Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 13-10-2011, n. 668 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Giunge in decisione l’appello interposto dalla G.eG. s.r.l. (d’ora in poi: "GeG") avverso la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, ha respinto il ricorso, promosso in primo grado dall’odierna appellante, onde ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei provvedimenti successivamente annullati con la sentenza del T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, n. 542 del 16 febbraio 2007.

2. – Si sono costituite, per resistere all’impugnazione, le amministrazioni statali indicate nelle premesse e la IRFIS S.p.A. (nel prosieguo: "Irfis"): quest’ultima opera in regime di convenzione con il Ministero dello sviluppo economico quale banca concessionaria per l’espletamento dei servizi inerenti l’erogazione delle agevolazioni finanziarie previste dalla L. n. 488/1992.

3. – All’udienza pubblica del 19 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. – Il ricorso è infondato. Onde chiarire le ragioni del rigetto dell’impugnazione è sufficiente riferire in punto di fatto che:

– nel 2001 la GeG, amministrata dall’ing. Pi.Ig.Pa., presentò al Ministero delle attività produttive una richiesta per il finanziamento, ai sensi della L. n. 4888/1992, di un progetto di realizzazione di uno stabilimento industriale per la fabbricazione di prodotti per l’incontinenza;

– tale progetto fu finanziato con D.M. n. 110851 del 12 febbraio 2002 per un importo totale di Lire 11.447.000.000, pari ad Euro 5.911.900,00, di cui Lire 5.364.268.000, pari ad Euro 2.770.413,00, di contributo concesso dallo stesso Ministero per le attività produttive;

– in data 7 febbraio 2003 la GeG chiese all’Irfis il 1° acconto della prima anticipazione;

– l’Irfis, a sua volta, richiese le informazioni antimafia alla Prefettura sulla persona dell’ing. Pi.Ig.Pa.;

– l’Irfis accreditò alla appellante la somma di Euro 923.471,00 (pari alla prima quota del finanziamento);

– solo in data 14 aprile 2004, cioè dopo un anno ed un mese dalla richiesta, il Prefetto riscontrò la richiesta dell’Irfis, ritenendo che sussistessero elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della GeG;

– con nota del 6 dicembre 2004 il Ministero delle attività produttive comunicò alla appellante l’inizio della procedura per la revoca del finanziamento;

– con ricorso n. 732/2006 la GeG impugnò, tra l’altro, innanzi al T.A.R. per la Sicilia; la nota prot. 008908 del 9 marzo 2006 con cui l’Irfis aveva richiesto la restituzione dell’importo della prima rata del contributo; il provvedimento prot. 2803/03 con cui la Prefettura aveva ritenuto sussistente il pericolo di condizionamento mafioso; il provvedimento, prot. n. 1221393, del 6 dicembre 2004 con cui il Ministero delle attività produttive aveva comunicato l’avvio della procedura di revoca e l’informativa antimafia n. 2809/03 del 14.4.2004; – con ordinanza n. 640 del 6 giugno 2006 il T.A.R. dispose la sospensione dei provvedimenti impugnati;

– il T.A.R., con la sentenza n. 542/2007, annullò i provvedimenti impugnati, in accoglimento dell’impugnativa promossa dalla GeG;

– la sentenza passò in giudicato;

– il Ministero dello sviluppo economico, con nota del 7 dicembre 2007, comunicò all’impresa l’annullamento del procedimento di revoca in precedenza avviato;

– a seguito di tale annullamento la GeG, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, commi 2, 7 ed 8, del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e 4, commi 4 e 6, del D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490, adì nuovamente il T.A.R. onde ottenere la condanna delle amministrazioni appellate e dell’Irfis al risarcimento dei danni patiti, quantificati in Euro 1.528.785,11 a titolo di danno emergente, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ed in Euro 4.896.000,00 a titolo di lucro cessante, oltre rivalutazione ed interessi.

5. – Il T.A.R. ha respinto il ricorso di primo grado, recante la domanda risarcitoria, essenzialmente negando che il ritardo nell’esecuzione dei lavori intrapresi dalla GeG per la realizzazione di una attività industriale dietro finanziamento pubblico (con conseguenti maggiori costi e perdita del profitto atteso) fosse ascrivibile alle condotte, asseritamente negligenti, delle amministrazioni resistenti e dell’Irfis, condotte rispettivamente consistite nell’adozione di una informativa antimafia positiva, poi annullata in sede giurisdizionale, nell’avvio del procedimento di revoca della concessione del contributo da parte del Ministero e nella richiesta di restituzione della prima quota erogata da parte dell’Irfis.

