Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-09-2011, n. 34645 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 11 novembre 2010 la Corte d’Appello di Ancona, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, sezione distaccata di Jesi, ha riconosciuto C.A. responsabile del delitto di lesione volontaria lieve ai danni di R.M.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

La prova del commesso reato è stata ravvisata nelle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate da altre deposizioni testimoniali e dal referto medico del pronto soccorso; mentre non si sono considerate probanti in senso contrario le deposizioni dei testi E.A. e N.O., assunti in grado di appello.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a cinque motivi.

Col primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 604 c.p.p., comma 4, per avere la Corte d’Appello dato ingresso alla prova testimoniale non acquisita in primo grado, anzichè dichiarare la nullità della sentenza e rinviare gli atti al Tribunale.

Col secondo motivo deduce carenza motivazionale per omessa confutazione delle censure mosse con l’atto di appello, avuto riguardo alla dedotta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla teste E.K., nonchè alla contestata valenza dimostrativa del referto medico.

Col terzo motivo denuncia travisamento della prova per quanto riguardante le deposizioni dei testi E.A. e N. D..

Col quarto motivo deduce vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante della provocazione.

Col quinto motivo lamenta omessa motivazione in ordine al motivo di appello col quale si era impugnata, siccome immotivata mente sproporzionata, l’entità della provvisionale liquidata in favore della parte civile.

Motivi della decisione

Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.

Ciò non è a dirsi del primo motivo. Correttamente ha ritenuto il giudice di appello che l’ordinanza con cui il Tribunale aveva dichiarato la decadenza della difesa dal diritto di far assumere i testimoni fosse stata illegittimamente emessa; ma altrettanto correttamente ha emendato l’errore del primo giudice disponendo l’acquisizione della prova; non ricorrevano, infatti, le condizioni per il rinvio degli atti al Tribunale, a norma dell’art. 604 c.p.p., comma 4, non essendosi trattato di una delle nullità di ordine generale contemplate dall’art. 178 c.p.p.. La declaratoria di decadenza dalla prova, erratamente emessa al di fuori delle condizioni di legge, ha bensì indotto il giudice ad assumere una decisione sul merito ingiustamente condizionata dall’incompletezza del quadro probatorio, ma non si è riverberata sulla ritualità degli atti processuali compiuti. E d’altra parte, quand’anche si riconoscesse l’esistenza di una vera a propria nullità nell’ordinanza emessa dal Tribunale, il vizio rilevato dovrebbe farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 185 c.p.p., comma 4, il quale espressamente esclude la regressione del procedimento quando si verta in un’ipotesi di nullità concernente le prove.

Il secondo ed il terzo motivo non sono ammissibili, in quanto esulanti dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p..

Infatti le censure con essi elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha congruamente motivato il convincimento che le lesioni riportate da R.M. – la cui obiettività è apparsa chiaramente dimostrata dal referto medico e dall’intervento stesso di un’autoambulanza – fossero state causate da calci e pugni infertigli dal C.; a tal fine ha valorizzato le dichiarazioni rese dalla persona offesa, ritenute attendibili per la loro precisione e inequivocità, riscontrate per di più dalla deposizione della teste E.K.. Non ha invece assegnato rilevanza in senso contrario alle deposizioni dei testi E.A. e N.D., assunti in grado di appello, osservando che costoro avevano riferito fatti da essi constatati in un arco temporale da considerarsi posteriore all’episodio per il quale è processo.

Non sussiste, pertanto, la denunciata carenza di motivazione, essendo principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il giudice di appello non ha l’obbligo di prendere in esame ogni singola argomentazione svolta dall’appellante, ma è tenuto unicamente ad esporre, con ragionamento corretto sotto il profilo logico-giuridico, i motivi per i quali perviene a una decisione difforme rispetto alla tesi dell’impugnante, rimanendo implicitamente non condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il complessivo tessuto motivazionale Va detto, altresì, che della linea argomentativa come sopra sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di contrastare la ricostruzione del fatto recepita nella sentenza si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Nè appare giustificata la censura mossa sotto il profilo del travisamento della prova, relativamente alle dichiarazioni rese dai testi E. e D.. Il vizio in questione, denunciabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), può identificarsi soltanto nell’errore revocatorio sul significante: giacchè il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa (Cass. 11 gennaio 2007 n. 8094). Nel caso di cui ci si occupa la Corte territoriale non ha attribuito alla prova raccolta un contenuto diverso dal suo valore semantico, ma ne ha dato un’interpretazione, seguita da una libera valutazione, che sfugge per sua natura al controllo di legittimità.

La parziale fondatezza del ricorso è riferibile, invece, alla doglianza che struttura il quarto motivo, con cui si denuncia carenza motivazionale in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2.

Con un apposito motivo di appello la difesa dell’imputato aveva dedotto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della citata attenuante, osservando che dalla testimonianza Via nel li era dato evincere come R.M. fosse entrato quel pomeriggio nei locali del circolo gestito dal C. in stato di ubriachezza, e avesse recato scompiglio litigando con l’addetta al bar; in tale condotta l’appellante aveva individuato il fatto ingiusto, da valutarsi sotto il profilo dell’idoneità ad assurgere a elemento costitutivo della provocazione.

La deduzione non ha avuto concreta risposta nella sentenza di secondo grado, al di là di una generica affermazione circa l’insussistenza di adeguati elementi fattuali a suo sostegno; così essendo passato sotto silenzio il riferimento alla testimonianza della V. sulla quale invece, nell’ottica dell’appello, si sarebbe dovuta soffermare l’attenzione del giudice.

La carenza motivazionale, che inevitabilmente ne è derivata, inficia la sentenza impugnata e ne impone l’annullamento in parte qua.

Inammissibile, infine, è il quinto motivo, facente perno su un vizio non denunciabile in questa sede. In proposito merita di essere richiamato il principio, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (così Cass. 17 gennaio 2007 n. 5001; v. anche la più recente Cass. 23 giugno 2010 n. 34791).

Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata nei limiti segnati dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso; il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Perugia, sottoporrà a rinnovata disamina l’istanza di applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, in piena libertà decisionale e col solo obbligo di motivare congruamente il deliberato.

P.Q.M.

la Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla omessa motivazione sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia;

rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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