Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 23-09-2011, n. 34662 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.T.C. propone ricorso per cassazione contro l’ordinanza del tribunale del riesame di Lecce in data 21 febbraio 2011, depositata il 28 febbraio 2011 con cui è stata rigettata l’istanza avanzata dall’odierno ricorrente contro il provvedimento del gip presso il tribunale di Brindisi del 19 gennaio 2011, che applicava la custodia cautelare in carcere.

Il ricorrente risulta indagato per i reati di cui agli articoli 110, 483, 495, 48 e 479 c.p., nonchè artt. 81 e 612 bis c.p., art. 635 c.p., comma 2, art. 633 c.p., art. 614 c.p., commi 1 e 4, art. 633 c.p..

Nel ricorso vengono svolti quattro motivi di doglianza:

1. con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 612 bis c.p.; il ricorrente lamenta che la fattispecie penale di cui all’art. 612 bis c.p. è stata introdotta nel febbraio del 2009 ed è punibile a querela di parte, mentre l’unica querela presente in atti sarebbe quella del 4 ottobre 2008. Secondo il ricorrente, poi, per legittimare la prosecuzione della condotta di atti persecutori anche dopo il febbraio 2009 il tribunale avrebbe esteso al prevenuto anche il reato di estorsione, che a costui non era stato contestato.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione della norma processuale prevista dall’art. 178 c.p.p., lett. C, per lesione del diritto di difesa e del principio del contraddicono, per avere il tribunale del riesame posto a fondamento della propria decisione anche fatti non contestati al ricorrente (si tratterebbe degli episodi di estorsione non contestati, secondo la difesa, al T.C.);

3. con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 48 e 479 c.p., per avere il tribunale del riesame ritenuto configurabile il predetto reato invece che quello previsto dall’art. 480 c.p., dal momento che gli atti dell’agenzia del territorio sarebbero configurabili come atti amministrativi e non invece come atti pubblici ai sensi dell’art. 479 c.p..

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce contraddittorietà e difetto di motivazione in relazione alla adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere; sotto questo profilo si richiamano le censure già contenute nel secondo motivo di ricorso, secondo cui, a dire della difesa, al T.C. sarebbero state estese fattispecie di reato a lui non contestate.

In particolare, afferma la difesa, il prevenuto non sarebbe accusato del reato di calunnia, nè di tentata estorsione, nè di uso di atti falsi, nè della falsificazione dei testamenti, ma solo di stalking e di falso in atti della pubblica amministrazione (dichiarazione di successione, di per sè non reiterabile). Lamenta infine il ricorrente la valutazione di adeguatezza della misura applicata in relazione ai precedenti penali, che non sarebbero nè specifici, nè significativi.

Per i motivi esposti il ricorrente chiede l’annullamento dell’ordinanza cautelare, con immediata liberazione.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso si riferisce alla violazione dell’art. 612 bis c.p.; con argomentazioni non propriamente chiare ed esaustive, il ricorrente lamenta la mancanza di querela di parte, essendo datata 4 ottobre 2008 quella presentata dalle persone offese. Secondo il ricorrente, poi, per legittimare la prosecuzione della condotta di atti persecutori anche dopo il febbraio 2009 il tribunale avrebbe esteso al prevenuto anche il reato di estorsione, che a costui non era stato contestato. Partendo da quest’ultima censura, si rileva che l’ordinanza del riesame non dice affatto quanto affermato dal ricorrente; è sufficiente leggere quanto scritto nel primo capoverso della pagina sette dell’ordinanza, ove si afferma che gli episodi di Stalking culminarono nell’estorsione, pur mantenendo una propria autonomia e una certa permanenza nel tempo (il tribunale cita anche l’occupazione dei terreni e le azioni giudiziarie infondate, che risultano puntualmente contestate anche all’odierno ricorrente ed è orientamento pacifico di questa Corte che anche due sole condotte di minaccia o di molestia siano sufficienti a concretare la reiterazione quale elemento costitutivo del reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.; da ultimo si veda Cassazione penale, sez. 5, il gennaio 2011, n. 7601). Quanto alla mancanza di querela, il tribunale del riesame ha già dato risposta alle doglianze del ricorrente, ma sembra risolutivo il fatto che per il reato di Stalking si procede d’ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio (art. 612 bis c.p., u.c.) e qui è evidente la connessione con gli altri reati contestati al ricorrente ai capi n) e v), procedibili d’ufficio, che sono legati al reato di stalking da una evidente connessione teleologica (ex art. 12 c.p.p., lett. B). Nè si deve dimenticare che il tribunale ha fornito risposta specifica su questo punto, ritenendo che la questione della querela fosse superata anche dalla permanenza del reato, commesso attraverso più episodi sviluppatisi nel tempo. A questo proposito si deve rilevare che in tema di reato permanente, il diritto di presentare querela può essere esercitato dall’inizio della permanenza fino alla decorrenza del termine di tre mesi dal giorno della sua cessazione e la sua effettiva presentazione rende procedibili tutti i fatti consumati nell’arco della permanenza (cfr.

