sulla più favorevole previsione dell’art. 624 c.p. nella versione precedente alla L. 128 del 2001.

In diritto

Il primo motivo è soltanto apparentemente fondato, attesa la rilevanza della regola di cui all’art. 495 c.p.p., comma 4 bis, norma che attinge al fondamentale diritto alla prova ed al contraddittorio e che impone – per una interpretazione costituzionalmente orientata – una lettura aderente alla lettera normativa (anche se, al riguardo, sono riscontrabili difformi indirizzi giurisprudenziali).

Nel caso in esame, tuttavia, la Corte territoriale ha valutato come superflua la deposizione della persona offesa, surrogata dalle dichiarazioni del teste V., che hanno consentito di accertare – per diretta constatazione ancorchè per indicazione della persona offesa – che le tracce effrattive erano diretta conseguenza dell’azione furtiva e non

preesistenti: la sentenza ha correttamente richiamato la potestà di revoca attribuita al presidente in relazione alla richiesta di prove superflue.

Una lettura compatibile con lo sviluppo dell’udienza di primo grado ed accompagnata da adeguata motivazione a giustificazione della condotta processuale del primo giudice.

L’affermazione del ricorso, per cui manca ogni nota di spiegazione al proposito, è destituita di fondamento se si integra e si compara la decisione dell’appello con quella di primo grado.

Di qui l’infondatezza anche del secondo motivo, avuto riguardo all’appurata ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2.

Priva di ogni possibile censura la giustificazione motiva relativa alla legittima acquisizione degli esiti del sequestro, pur

provenienti da perquisizione illegittima (terzo motivo).

Questa Corte (Cass., sez. 6^ 9/01/2004, Scollo, Ced. Cass., rv.227880) ha affermato che l’accertata illegittimità della perquisizione non produce alcun rilievo preclusivo, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, ma è condizionato unicamente all’acquisibilità del bene ed alla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema: nel caso di corpo di reato o cosa ad esso pertinente la legittimazione deriva dal potere-dovere attribuito alla polizia giudiziaria dall’art. 354 c.p.p., comma 2.

Il sequestro, nel caso qui esaminato, conforta l’ipotesi di accusa – come giustamente osservato dalla sentenza impugnata – dando fondamento alle dichiarazioni di D.V. che collegano il denaro rinvenuto al delitto ascritto al P.: lo svolgimento della motivazione giunge a completezza logica, in aderenza alla corretta lettura processuale del dato probatorio (quarto motivo).

Il passaggio in giudicato della sentenza resa ex art. 444 c.p.p. è attestato dai giudici di merito con riferimento alla deposizione resa nel processo a carico dell’attuale ricorrente: nonostante la diversa supposizione del ricorrente, non è stata offerta alcuna seria smentita documentale a questa constatazione e non vi è ragione per screditarla. Le dichiarazioni rese in dibattimento nei confronti del ricorrente, con le forme previste dallo stesso art. 197 bis, comma 1,

sono utilizzabili anche se non siano state precedute dall’avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c).

Il testimone era assistito da difensore nominato all’uopo dal giudice.

Da tanto discende la rituale ed utilizzabile risultanza probatoria costituita dalla dichiarazione di D.V..

Il contenuto, poi, della prova non è suscettibile di nuova valutazione da parte del giudice di legittimità, attesa la

plausibile lettura datane dal giudice di merito.

Inammissibili, perchè manifestamente infondati, i motivi relativi alla valutazione della ricorrenza dell’art. 62 c.p., n. 4 (5 motivo), avendo la decisione impugnata ritenuto che il complesso della refurtiva, di circa L. 1.000.000, superi la soglia compatibile con la diminuente, parametrata non già alla lievità del pregiudizio, bensì alla "speciale tenuità" dello stesso.

L’indagine sulle condizioni economiche della persona offesa è irrilevante quando il criterio obiettivo induca ad escludere la speciale tenuità del danno (d’altra parte, l’assenza di particolare gravità del danno è stata espressamente considerata dalla Corte territoriale per ridurre la sanzione inflitta dal primo giudice, indice di equilibrata ed attenta

ponderazione del potere sanzionatorio).

Il Collegio, inoltre, osserva che ad escludere la diminuente milita anche il danno connesso all’effrazione degli apparecchi: ai fini della valutazione circa la ricorrenza della norma in discorso, occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione del bene personale, contro il quale l’agente ha indirizzato l’attività violenta al fine di impossessarsi della cosa mobile altrui.

La doglianza sul diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti (6 motivo) è priva di rilievo: il giudizio di prevalenza ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorchè questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite; pertanto ove questa situazione non ricorra, perchè il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione, e non può, quindi, dar luogo nè a violazione di legge, nè al corrispondente difetto di motivazione.

Nè ha pregio alcuno la censura sulla misura della pena: trattasi di valutazione discrezionale propria del giudice di merito, essendo stata congruamente motivata la ragione della stessa.

Inammissibile per manifesta infondatezza, infine, il settimo motivo che invoca l’applicazione dell’art. 2 c.p., ritenendo leso il principio dell’applicazione della norma più favorevole: la L. 128 del 2001, art. 2, non ha influito nella commisurazione sanzionatoria, non avendo i giudici indicato, quale referente quantitativo, la soglia minima edittale (sulla quale sola può riscontrarsi modifica peggiorativa per il condannato) ed avendo inflitto la pena della reclusione della pena della multa all’interno della escursione compatibile sia con la precedente che con la novellata disposizione.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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