Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 23-09-2011, n. 34678 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 marzo 2010 la Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza del 21 novembre 2002 del Tribunale di Catania, che aveva dichiarato N.G. responsabile del reato di illegale detenzione di una pistola calibro 38 special e di trentotto cartucce dello stesso calibro, di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, e l’aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed Euro 184 di multa.

2. Da entrambe le decisioni di merito emergeva che:

– in data 19 aprile 2000 nel corso di una perquisizione domiciliare, eseguita nell’abitazione, sita in (OMISSIS), che l’imputato condivideva con la nonna ( S.R.) e la convivente ( F. G.I.), era stata rinvenuta in un comodino della camera da letto in uso all’imputato una pistola a tamburo calibro 38 special, cinque cartucce dello stesso calibro e una ricetrasmittente sintonizzata sulle frequenze delle Forze di Polizia. Nel terreno sciaroso retrostante l’immobile era stato rinvenuto un sacchetto contenente trentatre cartucce dello stesso calibro;

– la pistola era di proprietà di P.S., zio dell’imputato, che aveva trasferito altrove la sua residenza il 29 ottobre 1997 e aveva denunciato il trasferimento dell’arma già il 13 gennaio 1996;

– la tesi difensiva che il P. era tornato ad abitare nella predetta casa e che la pistola era rimasta nella sua sfera di appartenenza era contrastata dal mancato rinvenimento nella detta abitazione di oggetti o indumenti del predetto, dai rilevati posti letto della casa, dalle dichiarazioni incongruenti e contraddittorie dei testi e dello stesso imputato;

– la stretta relazione tra quanto sequestrato e l’imputato e la permanenza della stessa facevano apparire di forte coerenza l’autonoma disponibilità da parte dell’imputato dell’arma e delle munizioni e la possibilità per lo stesso del loro prelevamento secondo le sue libere determinazioni.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso personalmente l’imputato, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo con il quale denuncia erronea interpretazione della legge penale e mancanza e/o illogicità della motivazione.

Il ricorrente, in particolare, deduce che i giudici di merito sono incorsi in violazione di legge per avere equiparato la disponibilità immediata di un’arma da fuoco con la detenzione illegale della stessa, mentre si sarebbe dovuto ritenere al massimo integrato il reato di cui all’art. 697 c.p., comma 2 per l’omessa denuncia all’autorità da parte di chi ha notizia della presenza di armi e munizioni in un luogo da lui abitato.

Alla luce delle circostanze indiscusse che proprietaria della casa di abitazione era la nonna e proprietario dell’arma lo zio, che aveva vincoli di frequentazione con il luogo di ritrovamento dell’arma, sarebbe stato necessario verificare da quanto tempo esso ricorrente dimorava nell’abitazione e da quanto tempo il proprietario della pistola aveva lasciato l’appartamento della madre, mentre la sentenza nulla ha detto al riguardo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Questa Sezione ha più volte affermato che per la configurazione del delitto di detenzione abusiva d’arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la cosa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e cosa detenuta e un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte del soggetto (Sez. 1, n. 20935 del 20/05/2008, dep. 23/05/2008, Ponzo, Rv. 240287; Sez. F, n. 12682 del 02/08/1990, dep. 22/09/1990, Pappacena, Rv. 185434; Sez. 1, n. 13621 del 02/10/1986, dep. 03/12/1986, Colombo, Rv. 174497; Sez. 1, n. 1218 del 17/01/1984, dep. 11/02/1984, Colocucci, Rv. 162574).

Si è anche osservato che è sufficiente che l’indicata relazione di fatto fra il soggetto e l’arma sia tale da consentire una pronta disponibilità dell’arma medesima, indipendentemente da un rapporto materiale o spaziale tra l’agente e l’arma abusivamente detenuta, e non occorre, quindi, che questa si trovi in contatto fisico immediato con il soggetto nè in un luogo di sua proprietà o pertinenza, bastando che egli abbia la possibilità di accedervi (Sez. 1, n. 18013 del 20/03/2004, dep. 19/04/2004, P.G. in proc. Tambos, Rv.

227978; Sez. 6, n. 2902 del 30/11/1985, dep. 12/04/1986, Zancato, Rv.

172439; Sez. 1, n. 5154 del 10/12/1981, dep. 25/05/1982, Venezia, Rv.

153803; Sez. 1, n. 11332 del 30/05/1978, dep. 26/09/1978, Garnier, Rv. 139997).

3. La Corte d’appello, conformemente a questi principi che ha esattamente interpretato, ha dato esaustivo conto, con logico ragionamento probatorio, delle ragioni della ritenuta stabile relazione tra l’imputato e l’arma e della idoneità della stessa a rappresentare la disponibilità dell’arma, con le munizioni, da parte del medesimo e la sussistenza in concreto della contestata detenzione.

Essa è pervenuta a tali conclusioni, ponendo in debito risalto gli elementi fattuali e i dati probatori acquisiti e concordando con le valutazioni fatte dal Tribunale, che ha confermato ritenendo, per la rilevata motivata inattendibilità della tesi difensiva, l’infondatezza dell’assunto volto a ricollegare l’arma allo zio dell’imputato P.S., che ne era il proprietario e nella cui sfera di appartenenza, nonostante il documentato trasferimento della sua residenza e dell’arma, il mancato rinvenimento di oggetti o indumenti a lui riferibili nell’abitazione e la situazione logistica dei rilevati posti letto, l’arma, rinvenuta sul comodino della camera da letto in uso all’imputato, sarebbe rimasta.

4. La riproposizione in questa sede da parte della difesa delle deduzioni già adeguatamente e ragionevolmente valutate nei due gradi del giudizio è inficiata dall’equivoco di fondo di ritenere che un rinnovato dissenso di merito possa consentire, in sede di legittimità, un’alternativa lettura degli elementi di fatto e una rinnovata analisi delle risultanze processuali alla luce di diversi parametri valutativi, ritenuti dotati di migliore capacità esplicativa e idonei a consentire un diverso inquadramento giuridico della fattispecie concreta.

La completa lettura dei dati fattuali, la logica e critica valutazione delle emergenze probatorie e la coerente applicazione dei pertinenti principi di diritto, condotte in sede di merito, evidenziano, invece, l’insussistenza dei prospettati vizi.

6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – valutato il contenuto dei motivi di ricorso e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende della somma, che si determina, nella misura congrua ed equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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