Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-06-2011) 23-09-2011, n. 34699

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 30 novembre 2010, il Tribunale di Foggia, decidendo quale giudice dell’esecuzione:

– ha rigettato la richiesta di correzione dell’errore materiale della sentenza del Tribunale di Foggia n. 838/08, avanzata nell’interesse di D.M.M., rilevando che la pena irrogata con la sentenza di patteggiamento coincideva con quella richiesta dalle parti, e che la riduzione della pena prevista dalla legge non era di un terzo ma fino a un terzo;

– ha revocato il beneficio dell’indulto concesso, ai sensi della L. n. 241 del 2006, nella misura di un anno, un mese e tredici giorni di reclusione ed Euro 2.917,97 di multa e nella misura di dieci mesi di arresto ed Euro 103,29 di ammenda con ordinanza dell’11 dicembre 2006 del Tribunale di Foggia – Sezione distaccata di San Severo e nella misura di un anno e diciassette giorni di reclusione ed Euro 154,94 di multa con ordinanza del 18 settembre 2008 del Tribunale di Lucera, su cumulo del 12 marzo 2009 del Tribunale di Larino.

A ragione di detta seconda decisione, il Giudice osservava che sussistevano i presupposti per la revoca dell’indulto, avendo il D. M. commesso in data 30 gennaio 2008, e quindi nel quinquennio successivo alla concessione del benefico, nuovi fatti non colposi per i quali aveva concordato l’applicazione di una pena nella misura di due anni e otto mesi di reclusione ed Euro seicento di multa, ed essendo la sentenza di applicazione concordata della pena equiparata, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, e salvo diverse disposizioni di legge, a una pronuncia di condanna.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione personalmente D.M.M., che ne chiede l’annullamento, sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), con riferimento agli artt. 666 e 674 cod. proc. pen., e vizio della motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo la nullità del provvedimento di cumulo delle pene concorrenti e la nullità del provvedimento camerale per avere il Pubblico Ministero revocato l’indulto moto proprio già in sede di cumulo, emettendo provvisoriamente un provvedimento di natura decisoria, da adottarsi da parte del giudice dell’esecuzione nel contraddicono delle parti.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riguardo alla revoca dell’indulto con riferimento all’art. 445 cod. proc. pen., deducendo che:

– la sentenza emessa a seguito di patteggiamento non può essere equiparata a una sentenza di condanna, attesa la specialità del rito, l’assenza di cognizione piena e la rinuncia alle garanzie dibattimentali;

– il giudice non può aggiungere d’ufficio alla sanzione richiesta dalle parti la revoca dei benefici precedentemente concessi;

– la scadenza del termine previsto dall’art. 445 c.p.p., comma 2, senza che l’imputato abbia commesso altro reato della stessa indole, funge da condizione sospensiva dell’estinzione del reato a ogni effetto penale, e, quindi, funge da eventuale condizione risolutiva dell’indulto già applicato a precedente condanna. Pertanto, la sentenza di patteggiamento disgiunta dal decorso del detto termine non determina la revoca dell’indulto. Nè può applicarsi per analogia in malam partem il principio affermato da questa Corte a sezioni unite (con sentenza n. 17781 del 2006), con riferimento alla revoca della sospensione condizionale della pena a seguito di sopravvenuta sentenza di patteggiamento.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione con riferimento alla rettifica del cumulo e alla proposta istanza di continuazione, deducendo che dette richieste erano state reiterate con memoria difensiva e non sono state esaminate dal giudice.

3. Il Procuratore Generale in sede ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso, sul rilievo della sua manifesta infondatezza, poichè il giudice si è attivato su richiesta del Pubblico Ministero, che ha promosso incidente di esecuzione; la sentenza di patteggiamento è idonea a determinare la revoca dell’indulto; non risulta allegata nè è agli atti alcuna istanza di applicazione della continuazione in executivis.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. L’infondatezza del primo motivo discende dal rilievo in diritto che al Pubblico Ministero spetta emettere, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 1, l’ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva, computare, ai sensi dell’art. 657 c.p.p., commi 1 e 2, il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato e il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, determinare, ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., la pena da eseguire nel caso di esistenza, a carico del medesimo soggetto, di pene temporanee detentive concorrenti, e risolvere le questioni connesse al cumulo, In esse comprese quelle relative alla revoca dei benefici e all’applicazione del condono. Tali attribuzioni non escludono che, su richiesta del Pubblico Ministero, il provvedimento possa essere adottato dall’organo giurisdizionale funzionalmente competente, con la procedura degli incidenti di esecuzione, spettando al Giudice dell’esecuzione il compito di decidere con efficacia giurisdizionale su ogni tema del rapporto esecutivo e sulle varie operazioni di cumulo e sulle problematiche alle stesse connesse (Sez. 1, n. 45 del 12/01/1993, dep. 04/03/1993, P.M. in proc. Gloffrè, Rv.

193297; Sez. 1, n. 2687 del 13/05/1998, dep. 09/06/1998, Gambino, Rv.

