Cass. civ. Sez. VI, Sent., 02-02-2012, n. 1507 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.G. e F.A. nonchè P.G. e D.D.A. ricorrono separatamente per cassazione nei confronti dei decreti in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 2.000,00 per anni quattro di ritardo, ha accolto parzialmente i loro ricorsi con i quali è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR di Napoli dal 10.10.2000 al 14.11.2007.

L’intimata Amministrazione ha proposto difese solo nel procedimento n. 13986/10.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi debbono essere tra loro riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui "La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile" (Cassazione civile, sez. 3^, 20/12/2005, n. 28227) e la riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dai legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta ( art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto" (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno partecipato con identiche posizioni e vicende e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni in questa fase.

Con i primi cinque motivi di ricorso, uguali in entrambi gli atti, si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 500,00 per ogni anno eccedente il periodo di tre anni ritenuto ragionevole. I motivi sono fondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento all’atteggiamento processuale del ricorrente che non ha proposto istanza di prelievo.

Gli ulteriori motivi che attengono alla liquidazione delle spese sono assorbiti, dovendosi procedere a nuova statuizione sul punto.

I ricorsi devono dunque essere accolti nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 3.250,00 in favore di ciascun ricorrente a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni quattro di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito.

Tenuto conto del parziale accoglimento della domanda le spese del giudizio di merito possono essere compensate in ragione della metà mentre per il residuo debbono essere poste a carico dell’Amministrazione unitamente a quelle di questa fase, tenuto conto del principio affermato in tema di abuso del processo (Cass. civ., 3 maggio 2010, n. 10634).

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 3.250,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 1.386,00, di cui Euro 891,00 per diritti, Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.100,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

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