In particolare il Tribunale ha osservato che: "E’ pacifico tra le parti che l’erogazione della prima parte del contributo ministeriale è avvenuta da parte dell’IRFIS in data 13.3.2003; risulta, altresì, che alla data del 19.4.2004, cioè dopo oltre un anno dall’incasso della somma di Euro 923.471,00, l’impresa ricorrente aveva svolto lavori per soli Euro 50.000,00 (cfr. documenti 6 e 7 allegati alla memoria dell’IRFIS), si che essa si era vista costretta a richiedere una proroga di mesi 6; che la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca è stata effettuata in data 6.12.2004, allorquando l’impresa, se avesse seguito il cronoprogramma, avrebbe dovuto già avere realizzato il 33% delle opere finanziate; che la richiesta di restituzione della rata concessa è stata formulata dall’IRFIS in data 9.3.2006; che il T.A.R. ha sospeso tanto la detta richiesta di restituzione quanto l’avvio del procedimento di revoca già in data 18.7.2006.

Questa essendo la ricostruzione dei fatti oggetto di causa, osserva il Collegio che i provvedimenti impugnati (informativa antimafia, avvio del procedimento di revoca della concessione del contributo e richiesta di restituzione delle somme già erogate) in realtà, già in tesi, non possono essere considerati causalmente rilevanti rispetto all’asserito danno da ritardo lamentato dalla ricorrente, per la semplice ragione che gli stessi non avevano l’efficacia di bloccare la realizzazione delle opere già finanziate con la prima tranche e non ancora realizzate dalla ricorrente.

Tale efficacia, infatti, non può essere riconosciuta all’avvio del procedimento di revoca, atto endoprocedimentale ed improduttivo di effetti nella sfera giuridica della ricorrente, e neanche alla richiesta di restituzione, posto che non risulta che tale richiesta sia stata accompagnata dall’avvio di un recupero forzoso.

Si consideri, peraltro, che la detta richiesta è rimasta in piedi per soli "tre mesi", essendo stata immediatamente sospesa, insieme agli altri atti impugnati, da questo T.A.R.

In altri termini, nonostante l’adozione dei detti provvedimenti, le somme già stanziate sono sempre rimaste nella disponibilità della ricorrente, ma non risulta che, pur potendo e dovendo, essa le abbia utilizzate per realizzare i lavori per come previsto dal cronoprogramma.

Che il ritardo nella realizzazione dei lavori non sia ascrivibile alle Amministrazioni resistenti ma alla sola condotta dell’IRFIS (recte: "GeG"; n. d.E.) è poi dimostrato dal rilievo che ancora alla data del gennaio 2008 – oltre un anno e mezzo dopo il deposito della sentenza di annullamento degli atti lesivi – essa ha richiesto una ulteriore proroga di mesi 36, poi ridimensionata a mesi 24 (cfr. allegati 18 e 19 prodotti dall’Avvocatura dello Stato), per la realizzazione delle opere in questione.".

6. – Avverso la pronuncia appellata, sopra succintamente riferita, ha interposto appello la GeG affidando l’impugnazione ad un unico, articolato, mezzo di gravame, così rubricato: "Erroneità della sentenza impugnata in relazione alla dedotta violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c.; in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 10, commi 2, 7 e 8 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e 4, commi 4 e 6, del D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490; nonché in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti e di motivazione". In sintesi la GeG osserva che:

– con riferimento all’erogazione della prima quota di finanziamento, non gravava a suo carico, in base al cronoprogramma, alcun obbligo di realizzare il 33% delle opere finanziate entro la data del 6 dicembre 2004;

– l’ordinanza cautelare emanata dal T.A.R. riguardò soltanto la sospensione del recupero delle somme erogate; – l’adozione dell’avvio del procedimento di revoca da parte del Ministero e la negativa informativa del Prefetto – atti annullati soltanto con la sentenza e non sospesi in sede cautelare – imposero, nei fatti, una sospensione del programma di investimento;

– il Tribunale avrebbe erroneamente minimizzato le responsabilità delle amministrazioni appellate e il danno arrecato all’impresa;

– ancora erroneamente il T.A.R. non avrebbe giudicato comprovato il danno subito dalla GeG.

7. – E’ opinione del Collegio che i motivi di impugnazione sopra riferiti non scalfiscano la correttezza delle surriferite argomentazioni del T.A.R. sulle quali, anche in seconde cure, deve poggiare il rigetto della domanda risarcitoria avanzata dalla ricorrente. Difatti è indiscutibile, e ormai accertata giudizialmente, l’illegittimità ascrivibile alla Prefettura di Palermo per aver adottato una informativa prefettizia sulla scorta di una non esauriente valutazione degli elementi di fatto acquisiti in via istruttoria. Sennonché, in questa sede, il Collegio (e in primo grado il T.A.R.) non viene chiamato a pronunciarsi su tale aspetto della controversia (come detto, già definito), ma sull’esistenza, o no, di un nesso causale tra detta illegittimità e il pregiudizio asseritamente subito dalla GeG. In altre parole, premessa la ricorrenza di uno degli elementi dell’illecito aquiliano pretesamente commesso dalle amministrazioni appellate, cioè l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi a suo tempo adottati, ora occorre esclusivamente verificare se sussistano anche tutti gli altri elementi che integrano la fattispecie prevista e disciplinata dall’art. 2043 c.c.; più in dettaglio bisogna verificare se il ritardo nella conclusione delle opere, che la GeG configura come una diretta conseguenza dell’emanazione dell’illegittima informativa prefettizia, sia realmente e unicamente ascrivibile a tale evento o se, invece, nonostante l’illegittimità sopra ricordata, il ritardo della GeG sia altrimenti spiegabile. In sostanza il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla ravvisabilità, o meno, di un nesso causale tra l’illegittimità provvedimentale e il danno allegato dall’appellante.

8. – Ebbene, così perimetrato l’ambito della prioritaria indagine rimessa a questo Consiglio, il Collegio, come sopra accennato, ritiene di dover condividere le puntuali considerazioni svolte dal primo decidente. Va, invero, ricordato che l’erogazione della prima parte del contributo ministeriale rimonta al 13 marzo 2003 e che in data 19 aprile 2004, ossia dopo oltre un anno dall’incasso della somma di Euro 923.471,00, la GeG richiese una proroga di sei mesi, impegnandosi peraltro a completare il programma entro la data dell’11 febbraio 2006, posto che nel mese di marzo del 2006 si collocava la scadenza del termine per l’escussione della connessa fideiussione bancaria. Ridotta quindi ai suoi minimi termini l’intera materia del contendere verte sulla verifica dell’eventuale incidenza causale dell’illegittima informativa prefettizia sul rispetto, da parte della GeG, del suddetto termine finale per la realizzazione dell’intervento.

Il Collegio reputa che un’interferenza del genere descritto non sussista: la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca risale al 6 dicembre 2004, ma siffatta comunicazione (endoprocedimentale), al pari dell’informativa prefettizia, non ha comportato alcuna conseguenza pratica sull’attività della GeG e sulla possibilità di completare l’iniziativa programmata. Infatti, stante la pressoché immediata sospensione del recupero dell’importo erogato per effetto dell’ordinanza di sospensione n. 640 del 6 giugno 2006, la GeG, dal 2004 al 2006, è sempre rimasta nella disponibilità di dette somme, ma non ha più portato avanti il programma di investimento, nemmeno dopo la sentenza n. 542/2007 (di annullamento di tutti gli atti impugnati) e nemmeno dopo la comunicazione dell’annullamento del dicembre 2007 (peraltro avente effetti meramente dichiarativi, dovendosi ricondurre l’eliminazione degli atti impugnati alla pronuncia del T.A.R.). Anzi, il Tribunale ha perfino precisato che ancora alla data del gennaio 2008 – ossia oltre un anno e mezzo dopo il deposito della sentenza di annullamento degli atti lesivi – la GeG ebbe a richiedere un’ulteriore proroga di mesi 36, poi ridimensionata a mesi 24, per la realizzazione delle opere in questione.

Ad avviso del Collegio le superiori circostanze concorrono a comprovare la sostanziale inattività della GeG nel completare l’intervento finanziato fin dall’erogazione della prima quota del contributo pubblico. È indiscutibilmente vero che, nell’arco temporale in cui è maturata tale inerzia, intervenne anche una informativa prefettizia illegittima, ma da siffatta illegittimità, atteso quanto sopra osservato, non è derivata in concreto, in danno dell’impresa, alcuna conseguenza. La GeG è difatti rimasta nella disponibilità delle somme assegnatele e gli atti amministrativi impugnati non hanno determinato, nei suoi confronti, alcun effetto giuridico rilevante. In conclusione il Collegio non ritiene che l’appellante abbia comprovato la sussistenza di un idoneo nesso causale tra l’adozione dell’informativa prefettizia (e il conseguente avvio del procedimento di revoca del finanziamento) e il preteso danno lamentato, asseritamente consistito nel ritardo nel completamento delle opere, oltre che nell’aumento del costo delle stesse. Risulta piuttosto che tale esito debba unicamente ascriversi all’inerzia serbata dalla GeG per cause diverse – specificamente inerenti la stasi dell’iniziativa imprenditoriale della stessa appellante – anteriori, contemporanee e successive allo svolgimento della vicenda giurisdizionale afferente i suddetti atti.

9. – Alla stregua dei superiori rilievi circa l’assenza del nesso causale dell’illecito aquiliano del quale la GeG ha chiesto la riparazione, il Collegio ritiene di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.

10. – In conclusione, la sentenza impugnata ben resiste alle censure contro di essa dirette con l’impugnazione esaminata e merita integrale conferma.

11. – Il regolamento delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore di ciascuna delle controparti costituite, delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila), per complessivi Euro 8.000,00 (ottomila/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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