Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-02-2012, n. 1522

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 6 giugno 2003 condannò la Provincia regionale di Catania a corrispondere al prof. R. O. la somma di Euro 33.815,00 a titolo di compenso professionale per l’incarico di redigere uno studio geologico, geotecnico e di impatto ambientale con un progetto di interventi nella riserva naturale (OMISSIS).

In accoglimento dell’impugnazione della Provincia, la Corte di appello di Catania, con sentenza del 17 gennaio 2008 ha respinto (per quanto qui interessa) la richiesta in quanto: a) il disciplinare aveva affidato l’incarico congiuntamente al R., al prof. F.V. (ecologo) ed all’ing. M.M., con la specifica pattuizione che la prestazione restava unica (pur se svolta da ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze) e veniva retribuita con unico onorario; b) era pacifico che gli altri due professionisti non avevano presentato le proprie relazioni tecniche, per cui l’obbligazione dichiarata "solidale" dal disciplinare era rimasta inadempiuta, escludendo il diritto di ciascuno dei professionisti al compenso.

Per la Cassazione della sentenza il R. ha proposto ricorso per 5 motivi; cui resiste la Provincia di Catania con controricorso.

Motivi della decisione

Il Collegio deve anzitutto disattendere l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla Provincia, perchè la sentenza impugnata è stata depositata il 17 gennaio 2008; sicchè il termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., aumentato dei 46 giorni del periodo feriale (1 agosto-15 settembre) di cui alla L. n. 742 del 1969, andava a scadere non il 2 febbraio 2009,ma il 4 marzo successivo:

perciò restando definitivamente interrotto dalla notifica del ricorso avvenuta in data 3 marzo 2009.

Va invece accolta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la non conformità dei quesiti di diritto alle prescrizioni contenute nell’art. 366 cod. proc. civ..

Questa Corte, infatti, nella elaborazione dei relativi canoni di redazione, ha ripetutamente affermato, anche a sezioni unite, che i quesiti di diritto rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie; sicchè gli stessi devono costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una "regula iuris" che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Ciò vale a dire, da un lato che il quesito di diritto deve rappresentare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale; e dall’altro che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

Consegue che ove tale articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolve in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica; per cui esso non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo. Ed a maggior ragione risolversi in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso "sub iudice" (Cass. 28536/2008); nè per converso nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma,essendo ciascuna di queste formulazioni del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

Nessuno di questi principi è stato osservato dal ricorrente,in quanto: a) in merito al primo motivo con cui ha addebitato alla Corte di appello la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere accolto un’eccezione di inadempimento asseritamente non proposta da controparte, ha formulato il quesito con un inammissibile rinvio "alla deduzione di cui al terzo motivo di gravame"; e lo ha fondato sulla tautologica conclusione che l’eccezione non poteva essere posta a fondamento della decisione; 2) nel secondo motivo con cui si denunciano numerosi vizi di motivazione relativi a diversi elementi probatori non esaminati o erroneamente valutati, manca anzitutto l’enunciazione, in modo sintetico ma completo, della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria; ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, il tutto senza osservare il principio che, in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati (di violazioni di legge diverse, nonchè) di vizi di motivazione, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la "ratio" dell’art. 366 bis cod. proc. civ., tali motivi cumulativi debbono concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati (Cass. sez. un. 5624/2009, 1906/2008); 3) il terzo ed il quarto motivo, con i quali si lamenta, rispettivamente violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per non avere la sentenza impugnata accolto i presupposti della nozione di fatto pacifico; nonchè violazione dell’art. 2697 cod. civ., che imponeva alla Provincia di Catania di provare i fatti su cui aveva formulato l’eccezione di inadempimento, si concludono con la redazione di un quesito sostanzialmente identico, che si concreta ed esaurisce nella mera riproduzione della massima ricavata dalla decisione 6 aprile 2001 n. 5149 di questa Corte: senza alcun collegamento con le ragioni di fatto e di diritto peraltro diverse esposte in ciascuno di detti motivi. Detto collegamento è egualmente carente nel quesito relativo all’ultimo motivo che si risolve in una richiesta rivolta alla Cassazione affinchè stabilisca se non costituisca violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., l’omessa considerazione da parte del giudice di merito "dei fatti accertati dal consulente e riferiti nella sua relazione": anche perchè la risposta non può essere unitaria, dipendendo all’evidenza da numerose variabili, fra cui, esemplificativamente l’ambito della prova che ciascuna delle parti è tenuta a fornire. Per cui -, rispetto ad essa gli accertamenti in questione possono risultare del tutto inconferenti, come è avvenuto nel caso concreto in cui il R., richiedente il compenso, era obbligato per il disposto dell’invocato art. 2697 cod. civ., a fornire la prova di avere adempiuto alla prestazione pattuita nel disciplinare; laddove la relazione del c.t. dallo stesso riportata si limitava a calcolare il compenso spettante ..gli per il fatto che la Provincia, dopo un primo progetto per l’importo di L. 1.848.000.000 elaborato nel 1991, lo aveva dovuto dimezzare nel 1993, chiedendo all’ing. M., capogruppo dei professionisti, di adeguare lo studio commissionato alla minore e più contenuta spesa stabilita: perciò senza documentare alcunchè in merito al successivo adempimento della prestazione, così modificata.

Le spese del giudizio,in aderenza al principio della soccombenza, gravano sul ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della Provincia reg. di Catania, in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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