Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-09-2011, n. 34691

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21 ottobre 2010 la Corte d’appello di Roma, decidendo quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione, come qualificato da questa Corte con sentenza del 31 ottobre 2008 il ricorso originariamente avanzato, proposta da R.M. avverso l’ordinanza emessa dalla stessa Corte il 13 dicembre 2007, con la quale, in accoglimento della richiesta del Procuratore Generale era stata dichiarata condonata la residua pena di un anno e venti giorni di reclusione ed Euro ottocento di multa per effetto del contestuale provvedimento di attribuzione di fungibilità, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., della pena di undici mesi e ventisette giorni di reclusione espiata per altro titolo.

1.1. La Corte premetteva che:

– con ordinanza del 13 giugno 2007 era stata dichiarata condonata, per effetto dell’indulto di cui alla L. n. 241 del 2006, la pena inflitta con la sentenza del 9 marzo 2005 di essa Corte, irrevocabile il 19 ottobre 2006, limitatamente a due anni e diciassette giorni di reclusione ed Euro ottocento di multa, quale pena residua, detratto il presofferto, di quella inflitta di tre anni e due mesi di reclusione ed Euro ottocento di multa;

– in data 4 ottobre 2007 la Procura Generale di Roma aveva ritenuto che ricorrevano le condizioni per attribuire in fungibilità, ex art. 657 cod. proc. pen., il periodo di carcerazione di undici mesi e ventisette giorni di reclusione, sofferto dal condannato dal 15 febbraio 2001 al 14 febbraio 2002 in relazione al procedimento penale definito con sentenza di non luogo a procedere per non avere commesso il fatto del 10 luglio 2002, e aveva chiesto che detta pena fosse detratta da quella inflitta con la sentenza del 9 marzo 2005 e che, per l’effetto, fosse revocata l’ordinanza del 13 giugno 2007, con applicazione dell’indulto nella minore misura di un anno e venti giorni di reclusione ed Euro ottocento di multa;

– con ordinanza del 13 dicembre 2007 essa Corte aveva accolto detta richiesta, rilevando la non sindacabilità del provvedimento del Procuratore Generale di attribuzione in fungibilità dell’indicato periodo, perchè il condannato per ottenere una pronuncia ablativa o modificativa al riguardo avrebbe dovuto esperire incidente di esecuzione dopo la notifica del detto provvedimento allo stesso e al suo difensore;

– contro detta ordinanza il difensore di R.M. aveva proposto ricorso per cassazione in data 24 gennaio 2008, chiedendone l’annullamento per vizi di legittimità, riguardanti sia norme penali sia norme processuali, e deducendo, in particolare:

– assenza di motivazione in ordine alla intervenuta revoca parziale dell’Indulto per dar luogo all’attribuzione della sollecitata fungibilità;

– Il contrasto della decisione con il principio di favore per essere la portata applicativa dell’indulto, soggetta a limitazioni oggettive, minore rispetto alla fungibilità della pena espiata sine titulo, non soggetta ad alcuna limitazione;

– la definitività dell’ordinanza di applicazione dell’indulto nella maggiore misura e l’operatività del principio del ne bis in idem per avere il Pubblico Ministero proposto incidente di esecuzione non sulla base di una mutata situazione di fatto, ma sulla base di elementi preesistenti e già conosciuti per la risalenza nel tempo della ingiusta detenzione sofferta.

1.2. La Corte, tanto premesso, argomentava la decisione osservando che:

– era ammissibile la richiesta del Procuratore Generale, in quanto il dato della espiazione da parte del R. del periodo di carcerazione sofferto e della sussistenza delle condizioni per la fungibilità non era stato introdotto ritualmente nel giudizio di esecuzione, e l’adozione del provvedimento di fungibilità della pena aveva determinato un mutamento della situazione di fatto che aveva reso la misura dell’indulto, riconosciuto in executivis, esorbitante rispetto alla pena residua ancora da espiare sulla base del titoli definitivi, senza alcuna violazione del principio del ne bis in idem;

– era irrilevante la circostanza che il R., con riferimento alla pena detentiva per la quale era stata dichiarata la fungibilità, avesse agito per vedersi riconosciuto il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, poichè doveva escludersi l’esistenza di una facoltà di scelta del condannato tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare di quella ingiustamente subita, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall’art. 657 cod. proc. pen., che impone al pubblico ministero con priorità assoluta il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, R.M., che ne ha chiesto l’annullamento per omessa motivazione e per erronea applicazione della legge penale e processuale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), relativamente all’art. 174 cod. pen., artt. 657 e 672 cod. proc. pen..

