Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-02-2012, n. 1517 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Il Curatore del Fallimento della Nuova Giovanetto Marmi s.r.l., dichiarata fallita dal tribunale di Aosta nel luglio 1995, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale la Banca della Valle d’Aosta s.p.a., presso la quale la società fallita era titolare di un conto corrente ordinano assistito da apertura di credito per L. 900.000.000, per sentir revocare L. Fall., ex art. 67, comma 2, quali atti di natura solutoria, le rimesse affluite su tale conto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, come da prospetto contabile allegato, con condanna della convenuta alla restituzione di complessive L. 713.062.331, o altra veriore che risultasse dovuta a seguito della richiesta consulenza tecnica d’ufficio. La Banca convenuta si costituiva contestando fra l’altro la natura solutoria delle rimesse, in particolare di quelle provenienti da due conti anticipi affidati, pure intrattenuti dalla società fallita, l’uno per anticipi su fatture l’altro per fido non rotativo da rimborsare con gli introiti dalla cessione di beni immobili non strumentali. 2. Espletata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con sentenza depositata nel novembre 2005, accoglieva la domanda condannando la convenuta al pagamento di Euro 443.103,66 oltre accessori. 3. L’appello proposto dalla Banca della Valle d’Aosta, nel frattempo trasformatasi nella Banca di Credito Cooperativo Valdostana soc.coop. a r.l., cui resisteva il Fallimento, veniva rigettato dalla Corte d’appello di Torino che, per quanto qui ancora rileva: a) escludeva la violazione dell’art. 112 c.p.c., dedotta dall’appellante con riguardo all’avere il tribunale condannato al pagamento di una somma maggiore di quella domandata e con riferimento a rimesse non comprese tra quelle impugnate: il Fallimento aveva invece indicato nella citazione introduttiva il conto corrente presso il quale erano affluiti i versamenti e precisato di voler chiedere la declaratoria di inefficacia delle rimesse effettuate nell’anno anteriore al fallimento, indicate nell’estratto conto prodotto, con il pagamento della somma indicata o di altra diversa o veriore risultante all’esito della espletanda c.t.u.; b) escludeva che il Tribunale avesse duplicato le rimesse revocabili includendo in tale ambito sia gli accrediti sul conto corrente ordinario degli importi delle anticipazioni concesse dalla banca su fatture commerciali sia gli accrediti sul medesimo conto degli importi pagati a fronte di tali crediti dai terzi debitori: non si trattava infatti della stessa operazione, bensì di due distinte operazioni di accredito sul conto corrente ordinario, peraltro di importi diversi, perchè il primo accredito scontava l’addebito del compenso spettante alla banca per l’anticipazione concessa. 4. Avverso tale sentenza, depositata il 4 luglio 2008, la Banca di Credito Cooperativo Valdostana soc.coop. a r.l. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 26 gennaio 2009 sulla base di tre motivi. Resiste il Fallimento Nuova Giovanetto Marmi sr con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5. Si duole del rigetto del motivo di appello avente ad oggetto la ultrapetizione nella quale sarebbe incorso il giudice di primo grado, evidenziando che il Fallimento non aveva incluso tra le rimesse revocabili, nel prospetto allegato alla citazione in primo grado, quelle per anticipi su fatture, che non erano state considerate nella determinazione della somma complessiva evidenziata nel prospetto – pur figurando in esso indicate, corrispondente a quella richiesta in citazione, nulla più che il valore di una clausola di stile dovendo peraltro attribuirsi alla espressione "..o della veriore somma che risultasse dovuta a seguito di c.t.u.". Sostiene che la corte non ha ben compreso il motivo di appello, perchè ha essenzialmente argomentato sulla indeterminatezza della domanda, non sul superamento dei suoi limiti. 2. La censura è infondata. La Corte d’appello non appare aver frainteso il motivo di appello: nel l’interpretare il contenuto dell’atto di citazione in primo grado, ha focalizzato la propria attenzione su quelli che un condivisibile orientamento giurisprudenziale peraltro non criticato dalla ricorrente – considera elementi essenziali della domanda proposta, attribuendo quindi valore non decisivo, ai fini della propria indagine ermeneutica, alla indicazione della somma complessiva richiesta in restituzione (anche in ragione della esplicita riserva di modifica all’esito della istruttoria), in presenza di una chiara e puntuale indicazione del conto corrente e di tutte le rimesse ivi affluite nell’ambito temporale di riferimento, contenuta nel prospetto cui la citazione faceva rinvio e documentata dalle copie delle scritture contabili allegate. Tale interpretazione della domanda nel senso che essa avesse ad oggetto anche le somme affluite sul conto corrente dal conto anticipi (con conseguente esclusione della ultrapetizione) appare dunque congruamente e non illogicamente motivata. Essa, de resto, trova riscontro nella condotta processuale della stessa Banca convenuta, la quale nel costituirsi nel giudizio di primo grado formulò le sue tesi difensive anche con riferimento alle somme provenienti dal conto anticipi, dimostrando di aver interpretato la domanda nei suoi confronti nel senso indicato nella sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3; nonchè omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Lamenta che la corte, pur avendo accertato che la società fallita godeva, oltre che dell’apertura di credito in conto corrente di L. 900 milioni garantita da ipoteca, di due affidamenti da un miliardo l’uno in relazione ai due conti anticipi – e quindi di linee di credito per complessive L. 2,9 miliardi, ha poi ritenuto atti solutori rimesse affluite sul conto corrente ordinario quando il saldo negativo dello stesso era ben inferiore a tale limite di affidamento complessivo, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato da decenni oltre che in contraddizione con la ricostruzione del rapporto da essa stessa espressa. 3. Anche tali doglianze sono prive di fondamento. La Corte territoriale, pur rilevando il fatto (definito pacifico in senso atecnico, nel senso che non risultavano elementi idonei a smentirlo) che la società poi fallita godeva di tre linee di credito – una per ciascuno dei rapporti di conto – che si sommavano fra loro, ha però precisato come, in mancanza di prova – che ha ritenuto non essere stata fornita dalla banca onerata- di un collegamento funzionale tra l’apertura di credito in conto corrente ordinario e gli affidamenti relativi alle operazioni di anticipi su fatture e su corrispettivi di vendita di immobili, questi tre rapporti negoziali restano causalmente distinti, dovendo quindi escludersi un innesto funzionale delle anticipazioni sul contratto di apertura di credito in conto corrente.

Argomentazione, questa, che non risulta censurata nel motivo nè in diritto ne in fatto, ed è invece idonea ad escludere, sotto entrambi i profili, i vizi denunciati, supportando adeguatamente la conclusione circa la inidoneità degli affidamenti sui conti anticipi a garantire l’esposizione del conto corrente ordinario.

4. Il terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., che nella specie deve trovare applicazione, trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato nel luglio 2008. Norma alla cui stregua deve ritenersi: a) che l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la ratio decidendi applicata da quel giudice, enunci la diversa ratio che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame; b) che, analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze nella valutazione sulla sua ammissibilità. Il quesito che conclude l’esposizione del motivo in esame non rispetta tali prescrizioni normative: non illustra la ratio decidendi del provvedimento impugnato e la diversa ratio che ad essa si intende contrapporre, nè espone una sintesi adeguata del fatto controverso. Tale motivo di ricorso non può dunque trovare ingresso.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 5.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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