Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-02-2012, n. 1484 Evizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 3.1.1990 i coniugi Sa.Ma. e Se.Pa. citavano in giudizio Ci.Ro., B.A., C.S., C.L. e C.C. nella loro qualità di eredi di C. C., nonchè il notaio P.G.P. e l’ufficiale giudiziario S.A., oltre la Cooperativa Edilizia Nuova Cronisti Romani srl. Esponevano gli attori di aver concluso in data 8.11.83 con Ci.Ro. un contratto preliminare di compravendita dell’unità immobiliare sita in (OMISSIS), che era stato a quest’ultimo assegnata in proprietà dalla convenuta Cooperativa edilizia per atto notaio P.P. del 3.6.1983.

Il Sa., promissario acquirente – che aveva iniziato a pagare l’acconto e le rate di mutuo relativi all’immobile – apprendeva successivamente che lo stesso era gravato da procedure esecutive promosse dalla società costruttrice (Edina) e della Cassa di Risparmio di Roma e che non era possibile stipulare il contratto definitivo per una serie di inadempienze ed irregolarità anche urbanistiche che non erano state sanate; che in ogni caso il Ci., assegnatario dell’immobile, non avrebbe potuto disporre del bene se non dopo cinque anni dall’acquisto. All’esito della procedura esecutiva iniziata dalla Cassa di Risparmio di Roma (di cui il Ci. aveva taciuto esistenza all’attore) il villino oggetto del compromesso era venduto all’asta ed acquistato da C.C.. Successivamente a seguito di accordi intercorsi tra il Sa. e il Ci. con il C., aggiudicatario dell’asta, quest’ultimo si impegnava a trasferire l’immobile al Ci. o a persona da nominare (previa restituzione delle somme da lui versate), il quale a sua volta lo avrebbe dovuto poi cedere al Sa.. Il C., tuttavia, non rispettava gli impegni assunti, ed iniziava l’esecuzione per il rilascio dell’immobile contro gli attori a mezzo dell’ufficiale giudiziario S.A. il quale proseguiva nella procedura esecutiva, nonostante gli fosse rammostrato il titolo autonomo in base a quale gli attori legittimamente detenevano l’immobile (il contratto a tre; Ci. – C. – Sa.). Poste tali premesse gli attori svolgevano varie domande nei confronti di ciascuno dei convenuti, chiedendo in specie che fosse accertato e dichiarato l’obbligo del C. di trasferire l’immobile al Ci. e su disposizioni di questi a Sa.Ma., in comunione dei beni con Se.Pa.; che fosse condannato il Ci. al risarcimento dei danni conseguenti all’evizione; in subordine: che fosse accertata e dichiarato l’illegittimità dell’atto notar P.P. del 3.6.83, in considerazione del peso determinante che esso aveva avuto nella decisione del Sa. di acquistare l’immobile, con la conseguente condanna dello stesso notaio al risarcimento dei danni. Si costituivano in giudizio l’ufficiale giud. S.A., il notaio P.P. ed il Ci. opponendosi alla domanda avversaria. Non si costituivano il C. e la Cooperativa.

L’adito tribunale di Roma, con sentenza n. 72/04 del 5.1.2004 rigettava tutte le domande attrici, regolando in vario modo le spese processuali.

Riteneva, in particolare, in relazione alla domanda formulata contro il Ci. che questi avesse adempiuto alle obbligazioni assunte con il preliminare, sia evidenziando i vincoli esistenti, sia pagando le rate di mutuo, per cui la vendita all’asta dell’immobile era ascrivibile al comportamento dei coniugi acquirenti che non avevano onorato le rate di muto scadute. Rigettava la domanda proposta contro il notaio, atteso che questi aveva elencato nell’atto gli oneri di cui era gravato il bene assegnato dalla cooperativa;

disattendeva la domanda avanzata contro i C. che ben poteva acquistare l’immobile nell’ambito della procedura esecutiva che lo riguardava.

Avverso la predetta sentenza proponevano appello i coniugi Sa.

– Se. contro tutte le parti. Resistevano gli appellati Ci., gli eredi di C.C. e il P.P., che formulava altresì appello incidentale; rimanevano contumaci le altre parti.

L’adita Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3437/09 depositata in data 10.9.2009, in riforma della sentenza impugnata, in parziale accoglimento dell’appello formulato contro il Ci., dichiarava nullo il contratto de quo e condannava il Ci. a restituire agli attori la somma di lire 77 milioni, pari ad Euro 39767,18. Rigettava tutte le altre impugnazioni, nonchè l’appello incidentale avanzato da P.P., regolando variamente le spese processuali. Riteneva la Corte capitolina che il preliminare dovesse ritenersi radicalmente nullo in quanto posto in essere in violazione della norma imperativa di cui alla L. n. 1518 del 1949, art. 9, comma 2 il quale vieta l’alienazione del bene prima del decorso di 10 anni dalla data di assegnazione; trattandosi di nullità comune alle parti contraenti, non era dovuto alcun tipo di risarcimento, ma solo la restituzione delle somme versate in quanto ormai prive di causa. Quanto al notaio, la Corte sottolineava come egli non avesse ricevuta dal Sa. alcun incarico professionale per la stipula del contratto di assegnazione, nel quale peraltro egli aveva elencate tutte le formalità pregiudizievoli.