Il ricorrente, in particolare:

– ha rimarcato la totale assenza di motivazione in ordine alla intervenuta revoca parziale dell’indulto per dar luogo all’attribuzione della fungibilità della pena espiata per altro titolo;

– ha dedotto l’omesso riferimento motivazionale alle richieste di concessione dell’indulto nella misura già dichiarata dalla Corte con ordinanza del 13 giugno 2007;

– ha dedotto che il Giudice dell’esecuzione doveva tenere conto dell’interesse di esso ricorrente all’applicazione dell’indulto, con valutazione del periodo di detenzione ingiustamente sofferto anche nella prospettiva di cui all’art. 314 cod. proc. pen., posto dal legislatore in alternativa alla fungibilità della pena;

– ha eccepito il contrasto della decisione con il principio del favor rei per essere la portata applicativa dell’indulto, soggetta a limitazioni oggettive, minore rispetto alla fungibilità della pena espiata sine titulo, non soggetta ad alcuna limitazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. Quanto alla dedotta totale assenza di motivazione in ordine alla intervenuta revoca parziale dell’indulto per procedere all’attribuzione di fungibilità della pena espiata per altro titolo, si rileva che la Corte di merito, con iter argomentativo logicamente articolato, ha affermato che l’art. 657 cod. proc. pen. impone al Pubblico Ministero con priorità assoluta il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo e ha rilevato che la rideterminazione della misura dell’indulto, determinata in executivis, era da porre in relazione al dato della espiazione da parte del R. del periodo di carcerazione dal 15 febbraio 2001 al 14 febbraio 2002, alla sussistenza delle condizioni per la fungibilità della pena e alla esorbitanza della misura dell’indulto rispetto alla pena espianda sulla base dei titoli definitivi.

Nè ricorre alcuna carenza della motivazione con riguardo alla richiesta del ricorrente di concessione dell’indulto nella misura già dichiarata dalla Corte con ordinanza del 13 giugno 2007, poichè le argomentazioni svolte con l’ordinanza impugnata vertono proprio sulle ragioni per le quali la misura dell’indulto, come determinata con detta ordinanza, andava rideterminata in relazione alla diversa situazione di fatto Intervenuta, rappresentata dalla rilevata sussistenza delle condizioni per l’attribuzione in fungibilità della pena espiata per altro titolo, ritenuta idonea ai superamento della eccezione difensiva di improponibilità della richiesta del Pubblico Ministero di revoca della suindicata ordinanza, non oggetto di censura in questa sede.

3. La deduzione del ricorrente che, in sede esecutiva, deve tenersi conto dell’Interesse del condannato all’applicazione dell’indulto e valutarsi il periodo di detenzione ingiustamente sofferto anche nella prospettiva del ricorso all’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione, posto dal legislatore come alternativo alla fungibilità della pena, è in contrasto con i principi di diritto affermati da questa Corte e correttamente interpretati e applicati dalla Corte di merito.

Secondo l’orientamento di legittimità, che questo Collegio condivide e riafferma, ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante l’inderogabilità della disciplina dettata dall’anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l’esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato (pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all’atto della richiesta di riparazione), tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 cod. civ. (Sez. U, n. 31416 del 10/07/2008, dep. 25/07/2008, P.G. In proc. Cascio, Rv. 240113).

Se, pertanto, la disciplina di cui all’art. 657 cod. proc. pen. impone prioritariamente il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo, anche quando il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione sia già avvenuto, e se l’interessato non ha facoltà di scelta tra il ristoro pecuniario e lo scomputo della pena ingiustamente sofferta da quella espianda, è del tutto coerente la valutazione operata dalla Corte.

4. L’interesse del ricorrente all’applicazione dell’indulto, solo affermato e non dimostrato, si scontra con l’espressa previsione normativa del preliminare computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo ( art. 657 c.p.p., comma 1) e, quindi, del periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso quando è stato concesso l’indulto ( art. 657 c.p.p., comma 2).

5. Essendo le doglianze prive di fondamento, il gravame deve essere rigettato, con le conseguenze in ordine alle spese processuali previste dall’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *