Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-02-2012, n. 1513

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto depositato in data 1 aprile 2008 la Corte di appello di Roma, rigettava la domanda proposta da D.B.A. nei confronti del Ministero della Giustizia, avente ad oggetto la richiesta di indennizzo del pregiudizio non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo (introdotto – previo esperimento del tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. – nell’ottobre dell’anno 1999 e conclusosi con sentenza di secondo grado in data 11 febbraio 2003) relativo a una vertenza in materia di lavoro.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito, premesso che il periodo di ragionevole durata deve accertarsi con specifico riferimento al caso concreto, rilevava che il procedimento presupposto, caratterizzata dalla durata di tre anni e quattro mesi, quanto al primo grado, e di un anno e undici mesi, quanto all’appello, avesse avuto una durata non irragionevole.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre il D.B., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Motivi della decisione

2.1 – Con il primo motivo si denuncia erronea e falsa applicazione di norme di diritto ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1, CEDU), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendosi che, avuto riguardo alla natura della controversia, ed alla sua semplicità, la valutazione del periodo di ragionevole durata del processo non sarebbe avvenuta in conformità ai principi stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto: "Dica, la Suprema Corte se, una volta accertato il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ovvero il ritardo nella definizione del processo presupposto, pur se non complesso ed in assenza di condizioni comprovanti il c.d. abuso del processo (non provate), il ricorrente abbia diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex L. n. 89 del 2001 secondo i richiamati criteri elaborati dalla giurisprudenza di Strasburgo, enunciando il principio di diritto al quale il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi". 2.2 – Con il secondo motivo si deduce omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5), evidenziandosi l’incongruenza dell’iter argomentativo seguito dalla corte territoriale e, in particolare, l’erroneità del riferimento a una "motivazione comparativa".

Ai sensi dell’art. 366 bis, si precisa: "la motivazione secondo cui il termine sarebbe congruo senza ulteriore spiegazione, se non in ragione di una comparazione con il nuovo processo civile, è inidonea a giustificare il rigetto della domanda". 3.- Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel mese di aprile dell’anno 2008, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass., Sez. Un., n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 4.- Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni.

4.1- Infatti, l’illustrazione del primo motivo si conclude con un quesito di diritto, come sopra riportato, che, oltre che generico, si mostra inconferente (come tale assimilabile al quesito mancante:

cfr., ex multis, Cass. S.U. n. 11650/2008), non essendo riferibile alla ratio decidendi del provvedimento impugnato. Ed invero, in esso si postula, contrariamente a quanto affermato nel decreto impugnato, che risulti già acquisito il dato relativo al superamento della durata ragionevole, ponendosi un interrogativo, di natura meramente giuridica, la cui risposta – positiva o negativa – sarebbe del tutto inidonea alla risoluzione della controversia.

3.2 – Quanto ai secondo motivo, osserva la Corte che lo stesso, e, quindi, inevitabilmente, il relativo "momento di sintesi", non considerano l’iter argomentativo – sia pure scarno – seguito dalla Corte territoriale (che ha fatto riferimento, ai fini della determinazione del periodo di durata ragionevole, ed evidentemente trascurando il periodo relativo alla conciliazione – profilo non specificamente ed adeguatamente censurato -, "alla natura e al grado di difficoltà della controversia", laddove la comparazione fra il giudizio del lavoro e quello ordinario è il frutto di una considerazione aggiuntiva e – pur essendo l’unico aspetto attinto da censura – non costituisce il nucleo essenziale della motivazione del decreto.

5 – La declaratoria di inammissibilità ne deriva dunque di necessità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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