Per la cassazione della predetta decisione ricorre Ci.

R. sulla base di 3 censure. Resistono con controricorso i Sa. e Se. proponendo a loro volta ricorso incidentale per quanto riguarda la posizione del notaio P.P., che a sua volta resiste con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Ricorso principale.

Sotto il profilo logico-giuridico è opportuno esaminare il terzo motivo del ricorso principale con il quale gli esponenti denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 101 c.p.c., artt. 1418 e 1483 c.c.; art. 111 Cost. sostengono che il giudice a quo non poteva dichiarare d’ufficio la nullità del contratto perchè mai sollecitata dalle parti interessate, atteso che i coniugi Sa. – Se. "…. non avevano mai formulato o tanto meno prospettato nel corso del giudizio, ipotesi o profili di nullità del contratto preliminare stipulato con il Ci….", nei cui confronti essi si erano limitati a chiedere la condanna "al risarcimento dei danni conseguenti all’evizione del bene, danni da precisarsi in corso di causa" Peraltro gli attori non avevano neanche insistito nella domanda d’adempimento del contratto, ciò che avrebbe consentito la pronuncia di nullità anche d’ufficio,in considerazione del potere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell’azione promossa, ciò che non gli è consentito quando la domanda fosse diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto ovvero la risoluzione per inadempimento.

La doglianza non ha pregio. Invero il rilevo d’ufficio della nullità è possibile anche nel caso di domanda riguardante la risoluzione o la rescissione del contratto, un vizio cioè non genetico, ma sopravvenuto al suo nascere. In tal caso il giudice può dichiarare la riscontrata nullità del negozio, con l’unico limite dell’eventuale formazione di un giudicato interno.

Ed invero, secondo la giurisprudenza di questo S.C. "Il giudice può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, a norma dell’art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione) del contratto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza di ragioni determinanti la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest’ultima da parte del giudice da luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all’intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente (Cass. Sez. 3, n. 2956 del 07/02/2011; Sez. 3, n. 23674 del 15/09/2008; Sez. 3, n. 18540 del 20/08/2009).

Ha osservato ancora questa Corte che "…Nel caso in cui le parti di un contratto, ascrivendosi reciproci inadempimenti, chiedano ciascuna nei confronti dell’altro la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., il giudice può rilevare d’ufficio la nullità del contratto stesso (nella specie, per difetto di forma scritta prescritta "ad substantiam") in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione del giudicato interno (Cass. Sez. 3, n. 23674 del 15/09/2008).

Tanto premesso e considerato, e passando all’esame degli altri motivi, rileva il Collegio che, con il 1 motivo del ricorso l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 408 del 1949, art. 9, D.L. n. 1022 del 1965, artt. 4-12 bis; artt. 1418, 1362 e 1376 c.c.; nonchè il vizio di motivazione. Assume l’esponente che il contratto preliminare concluso dalle parti non era nullo per supposta violazione della L. n. 408 del 1949, art. 9 con riguardo al divieto di alienazione dell’immobile assegnato. La corte distrettuale invero non aveva accertato l’esistenza di due necessari presupposti: a) che ci si fosse davanti ad una cessione e/o alienazione d’immobile; b) che l’assegnazione di tale immobile fosse stata fatta da una cooperativa edilizia che rientrava nel novero di quelle menzionate nella normativa richiamata dalla L. n. 408 del 1949, art. 9 e cioè su una cooperativa che avesse usufruito del concorso o contributo statale (che si trattasse cioè di assegnazione d’alloggio di edilizia convenzionata e non meramente agevolata).

Nella fattispecie la cooperativa non godeva di alcun contribuito della Stato, ma solo di un’agevolazione creditizia.

Peraltro la violazione del vincolo d’inalienabilità del bene non comporta affatto la nullità dell’atto di trasferimento nella sua interezza, ma solo la decadenza dalle agevolazioni (v. L. n. 1179 del 1965, art. 12 bis, secondo cui: "L’inosservanza delle disposizioni degli arti. 8 e 12 importa la risoluzione del diritto del contratto di mutuo contemplato all’art. 4 della presente legge e la decadenza da ogni altro beneficio).

La doglianza è fondata.

Non v’è dubbio che la corte capitolina avrebbe dovuto esaminare, prima di decidere, le fondamentali questioni prospettate dal ricorrente. Prima d’ogni altra cosa era necessario accertare, ai fini della configurabilità della sanzione della nullità dell’atto, se nel caso di specie si trattava di cooperativa convenzionata con il contributo dello Stato, ovvero semplicemente agevolata (come ritenuto dal ricorrente) ed in proposito la Corte romana nulla ha detto.

D’altra parte è opportuno sottolineare che, in ipotesi, la violazione della norma suddetta con comporta la nullità assoluta dell’atto, come erroneamente sostiene la corte, ma solo della clausola invalida, che preveda l’anticipato trasferimento del cespite.

Va comunque precisato che "una cooperativa edilizia è qualificabile come "sovvenzionata dallo Stato" e pertanto soggetta alla speciale disciplina di cui al R.D. 28 n. 1165 del 1938, solo se effettivamente sovvenzionata dallo Stato, nel senso che abbia in concreto conseguito il contributo dello Stato, restando irrilevante la semplice previsione statuaria della possibilità del ricorso al finanziamento pubblico" (Cass. n. 11311 del 16.05.2007). Su questo punto, come si è detto, manca in sostanza la pronuncia della Corte capitolina, la quale inoltre non ha posto nel giusto rilevo i fatto che le parti avessero concluso un contratto preliminare, con effetti non reali, ma meramente obbligatori.

Secondo questa S.C. "Il contratto preliminare stipulato dall’assegnatario di un alloggio costruito da una cooperativa edilizia con il contributo dello stato prima dello scadere del decennio dall’assegnazione, con il quale l’assegnatario si obbliga a trasferire a terzi la proprietà dell’alloggio, non ha efficacia reale ma meramente obbligatoria, e pertanto non è nullo per contrasto con le norme imperative contenute nelle leggi sull’edilizia residenziale sovvenzionata, anche quando sia convenuto l’anticipato trasferimento de possesso del bene" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 27/01/2010; Cass. n. 12749 del 26/9/2000)". Nel caso poi in cui l’obbligo di trasferimento della proprietà dell’immobile debba essere adempiuto dal promittente venditore prima della scadenza del predetto termine decennale, la relativa clausola è nulla, ma non determina la nullità dell’intero contratto…" (Cass. n. 12749 del 26/9/2000).

Con il 2 motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1376, 1362 e 1353 c.c.; si contesta quanto affermato dalla Corte capitolina secondo cui il Ci. non fosse proprietario dell’immobile in quanto non aveva stipulato il mutuo individuale. In realtà con l’assegnazione si attua il trasferimento dell’immobile a titolo di proprietà e non è necessario il contestuale preventivo frazionamento del muto, ciò che stato introdotto da una successiva normativa introdotta con una legge del 2005.

Anche tale doglianza è fondata.

Secondo questa S.C. "…L’assegnazione in favore del socio dell’alloggio realizzato da una società cooperativa edilizia è, al pari di una compravendita, un contratto ad effetti reali che si perfeziona con il consenso delle parti e che determina il trasferimento all’acquirente della proprietà del bene immobile che ne è oggetto: un trasferimento pieno e definitivo, essendo da escludere che solo con la definitiva liquidazione della cooperativa quel passaggio di proprietà si perfezioni e si consolidi in capo al socio…" (Cass. Sez. 1, n. 5724 del 23/03/2004).

Conclusivamente dev’essere accolto il ricorso principale nei sensi come sopra specificato.

Passando all’esame del ricorso incidentale con esso i Sa. – Se. denunziano la violazione dell’art. 334 c.p., della L. Professionale notarile n. 89 del 1913, art. 28; disapplicazione dell’art. 2043 c.c.; lamentano che la corte ha ritenuto di escludere la responsabilità del notaio nella considerazione che non vi fosse diretta responsabilità con essi coniugi Sa.. Sottolineano che il rogito non poteva essere redatto dal notaio per vari motivi (l’immobile era sottoposto procedura esecutiva, a vendita giudiziaria, era gravato da pignoramento, non era stato frazionato il mutuo). L’esistenza di tale atto illegale – sostengono gli esponenti – aveva "determinato nei coniugi Sa. l’errato convincimento di poter legittimamente acquisire e senza problemi, il bene in questione con tutte le conseguenze dannose conseguenti alla perdita del bene e del danaro sborsato per acquistarlo".

Il ricorso incidentale è inammissibile, non essendo stata censurata la ratio decidendi secondo cui il notaio non aveva ricevuto l’incarico professionale dai Sa., del tutto estranei all’atto pubblico rogato asseritamente in violazione di norme anche penali.

D’altra parte la sentenza non aveva affermato affatto che l’atto notarile fosse "fidefaciente erga omnes".

Conclusivamente il ricorso incidentale dev’essere disatteso. Le spese relative seguono la soccombenza e sono poste a carico dei Sa. – Se.. L’accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata in ragione dei motivi accolti, con il rinvio della causa, anche per le relative spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione, rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le relative spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma; condanna i ricorrenti incidentali al pagamento, in favore del P.P., delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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