Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 23-09-2011, n. 34661

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 25 novembre 2010, il tribunale del riesame di Catania confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 22 ottobre 2010 dal GIP dello stesso tribunale nei confronti di F.C..

Il prevenuto risulta indagato quale membro dell’associazione di stampo mafioso denominata Santapaola-Ercolano, facente capo a L. R.F., finalizzata ad illecite attività nel settore dei delitti contro il patrimonio, contro la persona ovvero finalizzati al controllo delle attività economiche; il F. risulta altresì indagato per due episodi di estorsione e per il reato di intestazione fittizia ex L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, reati tutti aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7. Contro l’ordinanza del tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il difensore di F. indicando quattro motivi:

1. con il primo motivo si lamenta l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza anche in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p.;

lamenta il ricorrente la mancata indicazione del materiale dell’indagine preliminare da cui vengono tratti elementi indiziari sul rapporto stabile e sull’organica compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio da parte di F.C.;

2. con il secondo motivo si contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di estorsione commessa in danno di P.S. e A.F., evidenziando alcuni aspetti di contraddittorietà della motivazione e la non sufficienza, da parte del tribunale, dell’indicazione delle fonti probatorie, essendo necessaria la specificazione del loro contenuto;

3. con il terzo motivo si lamenta mancanza di motivazione in ordine alla tentata estorsione contestata al capo d/5 in danno di Ar.

A.;

4. con il quarto ed ultimo motivo si lamenta l’illogicità e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame nella parte in cui conferma la sussistenza degli indizi di colpevolezza in ordine al reato di fittizia intestazione di quote sociali.

Motivi della decisione

Tutti i motivi di ricorso attengono a questioni legate alla motivazione; anche il primo motivo, rubricato Sub art. 606 c.p.p., lett. B, in realtà contiene una contestazione sulla motivazione, laddove ritiene che il tribunale non abbia indicato gli elementi indiziari da cui emergerebbero gli elementi costitutivi del vincolo associativo. Dunque, tutti e quattro i motivi possono essere trattati unitariamente, dal momento che l’ordinanza del tribunale del riesame risulta corredata da una adeguata e specifica motivazione su tutti i punti evidenziati nel ricorso; deve qui ribadirsi che non è consentito in sede di legittimità valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trame conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo a questa corte un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. SS.UU. 1.06.2011, est. Fiandanese).

Ed invero, nel controllo di legittimità la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune;

l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009, n. 24847). E ciò è tanto più vero per i provvedimenti di natura cautelare, che si fondano su indizi e che non contengono un accertamento definitivo di responsabilità, ma semplicemente un accertamento di probabile fondatezza dell’ipotesi accusatoria.

Vale la pena, ancora, di evidenziare che l’ordinanza impugnata dedica alcune pagine (precisamente le prime quattro) all’accertamento dei gravi indizi sull’esistenza dell’associazione mafiosa e sulla appartenenza alla stessa del F., citando in modo specifico le risultanze delle indagini e dunque le intercettazioni più rilevanti, sintetizzandone poi il contenuto. Deve poi essere rimarcato il fatto che il tribunale del riesame non solo conferma l’ordinanza cautelare, ma richiama integralmente anche la ben più dettagliata motivazione del GIP, per cui la congruità della motivazione deve essere valutata considerando il risultato organico e inscindibile derivante dalla fusione delle due motivazioni, che si integrano a vicenda e non possono essere interpretate individualmente ai fini della verifica di sussistenza di eventuali vizi logici. Anche sui reati di estorsione vi è specifica motivazione (cfr. pagg. 5, 6 e 7 dell’ordinanza impugnata), assolutamente congrua e sufficiente, specie se integrata con le altre considerazioni fornite dal giudice per le indagini preliminari e analogo discorso deve farsi anche per l’intestazione fittizia di quote sociali, per la quale vi è l’esplicito richiamo di due intercettazioni, particolarmente evocative (cfr. pag. 8 dell’ordinanza del riesame).

Il ricorso è dunque manifestamente infondato e deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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