Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-09-2011, n. 34642

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 16.4.2010, la corte di appello di Catania ha confermato la sentenza 20.5.03 del tribunale della stessa sede, con la quale T.O. è stato condannato,previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di due anni di reclusione e alle pene accessorie connesse, perchè ritenuto responsabile del reato ex art. 216, comma 1, n. 1, L. Fall., per avere, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, nella qualità di legale rappresentante della COCAM srl, dichiarata fallita il (OMISSIS), distratto parte dell’attivo, costituito da L. 316.465.729, relativo al bilancio 31.12.1994. Con l’aggravante di aver cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravità. Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. mancanza di motivazione, in quanto la corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla specifica richiesta, formulata nei motivi di appello, di riqualificazione del fatto, a norma dell’art. 2622 c.p., come reato, procedibile a querela, dì false comunicazioni sociali in danno dei soci o creditori. Posta la mancata presentazione di istanza punitiva da parte del curatore, deve essere pronunciata declaratoria di improcedibilità dell’azione penale.

2. violazione di legge in riferimento all’art. 157 c.p.: il reato contestato risulta estinto per prescrizione il 15.6.2010, in data anteriore alla notifica dell’estratto contumaciale della sentenza impugnata, avvenuta il 18.6.2010.

Il primo motivo è del tutto infondato, in quanto risultano dalle dichiarazioni del curatore fallimentare e del consulente tecnico, nonchè dalla relazione di quest’ultimo e dalle scritture contabili i seguenti fatti:

a) alla data della dichiarazione del fallimento mancavano dalle casse sociali – tenuto conto delle rimanenze di merce, pari a L. 95.968.000 – la somma di oltre L. 80 milioni, corrispondente all’ammontare del ricavato delle vendite effettuate nell’ultimo periodo di gestione, tra l’altro con una percentuale di ricarico negativa, stimata dal consulente tecnico, pari al 39,74%;

b) all’atto del fallimento le scritture contabili, di incontestata affidabilità, indicano la virtuale presenza nelle casse sociali della somma di L. 229.834.000, quale provento delle vendite di merce (scarpe) a L.M. (precedente amministratore, sino al 22.4.1993) nonchè della somma di L. 62.195.251, versata alla società, in pagamento di merci, dalla ditta Alibrandi Giovanni;

c) questi due pagamenti risultano effettuati per contanti e quindi non sono stati reperiti documenti (copie di assegni o di bonifici) che ne attestino la veridicità. Di qui la logica conclusione dei giudici di merito: oltre alla distrazione della somma di oltre L. 80 milioni di lire, si è verificata la distrazione, con il necessario concorso del ricorrente, della merce in favore del L. e dell’ A., qualora gli acquirenti non ne abbiano pagato il prezzo e il T., pur non avendo ricevuto alcun pagamento, l’ha artificiosamente iscritto nel bilancio, in modo da gonfiare l’attivo;

oppure si è verificata la distrazione del ricavato della vendita della merce, da parte del T., nel caso in cui gli acquirenti abbiano pagato il prezzo della merce, nè risulta che il ricorrente abbia fatto uso del ricavato a fini societari. Questa molteplice condotta distratti va dell’imputato, dimostrata con la massima e incontestata certezza dalle concordi risultanze, è però del tutto ignorata nel motivo del ricorso che rivela quindi la sua manifesta infondatezza.

La manifesta infondatezza del motivo comporta la declaratoria della sua inammissibilità. Quanto al rilievo sul termine di prescrizione, va rilevato che il calcolo effettuato dall’ufficio non consente di ritenerlo corretto. In ogni caso va richiamato l’orientamento interpretativo secondo cui il maturare del termine di prescrizione non porterebbe comunque, nel caso in esame, alla declaratoria di estinzione del reato. L’inammissibilità, conseguente alla manifesta infondatezza delle precedenti censure sulla ricostruzione e sulla valutazione dei fatti, operata dai giudici di merito, non ha consentito l’instaurazione, in sede di legittimità, di un valido rapporto di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione (S.U. n. 23428 del 22.3.2005;

sez. 2, 21.4.2006, n. 19578).

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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