210869; Sez. 1, n. 5136 del 21/10/1998, dep. 23/11/1998, Quintano, Rv. 211767; Sez. 1, n. 1020 del 04/02/1999, dep. 12/04/1999, P.M. in proc. Ghiro, Rv. 212964; Sez. 1, n. 23258 del 29/03/2001, dep, 07/06/2001, P.M. in proc. Moro, Rv. 219125).

Nella specie, il Tribunale è intervenuto su richiesta del Pubblico Ministero, che, nel procedere, in sede di esecuzione di pene concorrenti, alla determinazione della pena residua complessiva espianda da parte del condannato, ha tenuto conto di tutti gli elementi Incidenti sulla stessa, dalla fungibilità alle liberazioni anticipate, dal presofferto ai benefici del condono, e, sul rilievo della sussistenza delle condizioni per la revoca di questi ultimi, specificatamente indicati con riferimento alle ordinanze che li avevano riconosciuti e alle pene condonate Incluse nella esecuzione concorsuale, ha chiesto al Giudice dell’esecuzione, funzionalmente competente, di adottare le statuizioni in materia di revoca dei benefici.

3. Destituito di fondamento è anche il secondo motivo, con il quale si assume che alla revoca del "precedente beneficio ottenuto" osta l’impossibilità di parificare la sentenza di patteggiamento, emessa senza accertamento della responsabilità penale, a una sentenza di condanna.

3.1. Le modifiche recate dal 1999 in poi, e In particolare con la L. n. 134 del 2003, all’istituto del patteggiamento (conferendo alla sentenza valore d’accertamento nel giudizio disciplinare; prevedendo la possibilità di disporre sempre la confisca facoltativa e la possibilità di sottoporre sempre a revisione le sentenze di patteggiamento; limitando alla "irrogazione" di pena inferiore a due anni il regime, così divenuto ancora più marcatamente derogatorio, della esclusione della condanna alle spese processuali, alle pene accessorie e all’applicazione di misure di sicurezza in genere) non consentono dubbi sul fatto che la sentenza di applicazione della pena su richiesta sia ora – e soprattutto quando la pena "Irrogata" (come si esprime ora l’art. 445 cod. proc. pen.) sia superiore ai due anni di reclusione – equiparabile a tutti gli effetti a una sentenza di condanna (Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, dep. 23/05/2006, Diop, Rv.

233518; Sez. 1, n. 42411 del 19/10/2007, dep. 16/11/2007, Coltri, Rv.

237970; Sez. 4, n. 2987 del 22/11/2007, dep. 21/01/2008, P.G. in proc. Bada, Rv. 238667).

Pertanto, come tale sentenza può costituire titolo idoneo per la revoca di precedente sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 168 c.p., comma 1, n. 1, (secondo la sentenza delle Sez. U, n. 17781, citata), non vi è dubbio che essa possa costituire titolo per la revoca di diritto dell’indulto, ai sensi dell’art. 1, comma 3, L. n. 241 del 2006, essendo del tutto analoghe sia le formulazioni normative sia le rationes che presidiano le condizioni per la revoca di detti benefici (Sez. 1, n. 29959 del 11/07/2008, dep. 17/07/2008, Garofalo, Rv. 240686; Sez. 1, n. 43158 del 23/10/2008, dep. 19/11/2008, P.M. in proc. Zani, Rv. 242415; Sez. I, n. 29388 del 15/06/2010, dep. 27/7/2010, non massimata).

3.2. All’applicazione del principio non osta il profilo procedurale rappresentato in ricorso e costituito dalla previsione dell’art. 445 c.p.p., comma 2, in base alla quale il reato, cui la sentenza applicativa della pena su richiesta si riferisce, è estinto, unitamente ai relativi effetti, qualora, entro i termini ivi indicati, l’imputato non commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, con la conseguenza che soltanto il verificarsi di tale eventualità, impedendo l’effetto estintivo, può fungere da condizione risolutiva del beneficio.

E invero, tale lettura del testo normativo, già condotta in tal senso da questa Corte, è superata dal diverso orientamento espresso, tra l’atro, con le sentenze prima richiamate, che, alla luce delle introdotte modifiche dell’istituto del "patteggiamento", ritiene che della sentenza di applicazione concordata della pena, equiparata, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, salvo diverse disposizioni di legge, a una pronuncia di condanna, debba tenersi conto al fini della revoca dell’Indulto, in assenza di una specifica diversa disposizione.

4. Infondato è, infine, il terzo motivo con il quale si deduce l’omesso esame delle istanze di rettifica del cumulo e di applicazione della continuazione, assumendo la loro reiterazione a mezzo memoria difensiva.

Dette istanze, infatti, non sono state allegate al ricorso, nè il loro contento è nello stesso ripreso, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, già elaborato dalle Sezioni civili (da ultimo, Sez. 3, n. 18375 del 07/07/2010, dep. 06/08/2010, Rv.

614390, in motivazione sub 5, non massimata sul punto) e recepito e applicato anche in sede penale con giurisprudenza costante (tra le altre Sez. 1, sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Rv.

243225).

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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