Cassazione penale sez. 6, 13 gennaio 2011 n. 2241). I fatti attraverso i quali si è realizzato il reato di cui all’art. 612 bis c.p. sono stati contestati con permanenza, senza individuazione di una data specifica di consumazione (salvo alcuni episodi specifici) ed è indubbio che alcune condotte, pur iniziate prima dell’introduzione dell’art. 612 bis, sono proseguite anche dopo. Tale è il caso, ad esempio, delle azioni giudiziarie pretestuose, la cui coltivazione costituisce indubbiamente condotta rilevante ai fini della configurazione del reato di specie, implicando un’attività materiale continua e quindi manifestando la volontà di proseguire con l’attività molesta. Quanto precede consente di dichiarare l’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso.

Il terzo motivo attiene alla asserita violazione di legge in relazione agli artt. 48 e 479 c.p., per avere il tribunale del riesame ritenuto configurabile il predetto reato invece che quello previsto dall’art. 480 c.p., dal momento che – secondo la difesa – gli atti dell’agenzia del territorio sarebbero configurabili come atti amministrativi e non invece come atti pubblici ai sensi dell’art. 479 c.p.. Anche tale censura non è fondata; quanto alla dichiarazione di successione, la cassazione la configura come atto pubblico, una volta che sia stata presentata all’ufficio competente (cfr. Cassazione penale, sez. 6, 08 gennaio 1996, n. 3002), per cui correttamente sono stati contestati i reati di cui agli artt. 483 e 495 c.p., trattandosi di dichiarazioni attinenti sia ad un fatto (apertura e modalità della successione), sia ad una qualità personale del dichiarante (qualità di erede). Ma anche con riferimento alla contestazione relativa agli artt. 48 e 479 c.p., i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione delle norme di legge; attraverso la falsa denuncia di successione, infatti, il T. ha indotto in errore il pubblico ufficiale (Conservatore) nella trascrizione degli acquisti presso i Registri Immobiliari, che costituiscono atti pubblici destinati a provare la verità della situazione immobiliare e dell’avvenuto trasferimento.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce contraddittorietà e difetto di motivazione in relazione alla adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere; sotto questo profilo si richiamano le censure già contenute nel secondo motivo di ricorso, secondo cui, a dire della difesa, al T.C. sarebbero state estese fattispecie di reato a lui non contestate. In particolare, afferma la difesa, il prevenuto non sarebbe accusato del reato di calunnia, nè di tentata estorsione, nè di uso di atti falsi, nè della falsificazione dei testamenti, ma solo di stalking e di falso in atti della pubblica amministrazione (dichiarazione di successione, di per sè non reiterabile). Lamenta infine il ricorrente la valutazione di adeguatezza della misura applicata in relazione ai precedenti penali, che non sarebbero nè specifici, nè significativi. Quest’ultimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto pretende di censurare una valutazione di merito che non può essere, invece, esaminata da questa Corte, in quanto sul punto v’è motivazione adeguata, anche se succinta, del tribunale del riesame.

Peraltro, deve rilevarsi come non sussista mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. E invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (Cassazione penale, sez. 2, 15 maggio 2008, n. 19947). Per quanto riguarda, infine, l’asserita considerazione, ai fini di valutazione delle esigenze cautelare, di reati non contestati all’odierno ricorrente, trattasi di censura palesemente infondata in quanto ancora una volta non corrispondente al contenuto della ordinanza impugnata; l’elenco dei reati riportato a pagina otto dell’ordinanza serve ad inquadrare il contesto criminale in cui l’odierno ricorrente agiva, di concerto con gli altri soggetti concorrenti nei reati, alcuni dei quali (in particolare il T.B.R., anch’egli attinto da misura cautelare custodiale e ricorrente in separato procedimento) indagati anche per i reati di minaccia e tentativo di estorsione. Non vi è, dunque, indebita attribuzione al ricorrente di reati a quest’ultimo non contestati e la valutazione delle esigenze cautelari risulta condotta in modo adeguato, con motivazione logica e coerente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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